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Cari amici di Radio Maria, come sapete, nel dicembre 2007 sono stato in Camerun a visitare i misisonari del Pime e ho già fatto cinque trasmissioni della mia rubrica mensile “La missione continua” sulla situazione del Camerun come popolo e come paese e poi anche della Chiesa locale. Siamo stati assieme nel Nord Camerun, appena sotto il deserto del Sahara e nel giugno scorso vi ho parlaro di Yaoundé la capitale e delle tre parrocchie nell’estrema periferia della città affidate ai missionari del Pime. Questa sera vi parlo di una casa di accoglienza e formazione dei ragazzi di strada che due giovani missionari italiani hanno creato.
Vi ho già detto che il Camerun è un paese tipico dell’Africa nera e parlando dei suoi problemi – il mese prossimo diremo della Chiesa camerunese – si capisce un po’ tutto il continente africano a sud del deserto del Sahara. Anche la capitale Yaoundé, con poco meno di due milioni di abitanti, è una tipica città africana, come ne ho viste tante. Più grandi o più piccole, con qualche palazzo in più o in meno, qualche chiesa diversa dalle altre, ma le strutture delle città più o meno si equivalgono. Hanno tutte tre caratteristiche: crescono in fretta, raddoppiano o triplicano la popolazione in pochi decenni; sono vastissime perché in Africa non mancano gli spazi e le case, casupole, baracche, sono quasi tutte ad un solo piano; terzo non hanno vestigia di un passato lontano di secoli, perché sono nate più o meno un secolo fa.
Sono città giovani, vivaci, piene di vita, stanno esplodendo. In genere, anche a Yaoundé, si respira un’atmosfera di giovinezza, di vitalità, di cambiamento continuo, di ottimismo e gioia di vivere, pur nella miseria delle periferie.
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A Yaoundé c’è un centro città ampio e moderno, viali alberati, palazzi governativi e grattacieli di uffici, ville con giardini circondate da alte mura, palazzi di appartamenti lussuosi a più piani, alberghi, supermercati, una bella e maestosa cattedrale cattolica spesso ripresa come simbolo della capitale del Camerun, come San Pietro a Roma o il Duomo a Milano.
La cattedrale di Yaoundé è stata costruita dai missionari francesi dello Spirito Santo negli anni trenta del novecento. In stile moderno ma che richiama le capanne africane, tutta bianca, si erge maestosa e solenne su una collinetta che la pone sopra il livello cittadino di una decina di metri e la rende visibile da ogni parte della vastissima città. Si entra in cattedrale da una lunga e ampia scalinata che dà sulla piazza del mercato e dentro, nel gran caldo africano, è un ambiente sempre fresco, spazioso, quasi in penombra, con le vetrate colorate che filtrano l’accecante luce del sole. Credo che sia la più bella cattedrale africana, il simbolo di questo paese che ha 18 milioni di abitanti, circa metà dei quali cattolici.
I parte – Da dove vengono i ragazzi di strada di Yaoundé
I turisti che vengono in Camerun (molti francesi e poi giapponesi e cinesi, poiché il Camerun è uno dei paesi più pacifici e ordinati dell’Africa), a Yaoundé abitano nel centro città in alberghi a quattro o cinque stelle e forse pensano, visitando musei, palazzi, chiese, parchi, che quella sia tutta la capitale del Camerun. Ma si sbagliano di grosso.
Yaoundé aveva 25.000 abitanti nel 1950, 500.000 negli anni ottanta, oggi è a circa due milioni e continua a crescere per due motivi. La forte crescita demografica della popolazione locale e poi i molti immigrati, dalle regioni rurali del paese e quelli che vengono in Camerun da paesi in guerra, dittatoriali, dove si soffre quotidianamente la fame. La città vera, al di fuori del centro e di alcuni quartieri residenziali sulle colline circostanti, è un’immensa periferia di case, casupole, baracche. Non le baraccopoli che ho visto in varie città dell’Asia e in America Latina. L’Africa ha tanti spazi e poca popolazione, anche le periferie cittadine sembrano meno disumane che altrove. Anche nella miseria prevale lo spirito tradizionale africano, che io ammiro moltissimo: la pazienza, tolleranza, la cordialità dei rapporti umani, l’accontentarsi di poco, la capacità di fare festa e di sorridere anche nelle situazioni più drammatiche.
