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Nel 2000 il Pontificio Istituto Missioni Estere compie 150 anni. È nato nel 1850 dalla volontà di Pio IX e dei vescovi di Lombardia come “Seminario lombardo delle missioni estere”, per opera di padre Angelo Ramazzotti degli Oblati di Rho (poi vescovo di Pavia e patriarca di Venezia). Nel 1926 Pio XI, unendolo al “Pontificio seminario per le missioni estere” di Roma (nato per volere di Pio IX e per opera di mons. Pietro Avanzini nel 1871), ha fondato il PIME. “Andate in tutto il mondo” ha detto Gesù: il Pime c’è andato davvero ed oggi opera nei cinque continenti a servizio del Vangelo. Questo volume, seriamente documentato e giornalisticamente avvincente, percorre una duplice pista di lettura: attenzione scrupolosa ai fatti, senza nulla tacere, ma mettendo anche in evidenza le scelte coraggiose e a volte temerarie per andare “ai più lontani e ai più abbandonati”, l’amore appassionato ai popoli che caratterizza il mondo delle missioni. La storia diventa affascinante se illuminata da una lettura soprannaturale delle vicende umane, non per nascondere gli errori e i peccati commessi, ma per dare risalto anche ai buoni esempi che testimoniano ai posteri la forza dello Spirito presente in chi ci ha preceduto.

capitolo 1
capitolo 2
capitolo 3
capitolo 4
capitolo 5
capitolo 6
capitolo 7
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capitolo 2
capitolo 3
capitolo 4
capitolo 5
capitolo 6
capitolo 7
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PREFAZIONE

La missione «ad gentes», e con essa anche il PIME, si trova oggi ad una svolta importante tra passato e futuro. All’inizio di questa sua ultima fatica, presentando il lavoro dell’Ufficio storico dell’Istituto, padre Piero Gheddo scrive: «Il culto delle memorie storiche è alla base della tensione verso l’aggiornamento e il ritorno allo spirito delle origini, che caratterizza il PIME nel tempo del post-Concilio».
Padre Gheddo, che fino ad oggi ha servito la Missione facendo conoscere ed apprezzare le quotidiane vicissitudini di tanti missionari e missionarie, è stato pure in grado, con la sua ispirata verve giornalistica, di dar voce al bisogno di Dio di quanti vivono negli angoli più remoti del pianeta. Eco fedele di un «underground» prezioso quanto inascoltato, egli ha esplorato i 150 anni del Pontificio Istituto Missioni Estere di Milano, delineando anche i futuri traguardi dell’impegno missionario della Chiesa universale.
Nel presente volume egli tratteggia in modo circostanziato l’itinerario percorso dal suo Istituto missionario dalla sua fondazione ai nostri giorni (1850-2000). Descrive la gloriosa storia del PIME, fondato il 31 luglio 1850 da mons. Angelo Ramazzotti, Vescovo di Pavia e poi Patriarca di Venezia. Il nuovo Seminario, vagheggiato da Gregorio XVI e realizzato sotto l’impulso di Papa Pio IX, doveva consentire, nello spirito di quel Pastore santo e lungimirante, la nascita di un Centro capace di preparare, sul modello dell’Istituto «Missioni Estere di Parigi», il clero secolare italiano per l’invio «ad gentes».
L’opera di padre Gheddo fa emergere alcuni elementi di riflessione prospettica. Si possono infatti percepire dalla lettura del prezioso volume alcuni passaggi decisivi della storia della cooperazione missionaria, ed altrettanti suoi crocevia nodali. Gli uni e gli altri permettono così di cogliere alcuni segni del domani che verrà. Da un simile orizzonte l’occhio contempla riconoscente una stagione missionaria che si conclude, segnata da affanni e da speranze, da buoni propositi e da miracoli, da sangue e da sudore versato, da guarigioni dello spirito oltre che del corpo.

