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Una decina di anni fa padre Fedele Giannini, da quarant’anni in Giappone, mi diceva: “Quando ritorno in Italia per le vacanze, mi convinco di questo fatto: il Giappone ha un governo ricco e un popolo povero, l’Italia ha un governo povero e un popolo ricco”. I giapponesi lavorano di più e vivono in modo più austero di noi italiani: appartamenti più modesti, cibo meno ricercato, vestiti più usuali, molte meno auto di noi (nelle città solo chi ha un parcheggio interno ha la sua auto!) e via dicendo. In compenso i loro servizi pubblici sono incomparabilmente più diffusi ed efficienti dei nostri. Non solo i trasporti, settore in cui il Giappone ha il primato mondiale (nel 1986 avevo già viaggiato fra Tokyo e Osaka a 280 km. orari, la nostra Tav è iniziata da pochi mesi fra Torino e Milano), ma in molti aspetti della vita sociale: assistenza scolastica e sanitaria, poliziotti di quartiere che conoscono tutte le famiglie, efficienza della burocrazia statale, istruzione e vendita di libri e giornali.

Nella recente campagna per le elezioni politiche in Italia, tutti i discorsi erano centrati sull’economia. Non si parlava di politica internazionale né della diminuzione numerica degli italiani! Non si è accennato a quello che il card. Ruini e Benedetto XVI (parlando ai parlamentari europei del P.P.I.) hanno come “prioritario nelle scelte politiche dei cattolici”: difesa della vita, del matrimonio, della famigia, della libertà e parità scolastica fra scuole di stato e scuole private. Nessun politico ha osato accennare ad un tema fondamentale, se vogliamo che l’Italia si riprenda: noi italiani dobbiamo convincerci del fatto che in genere viviamo ad un livello di consumi superiore a quanto potremmo permetterci in base alla nostra produttività e competitività internazionale.

Da dove viene il debito dello stato italiano (106% del Pil) triplo rispetto ad altri paesi al nostro livello? Negli anni settanta e ottanta, i governi (e gli enti locali) cedevano facilmente ai sindacati e categorie organizzate di cittadini, concedendo più di quanto lo stato avrebbero potuto. Mio fratello Franco, a quel tempo segretario della Cisl a Torino, mi diceva che negli incontri a Roma con il governo per i contratti nazionali, se chiedevano 10 di aumento, il governo concedeva 12 pur di avere la pace sociale e i voti alle elezioni politiche: a quel tempo era concreto il pericolo che comunisti e alleati conquistassero il potere in modo democratico! Si sono fatte leggi scellerate come quella sulle “baby pensione”: bastavano 15 anni di servizio allo stato e si poteva andare in pensione anche a 38-40 anni (facendo poi un altro lavoro con un contratto da libero professionista).

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Io sogno un presidente del consiglio che, in accordo con l’opposizione, faccia agli italiani questo discorso che nessuno può fare: “Cari italiane e italiani, il mio governo si assume un compito molto gravoso e non facile. Dobbiamo ridare slancio all’Italia in campo economico e come riduzione delle spese dello stato, perché non è possibile governare con un debito di queste dimensioni. Abbiamo fatto, noi italiani, le cicale per molti decenni, ora dovremmo imparare ad essere un po’ formiche. Non vi prometto facili guadagni e aumenti continui di reddito, ma lacrime e sangue, unite alla giustizia distributiva, per rimettere in sesto la nostra economia e avere il necessario per fare quelle riforme strutturali di cui il paese ha assoluto bisogno per non essere declassato fra quelli in via di sviluppo: ad esempio le grandi opere pubbliche bloccate da trent’anni”; e potrebbe anche aggiungere che dobbiamo accettare di limitare il nostro livello di vita, di sprechi, di superfluo, anche per poter meglio educare i giovani al sacrificio, alla rinunzia: la povertà educa, la ricchezza in genere diseduca; e per poter contribuire allo sviluppo dei popoli poveri in modo più adeguato.

Lo so che fare il mio sogno è pura utopia. Ma le grandi svolte politiche bisogna avere il coraggio di compierle, rischiando l’impopolarità: altrimenti, anche cambiando governo, l’Italia va sempre più giù. Perché non intendersi con l’opposizione non per un inciucio o una “grande coalizione”, ma per un’intesa concordata in modo da fare ai cittadini un discorso davvero serio e realistico sul futuro della nostra cara Italia?

Piero Gheddo

giugno 2006

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