Molti di coloro che giungono in Camerun da altri Paesi africani sono colpiti dal grande dislivello di ricchezza presente nella capitale: centri commerciali e aree residenziali di lusso da un lato e, dall’altro gli slum, quartieri poverissimi di baracche, dove si vive nella polvere o nel fango. Un ulteriore elemento che sorprende molti africani è che si sentono spesso chiedere «a quale etnia appartieni?», una domanda che sarebbe considerata estremamente scortese nelle loro nazioni di provenienza. Nel Camerun, grazie a Dio, finora non si sono manifestate eccessive tensioni tribali.
E’ uno dei rari paesi dell’Africa nera che dall’anno della sua indipendenza nel 1960 non ha conosciuto alcuna guerra tribale o civile, eccetto nel primo anno quando il Camerun di lingua inglese (perché colonizzato dagli inglesi) si è unito a quello di lingua francese.
Ho visitato una trentina di paesi africani e posso dire che il Camerun è uno dei migliori, anche se i problemi sono molti. Ad esempio, la miseria nelle periferie di Yaoundé è tanta. Padre Fabio Bianchi, portandomi a visitare la sua parrocchia di Ntemassi, mi dice: “Più della metà delle 12.000 persone della parrocchia mancano delle cose più necessarie alla vita: luce elettrica, acqua corrente, cibo quotidiano sicuro, assistenza medica e medicine; c’è gente che non sa cosa mangerà oggi e nemmeno domani e se riuscirà a mangiare. Ogni giorno è una lotta per trovare il necessario alla vita”.
Eppure il Camerun, nelle riviste internazionali autorevoli, è sempre segnato fra i pochi paesi africani che sono politicamente stabili, socialmente abbastanza tranquilli (non ci sono guerre tribali) e in crescita economica. Questo è vero, ma anche la capitale Yaoundé non offre lavori stabili di tipo industriale. Il lavoro è di tipo commerciale, nei servizi dello stato e del comune, nei ristoranti e negozi di vario tipo. Ma la produzione industriale di Yaoundé e del Camerun è quasi nulla. A Yapundé si producono sigarette, prodotti caseari, manufatti in argilla, in vetro e legname, alcune tipografie, la centrale elettrica e poco più. La capitale è il centro per il commercio e la distribuzione di caffè, cacao, copra, canna da zucchero e gomma.
Il vero limite dei paesi dell’Africa nera e anche del Camerun, oltre all’instabilità politica, è il fatto che producono poco o nulla in campo industriale. Anche il Camerun non ha una vera industria: cementifici, produzione tessile, sgranatura del cotone e produzione dello zucchero, ma poco altro. Importa quasi tutti i beni moderni, esportando ricchezze naturali (petrolio, minerali vari, legno) e prodotti agricoli. Non è possibile una crescita economica senza industria.
Quindi il dramma delle popolazioni che si riversano in Yaoundé e nelle altre città camerunesi è di rimanere senza lavoro, la disoccupazione. Non parlo di un lavoro fisso, stipendiato, che è per pochi privilegiati nel commercio, nelle scuole, nel settore terziario organizzato. Molti altri si accontentano di fare qualcosa per poter mangiare.
In questa situazione, com’è facile capire, nascono i ragazzi di strada. Secondo i dati ufficiali, in Camerun ce ne sono circa 10.000 fra le due maggiori città di Yaoundé e Douala. Probabilmente sono molti di più, mi dice padre Maurizio Bezzi, che ha iniziato il Centro Edimar, la casa di accoglienza di questi ragazzi. Però è un fenomeno abbastanza recente, perché finora la solidarietà di famiglia e di clan ha tenuto. Yaoundé ne ha sette od ottomila, non molti ma aumentano di continuo, nessuno si occupa di loro, solo poliziotti e carceri.