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Nel campo della missione appaiono però i segni del nuovo. Se l’occhio osserva con maggior facilità gli avvenimenti del passato, il cuore sa protendersi verso il futuro, buio per i più, ma meno oscuro per quanti sono familiari con il Dio della Provvidenza. Così, pur tra le nebbie che si addensano su un incerto domani, ma che fan parte di un mistero di redenzione, intravede nuovi popoli che accolgono il Vangelo. Ma soprattutto scorge l’unicità di un progetto trascendente che, tra luci ed ombre, si va gradualmente realizzando secondo i tempi di Dio e dell’uomo.
Di fatto, come si augurava mons. Ramazzotti, cresce una nuova consapevolezza missionaria «ad gentes» nel clero secolare. Ciò che Ramazzotti profeticamente intuiva ed attuava nel 1850 con il PIME, oggi è storia di cooperazione missionaria tra Diocesi e Diocesi. Non solo. Molte Chiese di antica tradizione, pur subendo i contraccolpi dell’attuale crisi religiosa, non cessano di vivere la cooperazione missionaria. L’allarmante scarsità di vocazioni sacerdotali e religiose, infatti, che impedisce talvolta di soddisfare le stesse necessità pastorali interne, non frena l’impegno dell’invio. Le situazioni precarie in cui si trovano le Chiese d’Occidente rendono ancor più chiara la ragione fondante della missione «ad gentes».
Lo ricorda il Papa nella «Redemptoris Missio» (n. 63): «I fratelli Vescovi sono con me direttamente responsabili dell’evangelizzazione del mondo, sia come membri del collegio episcopale, sia come pastori delle Chiese particolari… Essi sono consacrati non soltanto per una Diocesi, ma per la salvezza di tutto il mondo. E questa responsabilità collegiale ha conseguenze pratiche».
La medesima coscienza missionaria si sta sviluppando nel popolo di Dio, tanto che alcuni cristiani hanno chiesto e ottenuto di andare in missione come laici missionari. In tal modo, la Chiesa si fa tutta missionaria. E oggi anche giovani Chiese si aprono alla missione.
È singolare quanto capita in Burkina Faso. Pur contando solo un milione di cattolici su 11 milioni di abitanti, e dipendendo ancora in gran parte dall’apporto dei missionari stranieri, la Chiesa del Burkina sta inviando i suoi preti come missionari in Mali, Niger e Senegal. Tale Chiesa, che nel 2000 celebrerà il I centenario della sua fondazione, vive così l’interiore consapevolezza che «la missione rinnova la Chiesa, ringiovanisce la fede e l’identità cristiana, dà nuovo entusiasmo e nuove motivazioni» (Redemptoris Missio, 2).
I Vescovi di quella giovane Chiesa stanno compiendo un salto di maturità a vantaggio dell’intera area del Sahel. Nei seminari maggiori del paese si dà spazio allo studio della missiologia, oltre che di qualche lingua straniera; ed è stata creata un’apposita commissione episcopale per spronare le undici diocesi a prendersi direttamente cura di un qualche specifico territorio in altri paesi africani. Il progetto è stato pure assunto dalle Chiese di Uganda, Nigeria, Tanzania e Kenya. Non è meno rilevante la cooperazione missionaria avviata in America Latina e in qualche Chiesa dell’Asia.

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I missionari a vita restano, tuttavia, importantissimi per la missione. Se per le Chiese locali la cooperazione «ad gentes» è un impegno pari a quello del mantenimento della fede, per i missionari a vita è priorità assoluta. La loro è «vocazione speciale», modellata su quella degli Apostoli. Si manifesta nella totalità dell’impegno per il servizio dell’evangelizzazione: coinvolge tutta la persona e la vita del missionario, ed esige una donazione senza limiti di forze e di tempo (Redemptoris Missio, 65).
In tale quadro si situa il PIME, Istituto missionario internazionale a servizio della comunione tra le Chiese per l’evangelizzazione dei non cristiani («Costituzioni», n. 10). Il PIME è stato benedetto da Dio con testimoni esemplari: il fondatore mons. Angelo Ramazzotti; il Beato Giovanni Mazzucconi, martire in Oceania nel 1855; padre Paolo Manna che, dopo 12 anni in Myanmar, nel 1916 fondò l’Unione Missionaria del Clero, allargata nel 1949 a Religiosi, Religiose, Seminaristi e laici consacrati; Mons. Eugenio Biffi, Arcivescovo di Cartagena in Colombia; padre Clemente Vismara, missionario per 65 anni di Myanmar, e fratel Felice Tantardini, suo prezioso collaboratore; il dottor Marcello Candia, singolare figura di laico missionario in Amazzonia; ma pure i due ultimi martiri nelle Filippine, padre Tullio Favali e padre Salvatore Carzedda.
Il PIME conta oggi 18 martiri, ha scritto padre Franco Cagnasso, attuale Superiore generale. Essi rimangono per i più ragione di interrogativi, ma per i missionari di questo carissimo Istituto essi sono icona di un amore che trae da Gesù stesso la sua origine fondante e la sua risposta piena e definitiva.
La Chiesa si accinge a percorrere un nuovo tratto di storia, quello del terzo millennio, cosciente che l’invio in missione rimane il segno della sua maturità. Non invecchia la missione, né la Chiesa che la trasmette, perché l’una e l’altra traggono freschezza dalla Parola viva del Signore. Con una mano la Chiesa riceve il Vangelo, con l’altra lo dona. Come l’acqua del fiume che continua a portare il proprio dono a sempre nuovi destinatari.
Cresce una speranza: il Grande Giubileo, il X anniversario della «Redemptoris Missio» (1990-2000), nonché le conclusioni dei Sinodi per l’Africa, l’America, l’Asia, l’Oceania e l’Europa, potranno diventare un ottimo trampolino per il rilancio della missione.

