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La stampa ha dato risalto alla decisione dei governi del G8 di cancellare i debiti di 18 paesi africani. Il Premio Nobel per la letteratura 1986, Wole Soyinka, dice a “Il Corriere della Sera” (13 giugno 2005) che la Nigeria non c’è in quell’elenco e aggiunge: “Il mio paese è ricchissimo, ma i soldi incassati per il petrolio finiscono nelle banche svizzere delle élites dominanti. Neanche un centesimo va alla gente. Non avrebbe senso cancellare il debito. E’ vero che ci sono forti colpe dei paesi occidentali… ma anche i nostri leader non hanno tenuto un comportamento esemplare. Malversazioni e violenze sono quasi dappertutto nel continente”.

“Economic report on Africa 2003”, dell’”Economic Commission on Africa” dell’ONU, è intitolato: “Capitali in fuga, Benzina per il debito estero”: negli ultimi 20-25 anni i capitali trasferiti all’estero ammontano a 274 miliardi di dollari, pari al 171% del prodotto interno lordo (pil) dei trenta paesi esaminati e superiori di 85 miliardi di dollari all’ammontare del debito con l’estero. “Questo gruppo di stati risulta essere creditore netto del resto del mondo, nel senso che i loro capitali privati oltre confine eccedono quelli del debito con l’estero”. Dal 1970 al 1996 in Nigeria, i capitali esportati sono quasi 130 miliardi di dollari, ossia il 367% del pil: se questi capitali rientrassero, il debito della Nigeria con i paesi ricchi diventerebbe un credito di 98 miliardi di dollari. Ma questo vale per tutti i 30 paesi studiati: persino la poverissima Sierra Leone, con i capitali dei suoi cittadini all’estero, sarebbe non più debitrice, ma creditrice delle banche e dei governi stranieri per un miliardo di dollari!

Nel maggio scorso i vescovi del Kenya hanno pubblicato una lettera pastorale sul debito estero dei paesi africani (agenzia “Zenith” del 4 giugno 2005). La lettera osserva che alla fine del 2004 il debito estero dei paesi sotto il Sahara ammontava a 231 miliardi di dollari, su circa 350 miliardi di dollari di pil. “I paesi africani devono spendere il 20% dei loro redditi solo per pagare gli interessi e le quote annuali del debito”. I vescovi tuttavia aggiungono che, oltre al debito, anche i sussidi dei paesi ricchi ai propri agricoltori rendono impossibile la vendita dei prodotti agricoli africani nei mercati mondiali. In passato, “i finanziamenti derivanti dagli aiuti e dai prestiti internazionali venivano spesso depredati dalla corruzione dilagante della pubblica amministrazione o da investimenti errati”. Oggi non va meglio: “La corruzione dei nostri funzionari pubblici e la mancanza di un buon governo, sono responsabili della povertà attuale tanto quanto le cause esterne”.

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In questi studi sul debito estero dei paesi africani, nessuno mai dice che la radice della povertà africana sta anzitutto nella mancanza di educazione, che si traduce in scarsa produttività in tutti i settori economici e nello scarso peso del popolo circa le libertà democratiche ed economiche. E’ giusto protestare contro i finanziamenti degli agricoltori nei paesi ricchi, ma questo vale soprattutto per i paesi asiatici in forte crescita produttiva ed economica (India, Thailandia, ecc.). Ma se è vero, come dice la Fao, che l’Africa nera importa il 30% del cibo che consuma, cioè la produzione agricola non basta nemmeno a nutrire la sua crescente popolazione, com’è possibile esportare cibo all’estero, al di là dei prodotti esotici (caffè, banane, cacao) delle moderne piantagioni? Com’è possibile che si sviluppi un continente che ha ancora circa il 50% di analfabeti (la Nigeria il 42%), con una crescita demografica che è sul 2,5% (Nigeria il 2,8, cioè circa tre milioni l’anno)? Con paesi che destinano il 2% del bilancio all’educazione, l’1,5% alla sanità e il 20% alle forze armate?

Se studiosi, politici, esperti internazionali (e vescovi) non cominciano a ragionare su questa vera tragedia africana, che i bambini sono scolarizzati al 60-65% (le bambine naturalmente meno!) non è possibile sognare un continente democratico, capace di avanzare anche economicamente. Ma chi va ad insegnare nelle scuole rurali (vale anche per gli operatori sanitari), con stipendi da fame, mentre in città chi ha una certa istruzione riesce comunque a cavarsela? Perché, invece di parlare sempre e solo di soldi per aiutare l’Africa, non si dice mai che i soggetti educativi (famiglie, scuole, partiti, sindacati, mass media, Chiesa), dovrebbero dare ai giovani l’ideale di spendere qualche anno o tutta la vita per i fratelli africani, come fanno i missionari e i volontari laici? Troppo comodo protestare contro governi, banche e multinazionali, e pensare di avere la coscienza a posto.

Piero Gheddo

agosto 2005

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