La società camerunese è ancora in formazione, con spostamenti di masse umane, governi che non riescono a governare e una povertà estrema che diventa sempre più intollerabile, insopportabile. Anche nei quartieri di baracche vedono la televisione! Questa società produce inevitabilmente molti ragazzi di strada, figli di famiglie disunite, di immigrati, oppure anche orfani che nessuno cura perché l’antica solidarietà di famiglia e di villaggio nelle città sta scomparendo. La maggior parte dei ragazzi di strada sono figli di una donna “single”, che ha avuto figli da parecchi padri, nessuno dei quali si è preso la responsabilità di essere davvero un padre.
A Yaoundé i ragazzi di strada si vedono ovunque, nella stazione ferroviaria, nei mercati, nei parcheggi di taxi, all’aeroporto, ovunque ci sia possibilità di guadagnare qualcosa. Anche in centro città, fuori degli alberghi e dei grattacieli dove vi sono gli uffici e i negozi di lusso ci sono ragazzini che vendono oggetti artigianali.
Molti sono soltanto bambini (se ne incontrano anche di 10-11 anni) che lasciano i villaggi d’origine in cerca di fortuna ma, per la maggior parte di loro non vi è che miseria e disperazione. Per sopravvivere in strada i ragazzi consumano spesso prodotti stimolanti (droghe dette “leggere”) e alcool. Queste sostanze hanno effetti nefasti su ragazzi giovani e già provati da una vita molto dura.
Attualmente, un gran numero di ragazzi tra i 10 e i 20 anni vivono sulla strada, in modo più o meno stabile. Molti di loro lasciano la famiglia al mattino e tornano alla sera, alla ricerca di cibo e dì qualsiasi lavoro. Altri non hanno famiglia nè scuola, sono privi di assistenza sanitaria. Un certo numero di questi ragazzi di strada hanno provato il processo, il carcere, che dovrebbe essere una possibilità di educazione e di redenzione e invece è una scuola di criminalità. Le prigioni in Africa sono spaventose, si può marcire in una cella buia e umida per mesi, prima di essere interrogati da qualcuno. Quando questi poveri giovani escono, molto spesso, sono peggiori di quando sono entrati!
Buona parte della popolazione camerunese è una popolazione urbana. La scuola incontra sempre più difficoltà nell’inserire i giovani nel mondo del lavoro, e l’agricoltura, che resta pur sempre la principale risorsa del Paese, non sembra soddisfare le aspettative dei giovani, che preferiscono emigrare in città. A questo va aggiunto (ed è secondo noi la causa principale) un indebolimento dei valori fondamentali che in passato tenevano unite le famiglie, oggi provoca ripercussioni negative soprattutto sulla famiglia. In effetti questa istituzione, così importante nella società africana, sta conoscendo una grave crisi: il divorzio, la poligamia, la fragilità dei rapporti, l’impatto con la modernità ed i suoi modelli comportamentali sono le vere minacce dei nuclei familiari.
E’ una pena conoscere alcuni di questi ragazzi di strada. Li ho incontrati nel Centro Edimar di cui parlerò tra poco. Raccontano le loro storie che più o meno si ripetono. Matteo, di 17 anni non sa dirmi quanti fratelli e sorelle ha, dice solo “sono tanti” e ne conta cinque, poi si ferma. Un altro, Andrea, ha solo 15 anni e mi dice che è venuto a Yaoundé l’anno scorso, quando è scappato di casa per una settimana ma poi tornando i suoi erano emigrati nel Nord Camerun e non li ha più trovati. Parla in un francese incerto si commuove. Altri non sanno dov’è la loro famiglia.