Roma, 23 novembre 1999

Card. JOZEF TOMKO
Prefetto della Congregazione
per l’Evangelizzazione dei Popoli

PRESENTAZIONE

Centocinquant’anni possono essere tanti per un’organizzazione atipica come un Istituto esclusivamente missionario, che per certi aspetti è una sfida alle leggi dell’organizzazione sociale: troppo proiettato fuori di sé, su obiettivi esterni, perché i suoi membri possano identificarsi con precisione; troppo poco organizzato e strutturato per reggere all’usura e al mutare del tempo.
Il PIME è una piccola «Società missionaria di vita apostolica». Ha origini interessanti, non però un Fondatore unico che abbia lavorato per molto tempo per dare un’impronta carismatica e spirituale marcata; ha attraversato momenti difficili, dal lungo periodo di puro servizio missionario che lasciava tutta l’organizzazione sulle spalle di una persona sola, alla fusione dei due Seminari da cui ha avuto origine il PIME vero e proprio con l’attuale nome; dalle numerose sofferenze e persecuzioni in Cina ai difficili passaggi del tempo in cui pareva si volesse farne un Istituto religioso; dalle espulsioni comuniste degli anni ’50 alla ricerca di nuove modalità di servizio missionario dopo il Concilio.
Società piccola e travagliata, e tuttavia non invecchiata, pare. Questo volume al quale P. Piero Gheddo si è dedicato con passione crescente, mostra la grande flessibilità unita ad una forte coerenza nel mantenimento dei fini che questi pochi uomini hanno vissuto fin dalla prima fondazione.
Il collante che ne fa un gruppo vario, e tuttavia unito, è certamente l’opera dello Spirito che non s’inquadra troppo, ma invita a tenersi aperti ad ogni strada che sia d’incontro con i «lontani», nel nome del Signore Gesù.
Leggere la loro storia aiuta a percorrere le dinamiche della fede che non è mai punto d’arrivo, né appagamento personale o comunitario, ma fermento e anche inquietudine ad andare, cercare, incontrare, proporre.
Aiuta anche a scoprire quanto si possa fare e in quanti luoghi se si è disponibili alla grazia.
La storia dei 150 anni del PIME infatti è anche storia, o parte della storia di molti paesi e Chiese.
Di quella italiana anzitutto, sempre generosa nel sostenere e nel darsi attraverso gli Istituti missionari, ma forse troppo poco attenta a capire e valorizzare questo fenomeno che è molto legato alla fede popolare e troppo poco, penso, alla cura dei Pastori e dei Teologi.
E poi di tante altre Chiese: fondate dal PIME, come in Cina, Hong Kong, India, Bangladesh, Myanmar, Amazzonia, o con le quali il PIME ha camminato e sta camminando per lunghi tratti. Leggendo di preti e laici partiti come missionari dalla Lombardia, dalla Campania, dal Veneto, dalla Sicilia, ci s’incontra con stupore con vita e storia di popoli diversi, si ha sentore di come influiscano reciprocamente gli uni sugli altri.
Piccolo Istituto, ma coinvolto con storie grandi, nelle quali a volte ha influito in modo rilevante, altre volte con la rilevanza di chi partecipa stando insieme, di chi «subisce» una parte di storia mescolato fra coloro che non contano, fra i perdenti; ma proprio per questo dà testimonianza della forza del Vangelo, dello Spirito di Cristo che si fa ultimo.
Ringrazio di cuore P. Piero Gheddo per questa sua fatica, nata da un’obbedienza non facile per lui; ringrazio quanti lo hanno aiutato e consigliato, anzitutto i Padri Angelo Bubani, Domenico Colombo e don Virginio Cognoli, con tutti i membri dell’Ufficio Storico del PIME.
Mi auguro che questo volume aiuti i nostri amici a rinsaldare i vincoli di amicizia e stima che ci uniscono, e i membri dell’Istituto a guardare avanti con coraggio, disponibilità, fiducia. Per molti anni i giovani di vari Paesi che si preparano ad entrare nella nostra Famiglia di Apostoli potranno trovare qui elementi storici su cui fondare la loro capacità di rinnovare il nostro futuro.

P. FRANCO CAGNASSO
Superiore Generale PIME

INTRODUZIONE

(Perché e come è nato questo volume)

Il primo cronista-storico del nascente «Seminario Lombardo per le Missioni Estere», padre Giacomo Scurati, inizia i suoi «Annali familiari» del Seminario missionario con queste parole (1):

«Come le memorie de’ genitori son sempre care ai figli, e la memoria delle vicende e delle pene, cui quelli andarono soggetti, è scuola ed eccitamento al bene; così le cose difficili, i patimenti e le virtù dei nostri primi padri narrate ai futuri, sono luce che rischiara la via, son fuoco che accende il cuore a nobile gara, nell’arduo corso della vita apostolica. Gli stessi errori, semmai nel volgere di cose grandi e nuove ne fossero stati commessi, giovano sia d’avvertimento per non ricadervi, che di ricordo per far degnamente apprezzare quanto costino le Istituzioni lasciateci. Il seguito della narrazione dimostrerà lo sviluppo del primo seme e le vie sempre adorabili della Provvidenza nel condurre le opere sue; mentre il sapere che anche il presente sarà tramandato alla memoria, può tenerci più attenti a non fornire una pagina di dolore a chi ci seguirà».

