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Il volumetto di «piccole meditazioni sulla fede cristiana e il senso della vita» dell’abbé Pierre, che la Garzanti pubblica in questi giorni col titolo Mio Dio… perché?, ha suscitato – al momento dell’uscita – ampia eco in Francia e in altri paesi, Italia compresa. Certo perché il sacerdote francese è conosciutissimo per la sua lunga vita (93 anni!) tutta spesa per aiutare i più poveri, i “barboni”, i marginali. È uno dei simboli della Francia cristiana: non si è limitato a protestare, ma ha fondato le comunità Emmaus, che in tutto il mondo sono riuscite a mobilitare migliaia di giovani e persone di buona volontà per la solidarietà verso i meno fortunati. Ma il libro ha avuto subito successo specialmente perché l’abbé rivela di aver avuto relazioni sentimentali con donne, rilancia il sacerdozio femminile, sconfessa l’importanza del celibato sacerdotale e spezza una lancia in favore dei matrimoni gay… proprio mentre la Chiesa è impegnata a contrastare una deriva radicaloide della società.
Ebbene, come ha detto il cardinal Ersilio Tonini a “Panorama”: «Sono stato male a leggere quelle pagine… Questo simbolo (cristiano) è finito nella polvere e per molti di noi è un giorno di tristezza». L’arcivescovo di Parigi, cardinal Jean-Marie Lustiger, ha commentato: «L’abbé Pierre ha più di novant’anni e ha perduto un po’ la testa. La gente lo fa parlare. Gli mettono davanti un microfono e poi…».
Mio Dio…perché tuttavia non è un libro da buttare o demonizzare. Semplicemente l’abbé non dà, in questo caso, un “buon esempio”. Di “buoni esempi” ne ha dati tanti e potremmo anche ignorare queste “parole in libertà”, che un sacerdote non dovrebbe pronunziare; se non fosse che il volume pare a tratti far propria la tendenza, diffusa nel nostro tempo, al facile dissenso, o al dissenso di intonazione populista. Nella prefazione di Frédéric Lenoir si legge: «Non c’è dogma o istituzione che trovi grazia ai suoi occhi. La sua intelligenza e il suo senso dell’indignazione sono continuamente all’erta. Questo spirito critico, che non risparmia né il Papa né il presidente della Repubblica….».
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Nell’arco di mezzo secolo, nella Chiesa siamo andati da un estremo all’altro. Ricordo che nell’Anno Santo 1950, Pio XII chiedeva ai giornalisti cattolici di «creare un’opinione pubblica nella Chiesa», cioè invitava ad una maggior libertà d’espressione; oggi siamo arrivati all’eccesso opposto: ciascuno si sente autorizzato ad esprimere le idee più strambe o inopportune, con l’aggiunta che più sono critiche nei confronti della Chiesa, più trovano risalto nei giornali laici o laicisti, che non aspettano altro! Il danno è tanto maggiore quanto più autorità morale ha chi parla, come nel caso dell’abbé . Che poi, nella seconda parte di quel libretto, assume un tono del tutto diverso. Le “piccole meditazioni” su Gesù, l’Eucarestia, la Trinità (26 capitoletti in 90 pagine) sono veramente toccanti. Naturalmente non devo essere io a dire quanto l’abbé Pierre ci creda veramente, la sua vita lo dimostra meglio di ogni elogio. Diciamo che in tarda età può capitare di trovarsi guarniti di un minor senso critico, e di assumere una singolare cedevolezza allo spirito del tempo.
Quale scopo ha un prete nella vita? Evangelizzare. L’abbé Pierre avrebbe potuto chiedersi se ciò che in quelle pagine diceva contribuiva a portare il Vangelo in un mondo che – come lui ben sa – ne ha così tanto bisogno! Chi non conosce aspetti opachi della propria vita personale o dell’esperienza ecclesiale? Il gridarlo aiuta forse gli uomini di oggi ad incontrare meglio Cristo? Qualcuno obietta che il fariseismo è stato condannato da Gesù, ed è vero. Ma non si diventa farisei perché si stende un velo di pietoso riserbo sulle proprie miserie. Farisei si è quando ci si profuma riccamente all’esterno mentre l’interno è sozzo. E questo non è e non sarà mai il caso dell’abbé Pierre. Per questo, se avesse tenuto per sé le proprie miserie giovanili avrebbe compiuto un atto di misericordia. E adottando per sé magari quell’asse verità/misericordia, avrebbe chissà valutato diversamente anche quelle problematiche ad alta intensità su cui la Chiesa oggi si trova maggiormente esposta.
Piero Gheddo
Avvenire – febbraio 2006
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