Lorenzo ha 22 anni ed è in strada da più di 10 anni, non conosceva nemmeno la madre, che l’ha riconosciuto lei, per caso in strada e si sono ricongiunti. Ha ricevuto assistenza da Edimar e ci viene a scuola per fare le elementari e avere il diploma di quinta elementare. Vuol fare il meccanico e già lavora ed ha da parte qualche soldo nella banca dei ragazzi di Edimar. La mamma abita nella parrocchia di Ngousso e rivede spesso il figlio che abita in una stanza in affitto. Ogni tanto si compera qualche attrezzo da meccanico per poter farsi una piccola officina. Si è tirato fuori dalla strada e ha preso in affitto un a stanza con un altro ragazzo di strada, anche lui sulla via giusta di studio e lavoro (di lui ho la foto).
Quando è venuto a Yaoundé aveva in tasca l’equivalente di circa due Euro, è sopravvissuto non sa dire come, anzi dice che Dio l’ha sempre aiutato. Ha il volto duro di chi ha subito molte fatiche e umiliazioni. Da tre anni frequenta il Centro Edimar e dice che per lui da lì è incominciata la sua rinascita. Spera di riuscire presto a trovare un lavoro come meccanico in qualche officina e così potersi sposare.
II Parte – Una visita al Centro sociale Edimar
Padre Maurizio Bezzi ha cinquantun anni ed è in Camerun da ventuno. Nel 1987 è stato mandato nel Nord Camerun dove ha imparato la lingua tupuri e ha iniziato il suo apostolato fra questa etnia che si sta aprendo a Cristo. Nell’ottobre 1991 è destinato alla capitale Yaoundé. Aveva 34 anni e incomincia ad interessarsi soprattutto dei giovani nella parrocchia di Ngousso, ma intanto prende contatto con un padre francese della congregazione di De Foucauld, Yves Lescanne, che operava da molti anni fra i giovani nelle prigioni della capitale e fra i ragazzi di strada.
Maurizio è un giovane prete vivace e pieno di entusiasmo per il suo apostolato ed ha ricevuto da Dio il dono di saper trattare con i giovani d’oggi, il gusto di stare con i ragazzi, di interessarsi di loro. Mi dice: “Quando ritorno in Italia per una vacanza, sento che molti si lamentano dei giovani, che non hanno ideali, sono svogliati, non lavorano e non studiano, vogliono solo divertirsi. E avanti di questo passo! Io penso che non è giusto dire questo. La realtà può anche avere molti aspetti negativi, ma dobbiamo chiederci: quale formazione hanno ricevuto questi giovani in famiglia, nelle scuole, nelle parrocchie? I giovani in genere sono trascurati anche nella Chiesa. Alla prima Comunione e un po’ anche alla Cresima ci sono iniziative, poi sfuggono all’attenzione delle parrocchie e dei preti, che certamente sono troppo occupati e non hanno tempo”.
Dalla sua piccola esperienza in Italia aggiunge che “i giovani sono sempre in ricerca. Alla loro età incontrano molte proposte e vie aperte, purtroppo spesso non incontrano adulti convinti della fede e della vita cristiana che diventino per loro esempi e guide. Questo in Italia, in Camerun è tutto un altro discorso”.
Fin dall’inizio che era in Africa, Maurizio si è interessato dei giovani e l’amicizia col missionario francese del De Foucauld l’ha orientato verso i ragazzi di strada. Padre Yves è stato un pioniere, il primo a rendersi conto che i ragazzi di strada andavano aumentando a Yaoundé e a fare qualcosa per loro. Ha pagato con la vita il suo difficile apostolato: il 29 luglio 2002, quando aveva 62 anni, è stato ucciso da uno dei suoi ragazzi che seguiva da anni, in un momento di rabbia e di follia!
E’ un vero martire della carità cristiana, ma padre Maurizio dice che non ha nessuna intenzione di diventare martire e non vede nemmeno, nella situazione attuale pericoli veri in questo senso. Ha avuto anche lui le sue disavventure, qualche minaccia e cose del genere, ma finora non avverte nessun senso di pericolo. Vedo come tratta questi ragazzi di strada, che sono anche giovanotti e uomini che si sono formati da soli in ambienti violenti, dove ciascuno pensa a se stesso per sopravvivere.