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Il 31 luglio 2000 il Pime compie 150 anni: nasce nel 1850 come «Seminario lombardo per le missioni estere», fondato su invito di Pio IX da mons. Angelo Ramazzotti (degli oblati di Rho) e dai vescovi della Lombardia, per offrire ai loro sacerdoti la possibilità di andare in missione come preti diocesani, senza dover entrare in una congregazione religiosa.
All’inizio il Seminario missionario accoglieva solo sacerdoti diocesani (che rimanevano incardinati nelle proprie diocesi) e laici: nel 1875, le difficoltà di ricevere sacerdoti convincono il primo direttore mons. Giuseppe Marinoni ad aprire il seminario teologico per accettare anche studenti di teologia. Dal 1911 in avanti si aprono il seminario filosofico e le «case apostoliche» (seminari minori).
Il «Seminario lombardo per le missioni estere» diventa nel 1926 «Pontificio istituto missioni estere» per volere di Pio XI che lo unisce al «Pontificio Seminario romano per le missioni estere», fondato a Roma nel 1971 per volere di Pio IX da mons. Pietro Avanzini. L’Istituto supera i confini della Lombardia e si diffonde in tutta Italia. Nel 1989 si compie l’evoluzione durata 140 anni: il Pime, da lombardo e italiano che era, diventa pienamente internazionale, a servizio della missionarietà non solo delle diocesi italiane o di paesi cristiani, ma anche di quelle che l’Istituto stesso ha contribuito a fondare in tutto il mondo.
Questo cammino di mondialità il Pime lo realizza anche nella scelta dei territori di missione: nato con l’aspirazione per l’Oceania («i popoli più lontani e abbandonati»), dopo il fallimento della prima missione in Melanesia Propaganda Fide lo manda in Asia e per un secolo si afferma come Istituto dedicato al continente asiatico; poi la Santa Sede e la storia lo spingono verso l’Africa, le Americhe e il ritorno in Oceania.
Un piccolo Istituto presente oggi nei cinque continenti. Piccolo il Pime perché, essendo partito come «Seminario lombardo» in dipendenza dei vescovi della Lombardia, per sessant’anni non ha pensato ad avere una seconda casa, oltre a quella di Milano. Poi, fra discussioni e contrasti, ha iniziato i seminari in altre parti d’Italia e nell’ultimo dopoguerra ha compiuto i primi tentativi di accogliere vocazioni anche dagli Stati Uniti, dal Brasile, dall’India. Ma solo nel 1989 matura nell’Istituto la convinzione che il carisma di fondazione (la missione alle genti) non può, nel tempo della globalizzazione, essere rinchiuso in confini geografici o ecclesiali: così, per trasmettere l’ideale missionario e formare missionari locali, si apre alle giovani Chiese, anche dietro richieste dei loro stessi vescovi.
Nei suoi 150 anni il Pime ha dato alla Chiesa circa 1660 missionari, quasi tutti italiani; negli anni sessanta, al massimo della sua crescita numerica, è giunto ad averne 710; oggi, nell’anno 2000, i sacerdoti, i diaconi e i missionari laici a vita (fratelli) del Pime sono 550. Con l’apertura internazionale si sta superando la tendenza verso la diminuzione numerica: già in questo 1999 i nuovi missionari (sacerdoti e laici consacrati a vita alla missione) sono più numerosi di quelli defunti o usciti dall’Istituto. Le prospettive per il futuro, con l’aiuto di Dio, sono buone .
Ma non conta solo il numero, conta quello che, con la grazia di Dio, i missionari hanno realizzato: la fondazione di più di trenta diocesi e il lavoro in un’altra quarantina in cinque continenti. Questo libro racconta, in modo storicamente rigoroso ma anche, spero, attraente, l’epopea di questo Istituto e dei suoi missionari, con l’evoluzione delle singole missioni spesso partendo da zero, cioè dal primo annunzio di Cristo fino alla Chiesa locale interamente costituita.

