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Ai primi di giugno si è svolta in Vaticano la conferenza internazionale «La lotta alla corruzione», promossa dal Pontificio consiglio giustizia e pace. Il presidente card. Renato Martino ha messo in luce «i danni arrecati dalla corruzione allo sviluppo economico e sociale dei popoli», specie di quelli poveri e retti da regimi totalitari: «Di qui la necessità di una quotidiana opera di educazione alla legalità».
Antonio Costa, sottosegretario generale delle Nazioni Unite, ha illustrato brevemente la situazione mondiale. «Solo in Africa, ha detto, il costo della corruzione ha raggiunto i 150 miliardi di dollari l’anno, equivalenti a un quarto del prodotto interno lordo (Pil) dell’intero continente. In più di un Paese, e in più occasioni, leader cleptomani hanno rubato l’intera ricchezza nazionale, lasciando le loro nazioni ancor più povere». Nell’Economic Report on Africa 2003, redatto da un ente Onu, si legge che dal 1970 al 1996 in Nigeria, i capitali esportati sono quasi 130 miliardi di dollari, ossia il 367 per cento del Pil. Se questi capitali rientrassero, il debito della Nigeria con i Paesi ricchi si trasformerebbe in un credito di 98 miliardi di dollari. Ma questo vale per tutti i trenta Paesi africani presi in esame: persino la poverissima Sierra Leone, grazie ai capitali dei suoi cittadini all’estero, diverrebbe creditrice per un miliardo di dollari! Nel maggio 2005 i vescovi del Kenya hanno pubblicato una lettera pastorale nella quale si legge: «La corruzione dei nostri funzionari pubblici e la mancanza di un buon governo, sono responsabili della povertà attuale tanto quanto le cause esterne».
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Nel dicembre 2005 è entrata in vigore la Convenzione dell’Onu contro la corruzione (Uncac), adottata nel dicembre 2003 e firmata da quasi tutti i Paesi aderenti alle Nazioni Unite, che si spera porti frutti nella lotta contro questo flagello planetario. La corruzione diffusa non è, infatti, un fenomeno solo africano. Poche settimane fa, ad esempio, il vicesindaco di Pechino, Liu Zhihua, supervisore delle opere per le Olimpiadi del 2008, è stato rimosso dall’incarico proprio per corruzione.
Durante l’incontro in Vaticano il presidente della Banca mondiale, Paul Wolfowitz, ha poi approfondito le cause della «cultura della corruzione», ribadendo la volontà della Banca Mondiale di sradicare la povertà, incrementando gli sforzi per sviluppare un’opera educativa di alto livello nel segno della legalità. Mons. Giampaolo Crepaldi, segretario del Pontificio consiglio Giustizia e pace, ha ricordato che «molte ricerche empiriche hanno dimostrato che una società maggiormente corrotta tende a crescere meno dal punto di vita economico, ad essere meno promotrice della persona, meno aperta e meno giusta». Per la lotta alla corruzione, insieme alla repressione del fenomeno, ha auspicato fra l’altro «istruzione e formazione delle coscienze».
Nei discorsi che si fanno su come aiutare i popoli poveri (africani, ma non solo) anche sulla stampa cattolica si parla di soldi, commerci, giustizia internazionale, materie prime, quasi mai dell’educazione e formazione delle coscienze. Eppure questo è il compito principale della Chiesa e del mondo missionario.
Mi chiedo perché la stampa italiana, e soprattutto quella cattolica e missionaria specializzata sull’Africa, ignori quasi del tutto il fenomeno della corruzione.
Quello che si pubblica sulla stampa occidentale ha notevole influsso sulle élite africane. Quando si è svolta, in Italia la campagna ecclesiale contro il debito estero che soffoca le economie più povere, il discorso più comune è stato quello di attribuirne la causa al Fondo monetario internazionale, alle banche, alle multinazionali, all’Occidente ricco. Si sono fatti studi, indagini sui tassi d’interesse e via dicendo. Tutto giusto e vero, ma ciò rischia di sviare i popoli africani, tra i quali è invalsa l’abitudine di attribuire a cause esterne le radici della loro povertà: «Voi siete ricchi perché noi siamo poveri». Questo non toglie che anche noi ricchi del mondo dobbiamo convertirci a una maggior austerità di vita e rispetto della giustizia e della solidarietà internazionale. Ma quando mettiamo l’accento solo su questo elemento non rispettiamo la verità dei fatti e non facciamo un buon servizio ai poveri. Non si aiutano i popoli poveri raccontando bugie.
Piero Gheddo
agosto 2006
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