Un mattino padre Bezzi mi porta al Centro Edimar, che sorge nella grande piazza del mercato, piena di commerci sotto tende e ambulanti, davanti alla stazione ferroviaria, che è il luogo più frequentato dai ragazzi e bambini di strada, dove cercano lavoro e qualcosa da mangiare. Il terreno per la costruzione del Centro è stato concesso dallo Stato del Camerun, i cui magistrati e funzionari di polizia ammirano il lavoro di padre Maurizio e dell’altro missionario del Pime che lo aiuta, padre Marco Pagani, che però divide il suo tempo fra i ragazzi di strada e la grande parrocchia di Ngousso affidata dalla diocesi al Pime, dove è incaricato dei gruppi e associazioni giovanili. Anche padre Marco appartiene a Comunione e Liberazione e questo favorisce il lavoro in comune con padre Maurizio: assieme condividono tutto, cioè i metodi ed i contenuti della loro opera di Vangelo, di cui dirò meglio nella III parte di questo servizio.
Edimar è una bella e grande costruzione di due piani con un cortile davanti, dove i ragazzi giocano al pallone e dove ci sono le docce e i servizi igienici. E’ stato inaugurato il 10 maggio 2002 ed è intitolato alla Principessa Grace di Monaco, perché la costruzione l’hanno pagata il Principe Alberto di Monaco e altri benefattori del Principato, che ancor oggi aiutano attraverso l’organismo “Monaco Aide et Présence”. Naturalmente questi aiuti non bastano, com’è facole capire òper un impegno così gravoso. Parenti dei due missionari e amici d’Italia aiutano anche loro.
Il Centro Sociale Edimar (C.S.E.) è un’opera educativa che ha come scopo quello della re-inserzione familiare, sociale e professionale dei giovani e dei ragazzi di strada. «Edimar» era un ragazzo di strada brasiliano che si è lasciato uccidere dal suo capo banda pur di non uccidere a sua volta. Aveva detto: “Basta sangue sulle mie mani”. La fotografia di Edimar è esposta accanto a quella della Principessa Grazia di Monaco, i due modelli di vita ai quali i ragazzi camerunesi di Yaoundé si ispirano. La protettrice di Edimar è Maria, la mamma di Gesù e dei ragazzi di strada, un suo grande e bel quadro è all’entrata del C.S.E.
Padre Maurizio mi dice: “Il Centro Edimar è una formula nuova di accoglienza dei ragazzi di strada, per questo siamo conosciuti anche fuori del Camerun e vengono da noi anche da altri paesi africani ed europei per studiare quello che facciamo. In genere, gli altri centri di accoglienza prendono i ragazzi di strada e danno loro alloggio e vitto, oltre a scuola e assistenza sanitaria. Però, per forza di cose, possono ospitare poche decine di ragazzi e trovano grandi dififcoltà nel mantenere la disciplina, gli orari e via dicendo.
“Noi abbiamo scelto di non dare cibo e letto, ma educazione. I padri con i loro aiutanti educatori sono sempre presenti da lunedì a venerdì e i ragazzi vengono anche per confidarsi, chiedere un consiglio, incontrarsi fra di loro, discutere, confrontarsi con gli educatori. Noi vogliamo dare loro una coscienza dei loro diritti e fare in modo che si sentano unitti da un ideale, cheè l’ideale umano e crisiano di diventare uomini. Se li mantieni, rimangono bambini.
“Ti racconto un solo fatto. Alla stazione e nella grande piazza del mercato c’era una vera mafia che tiranneggava i giovani che fanno lavori precari. Adesso i ragazzi si sono messi assieme, si sono organizzati. Tutti d’accordo non hanno più pagato il pizzo e si sono difesi dalle intimidazioni, liberandosi dalla mafia. Adesso quel che guadagnano è tutto per loro, non debbono più versare il pizzo alla mafia”.
Chiedo a Maurizio: “Dove dormono e dove mangiano questi ragazzi?”.