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Si può affermare che il passaggio del Pime dalla Lombardia alla nazione italiana e all’internazionalità (inter-ecclesialità e interculturalità) assume quasi il valore di una rifondazione dell’Istituto: apre prospettive nuove e impone nuove responsabilità.
Ecco perché, alle soglie del 2000, la direzione generale ha pensato di far scrivere una storia completa dei suoi 150 anni. È vero che la storia si incomincia a scrivere, dicono gli accademici, solo cent’anni dopo che i fatti sono successi: ma le etichette non hanno molta importanza, altrimenti non si potrebbe ancora scrivere né la storia della I e II guerra mondiale, né di fascismo, nazismo e comunismo.
L’Istituto si è preoccupato fin dall’inizio di documentare e riflettere sul suo passato. Padre Giacomo Scurati ha compilato, partendo dalla fondazione, gli «Annali familiari del Seminario lombardo per le missioni estere di Milano» e le biografie dei singoli missionari defunti (2). Poi sono venuti i missionari che hanno scritto la storia dell’Istituto e delle sue missioni, soprattutto Gerardo Brambilla, Giovanni Battista Tragella e Carlo Suigo (3): oltre a questi, altri si sono dedicati ed hanno prodotto studi su aspetti particolari dell’Istituto e delle singole missioni, biografie, diari, ecc. Al termine di questo libro sono elencati nell’appendice bibliografica circa 230 volumi, quasi tutti in lingua italiana, che rappresentano la produzione libraria più importante sulla storia del Pime (oltre agli articoli, non segnalati).
Un materiale notevole come mole, ma scarsamente reperibile e utilizzabile dai più. All’inizio degli anni novanta, il superiore generale padre Franco Cagnasso mi dice più volte che per il 2000 bisognerà pensare ad un’opera complessiva e attuale sulla storia del Pime e delle sue missioni; non tanto e non solo come strumento celebrativo dei 150 anni, ma per mettere una base storica al nuovo cammino che l’Istituto stava iniziando, dopo l’Assemblea generale di Tagaytay (Filippine, 1989): diventare internazionale, assumendo vocazioni dalle giovani Chiese che abbiamo contribuito a fondare.
Quando il 21 maggio 1994 padre Franco mi ha incaricato dell’Ufficio storico del Pime a Roma (fondato nel 1972), si è formato un comitato dello stesso e discusso i passi da fare per giungere a questo volume: pubblicare intanto una serie di volumi sulla storia delle circoscrizioni che celebravano in quegli anni il 50o di fondazione (Brasile, Amazzonia, Stati Uniti, Guinea-Bissau); e stimolare i missionari a raccogliere materiale e ad impegnarsi nell’iniziare delle sedi locali dell’Ufficio storico per produrre biografie, memorie, studi sulla storia di quella missione o regione, raccogliere documenti, diari e lettere di missionari.
Prendendo visione dell’Archivio generale, iniziato negli anni trenta da p. G.B. Tragella, poi continuato da p. Francesco Frumento e dal 1986 ordinato con tanta passione e maestria da p. Angelo Bubani, mi sono reso conto che gli antichi documenti dell’Istituto si consultano con difficoltà: carta fragile e trasparente, scritture a mano con calligrafie a volte quasi incomprensibili, inchiostri ormai sbiaditi ed evanescenti, impossibilità di fare fotocopie perché i documenti erano rilegati in volumoni di 1.500 pagine (adesso si è iniziato a restaurarli ed a sistemarli diversamente).
Solo uno studioso armato di una buona lente e di molta pazienza può ancora consultare quelle antiche carte.
Il primo lavoro messo in opera è stato quindi di far trascrivere al computer (dalla sig.na Marcella Massimi, oggi Clarissa nel monastero di San Cosimato a Roma) i documenti di fondazione del Seminario Lombardo per le Missioni Estere (tre volumi rilegati e fotocopiati); poi quelli di fondazione del «Pontificio Seminario per le Missioni Estere» di Roma (da p. Giuseppe Gariboldi, due volumi); infine, oggi p. Paolo Pivetta sta trascrivendo i documenti sull’unione fra i due Seminari missionari da cui nel 1926 è nato il Pime (4). Sono programmate altre trascrizioni di documenti e lettere dalle singole missioni, partendo dalla prima in Oceania.
Un materiale interessante, quasi del tutto ignoto. Ma la storia ricompensa ampiamente chi si mette a studiarla: la ricerca del nostro passato è indispensabile per capire il presente e programmare il futuro. Con l’aiuto di Dio, ho toccato con mano che anche le vecchie carte possono essere affascinanti. Soprattutto quelle scritte dai missionari.

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Il presente volume è frutto di un un lungo e accurato lavoro di ricerca, di scrittura e riscrittura (ogni capitolo ha avuto tre-quattro stesure), che ho compiuto con l’aiuto di diversi confratelli, alcuni dei quali voglio qui ringraziare in modo particolare: i padri Angelo Bubani (archivista del Pime), Domenico Colombo, Angelo Lazzarotto, Ferdinando Germani e altri, compreso il superiore generale p. Franco Cagnasso, che è stato largo di consigli e osservazioni sui testi che andavo producendo. Poi ringrazio don Virginio Cognoli (appassionato delle missioni e con esperienza di studi storici, che si è messo gratuitamente a servizio dell’Ufficio storico del Pime) e i confratelli sul campo che hanno avuto la pazienza di rileggere i capitoli delle rispettive missioni, mandandomi correzioni e aggiornamenti.
Un grazie anche alla redazione della EMI, che ha faticato non poco per produrre gli indici finali; a Bruno Maggi, a cui si deve la grafica di copertina e le numerose cartine geografiche, documentazione preziosa per un libro come questo. Ringrazio anche la mia segretaria a Milano, suor Franca Nava delle missionarie dell’Immacolata, per le ricerche fatte sulle riviste del Pime e la trascrizione al computer di numerosi testi utilizzati nel volume.

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Il libro che presento, in 23 capitoli e alcune appendici, è idealmente diviso in tre parti:
1) I primi otto capitoli seguono il cammino dell’Istituto dalla nascita al 2000, con attenzione agli avvenimenti che riguardano le direzioni generali e le vicende in Italia, paese d’origine: le fondazioni di Milano e di Roma, l’unificazione dei due Seminari missionari, i vari direttori e poi superiori generali, i Capitoli e Assemblee generali, i seminari e le case, la formazione e l’animazione, l’economia, le Costituzioni e i problemi giuridici, i rapporti con la Santa Sede ed i vescovi, ecc. Inoltre ho dedicato il capitolo II alla prima missione in Oceania (1852-1855), terminata col martirio del beato Giovanni Mazzucconi, perché è talmente legata alla fondazione dell’Istituto da non poterla disgiungere.
2) I 15 capitoli dal IX al XXIII riguardano le singole missioni e regioni d’Istituto fuori d’Italia (con le missioni in cui il Pime ha lavorato in passato), in quest’ordine:
— India del centro-sud (Andhra Pradesh, Bombay, Pune);
— Bangladesh – India del nord (Agra, Bengala);
— Hong Kong – Taiwan (con la missione in Borneo);
— Birmania;
— Cina;
— Stati Uniti – Messico – Canada – Inghilterra (con Colombia);
— Guinea-Bissau (con Sudan ed Etiopia);
— Camerun;
— Costa d’Avorio;
— Brasile del sud – Mato Grosso;
— Amazzonia;
— Giappone;
— Filippine;
— Thailandia – Cambogia;
— Papua Nuova Guinea.
Di ogni missione ho cercato di raccontare abbastanza compiutamente le vicende dall’inizio ad oggi, inquadrando il lavoro dei missionari nella storia del paese e della Chiesa locale.
3) La terza parte comprende la bibliografia e due appendici (i 18 martiri, cronologie ed elenchi vari), le cartine geografiche, gli indici dei luoghi, dei nomi e generale.

