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Il 3 ottobre 1989 è un giorno per me indimenticabile. All’inizio di settembre, mi telefona a Milano il segretario del Papa invitandomi ad un incontro con Giovanni Paolo II e poi a pranzare con lui. All’inizio pensavo fosse uno scherzo, poi ho controllato ed era vero. Così, alle 11 del 3 ottobre mi sono trovato nello studio privato del Papa con due cardinali, due vescovi, tre preti specialisti di studi missionari, il segretario polacco del Papa e naturalmente Giovanni Paolo II. L’incontro è durato due ore: abbiamo discusso dell’enciclica missionaria, poi pubblicata all’inizio del 1991, la “Redemptoris Missio” (La missione del Redentore), della quale ci erano stati mandati in precedenza diversi schemi e tracce di testo.

Il Papa poneva domande e ciascuno di noi dava il suo parere in tutta libertà. Io però continuavo a chiedermi come mai aveva invitato, assieme a chiari luminari di scienza teologica e biblica, anche il sottoscritto, che ha coscienza di essere solo un missionario giornalista, niente di più e niente di meno. La risposta me l’ha data il Papa stesso quando, alla fine del pranzo, gustando il gelato, ha chiesto guardandomi negli occhi: “Allora, chi è che mi scrive questa enciclica?” E aggiunge: “Voglio che sia un’enciclica di stile giornalistico, scritta soprattutto per le giovani Chiese e che si faccia leggere anche dai giovani. Dicono che io scrivo difficile…”. A titolo d’incoraggiamento dice: “Ti leggo su Avvenire e su Mondo e Missione” (mandavamo da molti anni la rivista del Pime ai vescovi dell’Europa orientale in omaggio).

Ma la storia che volevo raccontare è un piccolo particolare curioso in questo quadro per me emozionante. Prima di partire da Milano, avevo parlato del pranzo col Papa con l’amico Giorgio Torelli, giornalista e collezionista di oggetti appartenuti a grandi personaggi da lui incontrati. Nella sua casa ha fatto inquadrare la penna di Schweitzer, la pipa del re delle Figi e altre curiosità del genere. Torelli mi dice: “Portami una pagnotta dalla tavola del Papa”.

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Dopo il lungo dibattito sull’enciclica, non tutti si sono fermati a pranzo, eravamo rimasti solo in sei. Io ero seduto proprio alla destra del Papa. Davanti a me il card. Tomko, di fianco, a lato del tavolo, il segretario Stanislao Dziwisz. Non c’erano pagnotte, ma grissini. Si pranzava continuando la discussione sul tema missionario; poi Giovanni Paolo II, che in quei giorni doveva andare in Corea, mi rivolge domande su quel lontano paese dov’ero appena stato: “Che città hai visitato? Cosa pensi delle molte conversioni in quella Chiesa? Come sono i rapporti con i buddhisti?”. Mentre rispondevo alle domande del Papa, ho preso tre grissini e me li sono messi vicino al piatto, ma Tomko pareva avesse sempre lo sguardo su di me e Stanislao mi teneva d’occhio anche senza volerlo. Il momento opportuno è venuto quando il segretario è stato chiamato fuori della sala da pranzo. Con rapida mossa, mentre Tomko guardava dall’altra parte, i grissini sono finiti in tasca e ora fanno bella mostra di sé nella casa-museo di Giorgio Torelli, in una piccola bacheca sottovetro con targhetta in ottone: “Grissini della tavola di Giovanni Paolo II carpiti dal missionario Piero Gheddo il 3 ottobre 1989”.

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