Risponde: “Per mangiare si arrangiano, qui a Yaoundè non è difficile. Per dormire dormono in stazione, nel mercato coperto, in tanti posti possibili oppure cercano di prendersi una camera in affitto mettendosi assieme. Insomma, continuano a fare quel che hanno sempre fatto. Poi c’è una certa nostra forma di aiuto. Se un ragazzo ha già un piccolo risparmio nella nostra banca interna e ha bisogno di soldi per prendere una camera in affitto con altri, noi lo aiutiamo: gli aiuti che riceviamo dall’Italia servono per questi casi, perché avere finalmente una stanza vuol dire uscire dalla strada e cominciare a pensare in altro modo: non campare alla giornata, ma dare importanza allo studio, al lavoro, al risparmio, al matrimonio, ai figli”.
I beneficiari del progetto sono i ragazzi di strada e i giovani usciti dal carcere alla ricerca di qualcuno che li aiuti a inserirsi nella famiglia e nella società. Si tratta di ragazzi per la maggior parte di età compresa tra i 14 e i 25 anni. Al Centro Edimar vengono accolti dai 150 ai 200 ragazzi al giorno.
Il compito principale degli educatori del C.S.E. è di incontrare i ragazzi di strada, accoglierli, ascoltarli, e orientarli verso il reinserimento sociale e familiare, allo scopo di offrire loro un punto di riferimento stabile e di seguirli nel quotidiano. Attraverso tutte le attività proposte di tipo aggregativo (Sport collettivi, filmati, scuola, teatro) si sviluppa nei ragazzi un forte senso di socializzazione, fattore importante per contrastare la violenza tipica di questo ambiente e creare le condizioni per il loro recupero e successivo inserimento.
Il Centro è aperto 8 ore al giorno (dalle 10 alle 18). I servizi più apprezzati dai ragazzi sono le docce, la lavanderia, l’infermeria ed il magazzino guardaroba dei vestiti dei ragazzi e il deposito per i loro piccoli risparmi. Poi c’è la scuola elementare, fatta da universitari o insegnanti volontari e l’infermeria. Padre Maurisio mi dice: “Quotidianamente curiamo malattie semplici: piaghe, malaria … Per malattie più gravi collaboriamo con l’ospedale gestito dal C.O.E. di Milano e con altri ospedali della città. Circa 150 ragazzi ogni anno beneficiano di cure mediche negli ospedali cittadini”.
“Fin dall’inizio – mi dice padre Maurizio – abbiamo voluto mettere l’accento su alcune attività condotte in modo stabile e secondo una chiara proposta educativa:
– la scuola elementare serale impostata secondo 2 livelli: alfabetizzazione e possibilità di ottenere il diploma di quinta elementare con esame di stato. Frequentano una trentina di ragazzi e una quindicina hanno già preso il diploma di scuola elementare;
– Al lunedì pomeriggio proponiamo film e documentari riguardanti problematiche attuali (AIDS, droga, educazione civica, importanza dello studio, importanza della religione e della preghiera …), seguiti da dibattito. Una trentina di ragazzi sono regolarmente presenti;
– la biblioteca con libri e materiale didattico per i ragazzi coinvolti con la scuola;
– ogni sabato mattina il Centro organizza in alcuni quartieri della città degli incontri di calcio, spesso momenti privilegiati di incontro e di amicizia. Essendo lo sport un fattore importante di aggregazione al C.S.E. e fuori, il nostro tentativo resta sempre marcato da una proposta educativa chiara, coltivandone i valori umani e cristiani e particolarmente il dominio di sé e il rispetto dell’altro. In quest’attività sono coinvolti una decina di educatori, che incontrano settimanalmente una settantina di ragazzi.