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Note per spiegare alcune caratteristiche di questo libro:
a) Nei primi otto capitoli la storia dell’Istituto è narrata con una certa ampiezza, che si riduce nei capitoli seguenti: non solo per necessità di spazio, ma anche perché alle singole missioni o regioni fuori d’Italia sono dedicati altri libri pubblicati dalla Emi in questa stessa collana dell’Ufficio storico 5: la serie è appena iniziata e verrà continuata anche con contributi di altri Autori. E poi per un altro motivo: il 2000 celebra la nascita dell’Istituto, più che delle sue missioni. Bisognava quindi illuminare soprattutto l’evoluzione storica del Pime, finora studiata solo nella fondazione e nei primi 50 anni di vita.
b) Nel raccontare la storia e soprattutto l’attualità dell’Istituto e delle missioni, oltre alle fonti scritte ho attinto anche a quelle orali. Più ci avviciniamo al tempo attuale, più il materiale scritto diminuisce: i missionari scrivono molto meno che in passato e per gli ultimi decenni gli archivi sono chiusi. Se si vuol dare un’idea del lavoro che oggi i missionari del Pime compiono, bisogna per forza visitare le missioni e fare interviste. Qualcuno mi ha rimproverato queste fonti che a volte sono interessate o dubbie oppure i protagonisti dimenticano, non ricordano bene. È vero, bisogna controllare con altre fonti, far leggere ad altri. Ma se non volevo chiudere il volume al 1950 (come qualcuno aveva proposto), le fonti orali sono inevitabili. E colgo l’occasione per ringraziare padre Domenico Colombo che dal 1972 dirige «InforPime», bimestrale interno dell’Istituto, fonte preziosa con numerose interviste ai missionari, indispensabile per conoscere la vita dell’Istituto e delle missioni degli ultimi trent’anni.
c) Nel volume non ci sono fotografie. Per 150 anni di storia, con missioni in ogni parte del mondo, pensavo di fare almeno cinque inserti fotografici per complessive 80 pagine. Poi ci siamo accorti che per un panorama significativo dell’evoluzione storica del Pime e delle singole missioni, si dovevano pubblicare 100-120 pagine di foto! Rimando perciò i lettori al fascicolo speciale intitolato «Pime 1850-2000: una storia lunga 150 anni», pubblicato nell’ottobre 1999 (116 pagine), con molte fotografie. Chi ne desidera una copia in omaggio la chieda alla redazione della rivista «Mondo e Missione» – Centro missionario Pime – via Mosè Bianchi, 94 – 20149 Milano – tel. 02-43.82.01.
d) Nei capitoli sulla Cina e Hong Kong – Taiwan ho usato la scrittura cinese tradizionale e non il «pinyin» moderno, mettendo alcune volte tra parentesi la grafia attuale (es. dopo Honan ho aggiunto Henan, dopo Kinkiakang Jingang, dopo Shensi Shaanxi, ecc.). Tutti i volumi e i documenti d’Archivio sulla storia del Pime in Cina sono scritti secondo la scrittura tradizionale (ancora usata ad Hong Kong ed a Taiwan): non potevo renderli incomprensibili al lettore d’oggi. Si pensi solo ad un classico come «I miei trentatre anni in Cina» di Lorenzo Maria Balconi (forse il miglior diario di un missionario del Pime): se nel presente volume avessi usato il «pinyin», Balconi non si potrebbe più leggere inquadrandolo nella storia della missione di Hanchung, perché tutti i termini geografici risultano diversi da quelli attuali. E mettere sempre accanto al termine moderno la grafia tradizionale, oltre che improba fatica, diventa impossibile quando si scende ai piccoli paesi e cittadine cinesi: ignoriamo come sono identificati oggi nella nuova terminologia!

