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Di Giovanni Paolo II si è detto molto, ma forse si è trascurata la chiave di lettura del suo pontificato: è stato un “Papa missionario”, ha dato una vigorosa spinta missionaria alla Chiesa. Nella “Redemptoris Missio” (nn. 1, 2) scrive: “Difficoltà interne ed esterne hanno indebolito lo slancio missionario della Chiesa verso i non cristiani ed è un fatto questo che deve preoccupare tutti i cristiani. Nella storia della Chiesa, infatti, la spinta missionaria è sempre stata segno di vitalità, come la sua diminuzione è segno di una crisi di fede”; e invita “la Chiesa ad un rinnovato impegno missionario”.
Oggi si tende a pensare che in questo periodo di crisi della fede dobbiamo anzitutto rievangelizzare il nostro popolo, per cui le Chiese tendono a chiudersi. Portare Cristo fino agli estremi confini della terra ci pare, nella nostra povertà spirituale, un’ipotesi azzardata, sconsiderata. Quante volte si sente dire: “Stiamo perdendo noi la fede in Gesù Cristo, come possiamo annunziarla e testimoniarla ad altri?”. Ebbene, anche qui Giovanni Paolo II va contro corrente. Scrive che la “Redemptoris Missio” (1990) “ha una finalità interna: il rinnovamento della fede e della vita cristiana. La missione infatti rinnova la Chiesa, rinvigorisce la fede e l’identità cristiana, dà nuovo entusiasmo e nuove motivazioni. La fede si rafforza donandola! La nuova evangelizzazione dei popoli cristiani troverà ispirazione e sostegno nell’impegno per la missione universale” (n. 2). Diceva a tutte le Chiese: uscite da voi stesse, appassionatevi ai popoli che non hanno ricevuto la fede, così la vostra fede si rinvigorisce e sarete missionari presso il vostro stesso popolo. Sempre diceva questo, soprattutto visitando le “giovani Chiese”. Mons. Fernando Capalla, presidente della Conferenza episcopale filippina, ha dichiarato (Asia News, 7 aprile): “l’eredità più importante” che Giovanni Paolo II lascia alla Chiesa filippina “è l’obbligo di condividere Cristo con gli altri paesi asiatici”. Nelle Filippine i cattolici sono circa l’84% dei 72 milioni di abitanti, mancano di sacerdoti e religiosi (ne chiedono all’estero), sono minacciati da un islam aggressivo (5%), dalla Chiesa filippina indipendente nata dal tronco cattolico (6%) e dalle varie Chiese e sette protestanti (4%); inoltre, come sappiamo, il paese è tormentato da due guerriglie (islamica e maoista) e da gravissimi problemi sociali. Eppure il Papa è andato due volte nelle Filippine (1881 e 1995) e sempre ha posto l’accento sulla priorità di essere una Chiesa missionaria! Lo stesso ha fatto quando è andato in America Latina. Ricordo bene i discorsi introduttivi alle due assemblee continentali di Puebla (1979) e Santo Domingo (1992) dei vescovi latino-americani (Celam): l’America Latina deve diventare missionaria.
Uno degli orientamenti dell’eredità di Giovanni Paolo II da approfondire é proprio questo: perché la rievangelizzazione dei nostri popoli cristiani, che tanto ci preoccupa tutti, passa attraverso “un rinnovato impegno missionario” delle nostre Chiese (diocesi, parrocchie, associazioni)? Mentre attendiamo nella preghiera che lo Spirito e i 117 cardinali del Conclave ci diano un nuovo Papa, si parla delle “rivoluzioni” che la Chiesa dovrà compiere per rispondere sempre più alle urgenze del mondo globalizzato: la missione alle genti è certo una di queste: “Per il singolo credente, come per l’intera Chiesa, la causa missionaria dev’essere la prima perché riguarda il destino eterno degli uomini” (R.M., 86).
Piero Gheddo
Avvenire – aprile 2005
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