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Nel dopo guerra, quando i governi europei concedevano in Asia l’indipendenza alle loro colonie, nel sud-est asiatico la Birmania sembrava il paese più fortunato, evoluto, ricco di materie prime e di terre. Già nel 1937 il governo di Londra concedeva alla Birmania l’autonomia dal dominio inglese in India e le classi colte e intellettuali si preparavano all’indipendenza. Ma erano le élites birmane (il 72% della popolazione), mentre le popolazioni tribali preferivano il dominio inglese, che aveva concesso loro ampia autonomia rispetto alla vera Birmania. Dal 1946 vari incontri fra le due parti si concludono col patto che dieci anni dopo l’esperienza dello stato indipendente, le singole etnie potevano uscire dalla Federazione birmana e costituirsi in stati separati. Il 4 gennaio 1948 nasce l’Unione Birmana e si ribellano i due partiti comunisti, “della bandiera rossa” (staliniano) e “della bandiera bianca”(maoista), in lotta contro lo stato: volevano una democrazia popolare e non parlamentare.

Poco dopo, anche le minoranze tribali entrano in campo perché, dicevano, il governo federale non rispettava le promesse: infatti, dominato dai birmani, dimette i loro capi (saboà), “birmanizza” l’esercito nazionale licenziando i loro militari e soprattutto privilegia il buddhismo per portare i tribali nella “sangha” (comunità buddhista). Così nasce “la guerra cariana” (1948-1953), combattuta non solo dai cariani. Una guerra crudele e sanguinosa, che minaccia l’unità nazionale anche perché i ribelli si alleano con i due partiti comunisti, uniscono le forze e riescono a liberare alcune regioni e anche la loro capitale Toungoo (cioè “Kawthule”, gennaio 1949), puntando poi su Rangoon. L’esercito nazionale alla fine prevale, si fanno diversi accordi, ma la guerra ristagna: i tribali occupano buona parte delle loro regioni, il governo tutta la parte pianeggiante abitata dai birmani. Ma ogni tanto scoppiano scontri armati, il paese non è tranquillo. I cariani erano orientati dalle élites battiste, che predicavano la guerra contro i birmani, mentre i cattolici volevano la pace; qui nasce la prima “persecuzione” dei cattolici, nella quale vengono uccisi tre missionari del Pime, Mario Vergara e Pietro Galastri (1950), Alfredo Cremonesi (1953).

Il governo democratico della Birmania delega diversi poteri alle forze armate, fin che, nel 1962, il generale Ne Win destituisce il primo ministro U Nu, promettendo di riportare l’ordine e instaurando una “democrazia popolare” sul modello sovietico. Infatti, nazionalizza le terre e le attività economiche, requisisce le scuole e le strutture sanitarie delle missioni cristiane e nel 1966 espelle tutti i missionari stranieri entrati nel paese dopo il 1948 (30 italiani del Pime): tutto è dello stato. Occorre chiarire la natura della “dittatura militare”, ma non è solo militare. Il regime fin dall’inizio si dichiara ateo e vuole instaurare un “socialismo birmano” e “di ispirazione buddhista”, che in realtà è un autentico comunismo e porta alla dittatura del partito e alla miseria: nel 1948 la Birmania era “il granaio dell’Asia”, esportava riso, oggi a mala pena basta a se stesso. Fra alterne vicende, i “militari-socialisti” sono ancora al potere, anche se, dopo la rivolta studentesca del 1988, sono stati costretti a convocare le elezioni nel 1990, vinte dalla figlia del “Padre della patria”, Aung San Suu Kyi, Premio Nobel per la pace. I militari non riconoscono la sua vittoria (il loro partito aveva solo il 10%), lei non ha mai governato e i suoi deputati eletti metà sono fuggiti all’estero, metà uccisi o in carcere.

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Il regime birmano da più di dieci anni è soggetto alla Cina. Un testimone oculare mi scrive: “I militari stanno costringendo i contadini a coltivare l’oppio per loro e fanno della Birmania il maggior esportatore del mondo… Oggi la Cina rifornisce i militari di armi per ripagare i legni pregiati, i minerali, il gas e il petrolio; costruiscono strade, ci inondano dei loro prodotti”. I cinesi sono già in Birmania, “colonizzano” e modernizzano alcune regioni tribali di confine. I buddhisti sono la maggior forza d’opposizione: se non riesce le loro ribellione pacifica, per Myanmar si aprono scenari ancora più cupi: potrebbe diventare, per interposto governo “locale”, una provincia cinese. I governi europei e quello italiano cosa fanno?
Piero Gheddo
settembre 2007 su Avvenire

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