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Mi è capitato spesso, leggendo le carte ingiallite del nostro Archivio generale, di ringraziare il Signore e di commuovermi per quanto mi passava sotto gli occhi:le testimonianze di dedizione assoluta alla missione, di scelte coraggiose e a volte temerarie per andare «ai più lontani e ai più abbandonati»; lo spirito di sacrificio in termini che oggi stentiamo persino a credere possibili; soprattutto l’amore appassionato ai popoli e alle Chiese che i missionari andavano fondando in Asia, ma anche in altri continenti.
Non si può scrivere la storia del Pime (come di altri Istituti missionari) senza dare risalto a questo spirito missionario, non merito o vanto di uomini ma prodotto dallo Spirito «protagonista della missione», come lo definisce Giovanni Paolo II nell’enciclica «Redemptoris missio» (capitolo III).
Quando, nel vivere le vicende quotidiane, abbiamo la tentazione di intristirci o di lamentarci della diocesi, della parrocchia, della congregazione o istituto a cui apparteniamo (e senza dubbio le occasioni non mancano mai!), la storia ci insegna che nella nostra comunità ecclesiale, piccola o grande che sia, è presente lo Spirito che produce in modo misterioso ma reale, anche in uomini deboli e peccatori come noi siamo, frutti spirituali, soprannaturali, di grazia e di gioia.
Padre Manna diceva ai missionari del Pime: «Siamo figli di santi» e mai come ripercorrendo con amore la storia dell’Istituto mi sono convinto di quanto questa frase corrisponde alla pura verità storica. Nello scrivere questo volume ho tentato di percorrere questa duplice via: leggere la storia dell’Istituto e delle missioni con attenzione scrupolosa ai fatti rilevanti in quel periodo storico, ma mettendo anche in risalto le testimonianze di santità, di spirito missionario che vivificano ogni nostro tempo storico. I 150 anni del Pime, almeno per noi dell’Istituto, sono quindi stimolo per continuare su questa via della santità e della missione, sia pur nelle forme nuove e diverse che lo Spirito vorrà suscitare.
La storia vera va illuminata da una lettura spirituale delle vicende umane, non per nascondere gli errori e i peccati commessi, ma per dare risalto anche ai buoni esempi che debbono tramandare ai posteri la forza dello Spirito presente in chi ci ha preceduto. Lo Spirito Santo agisce ancor oggi come negli «Atti degli Apostoli»: non è mai andato in pensione, non è mai invecchiato, non ha per nulla diminuito la sua forza di rinnovamento e di santificazione. Ne era convinto anche padre G.B. Tragella, che presentando il primo dei suoi tre volumi sul «Seminario lombardo per le missioni estere» (dal1850al1901) scriveva:

«La storia non è un trattato di ascetica; essa è quello che è e il primo dovere dello studioso è quello di rispettarla, non violentarla, sia pure a scopo di edificazione; una edificazione che non scaturisca genuinamente dalla verità storica è un pietoso inganno. Ma quando le dure vicende della vita noi le vediamo vissute e sofferte da uomini come noi alla pura luce del Vangelo, allora sì che la storia acquista una forza d’attrattiva irresistibile sulle anime non ignobili.
Storia veritiera, quindi. Non che essa debba accogliere il pettegolezzo che lascia intatto il corso degli avvenimenti, ma che non debba tacere nulla di quanto ha influito su questo sviluppo medesimo, venendo a farne parte integrante. Una tale eliminazione equivarrebbe ad una vera mutilazione della verità storica, come sarebbe mutilo il racconto evangelico dei Sinottici, se essi avessero soppresso la negazione di Pietro, l’incredulità di Tommaso, l’ambizione dei figli di Zebedeo, il tradimento di Giuda».

Ma Tragella non si fermava qui. Spiegando il «criterio storico » seguito nella compilazione dei suoi tre volumi di storia dell’Istituto, affermava che, oltre alla presentazione veritiera degli avvenimenti, si proponeva di far

«rivivere gli antichi protagonisti di questa vicenda missionaria, quasi sorprendendoli nel mezzo della loro attività giornaliera, con le preoccupazioni, gioie ed affanni del momento, uomini tra gli uomini, ma spessissimo nobilissime figure di molto superiori alla comune. Solo la Chiesa ha il metro per misurare i Santi: noi non possiamo che porgerle il materiale greggio sul quale essa possa, domani, lavorare, qualora le circostanze conducano gli avvenimenti per questo cammino. Noi siamo ben felici che questo primo periodo della vita dell’Istituto offra una storia che, pur attraverso le immancabili deficienze dei figli di Adamo — e sono figli di Adamo anche i Santi canonizzati! — può mostrare un volto sì luminoso da far arrossire tutti noi, lontani e, ahi!, quanto tardi, camminatori di quella via».

Parole che si possono pienamente condividere anche per il presente volume. Il sottotitolo di questo libro riprende il comando di Gesù: «Andate in tutto il mondo». Nella storia del Pime, grazie a Dio, non mancano i buoni esempi di missionari che hanno realizzato con grande dedizione questo comando, indicando la via che anche oggi dobbiamo percorrere.

