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Foto di Gerd Altmann da Pixabay

 Si potrebbe liquidare l’episodio che il massacro perpetrato ieri a Kiremba, in Burundi, è stato un tentativo di rapina mal riuscito. Ma rimane il fatto che la Chiesa di missione, vivendo in situazioni estreme di miseria e instabilità politica, ogni giorno fa i conti con una criminalità e una insicurezza che rendono fatti del genere pane quotidiano, anche se il più delle volte non ne abbiamo notizia. Spesso la criminalità si confonde con la guerriglia anti-governativa.

Quanto è accaduto a Kiremba richiama i due genocidi del 1972-1973 e 1994-1995 in Ruanda e Burundi, con qualche centinaio di migliaia di morti (in Ruanda vennero uccisi quattro vescovi su nove e 92 preti su 140), senza che l’Occidente e l’Onu, dopo il fallimento in Somalia, intervenissero. La riconciliazione c’è stata ma ancor oggi l’ordine pubblico non è assicurato. Eloquente il dispaccio diramato lo scorso 28 ottobre dal Ministero degli Esteri italiano: “Si sconsigliano viaggi a qualsiasi titolo in Burundi. Si continuano a registrare episodi, anche gravi, di attacchi ad opera di ignoti ai danni della popolazione locale nella regione di Bujumbura e nella zona a Nord Ovest della Capitale al confine con la Repubblica Democratica del Congo (Rukoko), con voci circa la formazione di nuove bande ribelli. A un anno dalle elezioni, boicottate dai principali partiti d’opposizione, la situazione politica resta molto fluida. Si segnala inoltre che, per motivi di sicurezza, le Rappresentanze Diplomatico/Consolari del Burundi presenti in Italia subordinano l’emissione del visto di ingresso alla presentazione di una lettera di invito”.

Perché, allora, la Chiesa italiana continua ad essere presente in situazioni così pericolose? Quando venne assassinato in Turchia don Andrea Santoro fidei donum della diocesi di Roma, l’editorialista di un grande quotidiano italiano scriveva: “Ma perché questo bravo prete va a vivere in un paese dove non vogliono i preti cattolici? Perché non se ne sta nella sua città dove avrebbe tanto lavoro per la sua opera spirituale e umanitaria?”. Il sangue versato a Kiremba ricorda a tutti la realtà profonda della “missione alle genti”, che le Chiese cristiane continuano a promuovere, per portare a tutti gli uomini il Vangelo di Gesù, l’unico autentico rivoluzionario nella storia che cambia dall’interno il cuore dell’uomo e porta la pace nella giustizia e nella verità. Nel novembre 1995, quando sono stato l’ultima volta in Burundi, avevano appena ucciso due missionari Saveriani, i padri Ottorino Maule e Aldo Marchiol, con la volontaria Caterina Gubert, a Buyengero, 110 chilometri a sud di Bujumbura. Nella sala da pranzo dei Saveriani a Bujumbura, un cartello richiamava il motto del Santo Fondatore dell’Istituto, mons. Guido Maria Conforti: “I tempi sono tristi, ma non si è chiuso il tempo dei prodigi. I prodigi più belli sono quelli che opera la Grazia nel regno dei cuori”.

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Nel silenzio assordante dei media, si consumano sacrifici quotidiani che spesso non hanno nemmeno l’onore delle cronache, ma fanno parte di una normalità in cui la Chiesa è sempre in prima fila. Solo una grande fede e l’amore autentico al popolo fra il quale vanno a vivere può sostenere i missionari, le suore e i volontari italiani in paesi dove il pericolo di un massacro è all’ordine del giorno. Ci sono 6.000 missionari italiani in Africa e circa 7.000 negli altri continenti che, con la loro opera silenziosa e la loro testimonianza, ci mandano un messaggio: anche nel nostro Paese, se vogliamo uscire dalla crisi esistenziale nella quale ci auto-distruggiamo, dobbiamo ritornare a Cristo.

Piero Gheddo

Avvenire e altri periodici – novembre 2011

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