* * * * * *

La storia infatti è scritta per conoscere il passato, ma anche per illuminare il presente e orientare verso il futuro. Quando sono venuto a Roma per dedicarmi alle vicende storiche del Pime, all’inizio ho sofferto perché mi sembrava di staccarmi dalla vita, dall’attualità, dal giornalismo missionario, dai problemi gravi della missione nel tempo presente. Poi il Signore mi ha fatto capire che proprio la storia dell’Istituto è il vento più forte e gagliardo, dopo la grazia di Dio naturalmente, perché il vascello del Pime gonfi le sue vele e continui a solcare i mari e gli oceani per annunziare Cristo ai «popoli più lontani e abbandonati».
Di cosa ha bisogno oggi un Istituto missionario, se non di ritrovare e rafforzare lo spirito delle origini e della sua tradizione? La missione è opera di fede, viene dalla fede, senza la fede non sussiste; se la fede si appanna o la si dà per scontata, la missione perde senso e valore. Il Pime (come gli altri Istituti missionari) è nato dalla fede dei primi in Gesù unico Salvatore dell’uomo e dei popoli: se non si ricupera integralmente quella fede forte, viva, appassionata, entusiastica, commossa, tutti i discorsi che facciamo e i fatti che poniamo hanno poco senso. Ecco perché la storia è importante, non solo per la formazione dei missionari, ma anche per l’animazione missionaria e per suscitare nuove vocazioni alla missione. Cosa presentiamo ai giovani per gettare in loro il seme della vocazione missionaria tra le genti?
Il 7 settembre 1982, mons. Giacomo Biffi (allora ausiliare di Milano, oggi cardinale arcivescovo di Bologna), è venuto al Pime per una celebrazione eucaristica e ha detto (6):

«Mi si stringe il cuore quando vedo un raduno missionario o una marcia missionaria dove, per avere il coraggio di fare la manifestazione, continuiamo a parlare della gente che ha fame, che ha bisogno dei pozzi… Tutte cose santissime, ma molte volte non ci si ricorda di dire che è Gesù che dobbiamo annunziare, che questa è la salvezza: altrimenti, non valeva la pena che il Padre mandasse il Figlio in terra soltanto per costruire dei pozzi. La salvezza è che venga fatto conoscere Gesù Cristo.
Fratelli miei — aggiungeva Biffi, — che vi chiamate missionari, non lasciate che il vostro ardore, l’ardore di quelli che hanno fondato il vostro Istituto, l’ardore di mons. Ramazzotti e di mons. Eugenio Biffi, sia mai raggelato dalle beghe ecclesiali, dalle ipotesi teologiche, dall’ideologia di moda tra i cristiani istruiti, quelli che sono più lontani dal Regno di Dio, secondo il capitolo XI del Vangelo di San Marco… Se guardo alla mia esperienza, e ormai sono in un’età in cui si incomincia a fare i bilanci, io debbo dire che sarei certamente un po’ diverso e credo, tutto sommato, peggio di quanto non sia, se non avessi incontrato ad esempio gli articoli di padre Clemente Vismara… se non avessi letto la vita di mons. Eugenio Biffi».

Il 2 dicembre 1992 il card. Carlo Maria Martini ha parlato a Milano ai missionari del Pime impegnati nella stampa missionaria (7): ricordando le lettere di san Francesco Saverio diceva che avevano

«un fuoco straordinario per il Vangelo. Ancor oggi le sue lettere hanno una forza comunicativa straordinaria. Noi vorremmo — continuava Martini — che la nostra stampa missionaria fosse sempre così, cioè che avesse questa forza comunicativa del Vangelo proprio attraverso le notizie sulla diffusione del Vangelo…. Ridateci lo stupore del primo annunzio del Vangelo, ridatelo alle nostre comunità, non soltanto ai cristiani delle terre di missione, ma anche a noi… perché questo stupore riscaldi il cuore di tutti e tutti possiamo rivivere la gioia di cui parla Isaia: ‘‘Prorompete in canti di gioia perché il Signore ha consolato il suo popolo’’».

Ecco il senso della storia di un Istituto missionario, nel quale i san Francesco Saverio sconosciuti, ne sono convinto, sono tanti, ma purtroppo ignorati da noi stessi che siamo i loro successori. In questo libro sono rievocati decine di missionari capaci di infiammare i giovani (dai nove ai novant’anni!) con la loro santità, le avventure, la donazione totale all’ideale missionario di portare Cristo ai popoli, convinti che proprio di Lui i popoli hanno soprattutto bisogno.

Roma, 3 dicembre 1999

PIERO GHEDDO

NOTE

[1] AME (Archivio Missioni Estere), XXXV, pag. 9.
[2] I manoscritti sono nell’Archivio generale del Pime a Roma.
[3] Si vedano le loro opere nella bibliografia al termine del volume.
[4] Da queste trascrizioni al computer di tutti i documenti della fondazione e dell’unione fra i due Seminari missionari di Milano e Roma (sette volumi per circa 1.600 pagine), padre Domenico Colombo e don Virginio Cognoli hanno tratto il volume «Pontificio Istituto Missioni Estere – Documenti di fondazione» (Emi, 2000, pagg. 464), che contiene i documenti più importanti e significativi sulla fondazione del Pime, con adeguato commento storico-critico. È il testo base sulla nascita dell’Istituto, da affiancare al presente volume sulla storia dei 150 anni: la nascita del Pime, infatti, ha caratteri originali e provocatori.
[5] Mi riferisco alla serie dei volumi di Piero Gheddo sulle singole missioni affidate al Pime, pubblicati dalla Emi: Missione Brasile, Missione Amazzonia, Missione America e Missione Bissau (vedi elenco nella bibliografia finale).
[6] Omelia di mons. Giacomo Biffi all’Assemblea generale della regione Italia nord del Pime, Milano, 6-9 settembre 1982, in «Quaderni di Infor-Pime», n. 26, pagg. 5-9.
[7] «Infor-Pime», n. 101, marzo 1993, pagg. 1-3.

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