– l’ascolto e l’orientamento personale, a cui è dedicato molto tempo. C’è anche uno psicologo che viene come volontario per sentire i ragazzi che hanno problemi particolari; e poi noi sacerdoti siamo sempre disponibili;
– la riunione settimanale collettiva. Ogni mercoledì, verso le ore 13 è il momento di maggior affluenza (80 ragazzi circa), tutti i giovani presenti nel Centro partecipano ad una riunione, in cui si discutono vari problemi personali e collettivi (vita sociale nel Centro, igiene personale, nozioni legali, necessità di rapporti con le famiglie…);
– l’educazione alla vita e all’amore. E’ un programma di formazione abbastanza diffuso nelle comunità giovanili e parrocchiali, per preparare i giovani alla vita familiare. E’ cominciato quando uno di loro ci ha detto: “Aiutateci nel cammino di formazione della famiglia, per evitare che i nostri stessi figli siano un giorno in strada”. Al Centro incontriamo quei giovani che hanno famiglia o che già vivono con una compagna e intendono sposarsi. A questi inconri partecipano anche coppie di sposi cattolici volontari, che spiegano i problemi e rispondono alle domande.
– l’aiuto nella ricerca di lavoro e nell’apprendimento di un mestiere. Il Centro funge da tramite con alcuni imprenditori e associazioni di vari settori (meccanica, edilizia, ristorazione, calzolai …) disponibili a sostenerci. Bisogna però notare che la maggioranza dei ragazzi che incontriamo preferisce svolgere lavori saltuari o comunque senza troppi obblighi. Le attività che prediligono sono: fare i portabagagli sul mercato e nelle stazioni, lavare auto, lavare i piatti nei piccoli ristoranti e bar, raccogliere e vendere rottami di ferro, fare i commercianti ambulanti… Una cinquantina di ragazzi beneficiano del nostro sostegno. In genere, i ragazzi di strada lavorano.Vicino ad Edimar c’è il grande mercato e la stazione, due posti in cui molti possono lavorare e guadagnare qualcosa: portano le merci e i bagagli, aiutano in lavori manuali, fanno i facchini e incominciano ad apprezzare il lavoro.
– Il servizio forse più importante del Centro Edimar è il deposito di borse, vestiti e piccoli effetti personali e soprattutto la piccola cassa di risparmio e l’insistenza sul risparmio dei soldi che guadagnano. Ciò aiuta i ragazzi ad una maggiore responsabilità ed a finalizzare meglio il lavoro svolto. Questa cassa di risparmio consente poi di erogare piccoli crediti per l’avvio di attività produttive. Circa 250 ragazzi sono coinvolti in questa iniziativa e ci dicono: “Se non ci fosse la nostra banca, quel che guadagnamo l’avremmo già speso giorno per giorno senza nessun scopo. Adesso sappiamo che, se risparmiamo, possiamo rifarci una vita”..
Parecchi lavorano da facchini, da aiutanti in garages e altro e se non sapessero dove depositare i loro risparmi, li spenderebbero male. Così invece si abituano al risparmio. Ci sono circa 250 ragazzi che depositano i loro risparmi, che sono dai due ai cinquemila Euro per ciascuno. Un certo numero di ragazzi si sono comperati il terreno e si dovrebbero costruire la loro casetta, alcuni si sono messi assieme ad una compagna e pensano al matrimonio, alcuni hanno già un figlio!
Per gestire al meglio le numerose attività, il Centro ha una quindicina di educatori tra permanenti e collaboratori volontaria tempo parziale (studenti, lavoratori, religiosi, medici). Al Centro Edimar ci sono due donne come segretarie, Mirella e Marta, che sono un po’ anche le sorelle maggiori, le mamme dei ragazzi: tengono le schede personali dei giovani, i depositi di denaro e di effetti personali, gli indirizzi delle famiglie e dei benefattori d’Italia e locali del Camerun. Vengono anche due giovani universitari come custodi, sono gli unici che dormono qui di notte.
Per garantire una migliore professionalità e assistenza specifica, l’equipe del Centro comprende le seguenti competenze : uno psicologo, due insegnanti di scuola superiore, una laureata in diritto, una laureata in economia.
Fra i servizi del Centro Edimar ai ragazzi di strada c’è anche la presenza in strada che i due missionari Maurizio e Marco e altri sei giovani educatori assicurano tre giorni la settimana, dalle 18,30 alle 22. Sull’imbrunire, a partire dal Centro essi visitano i posti dove questi ragazzi si radunano: bar, discoteche, cinema ed altri luoghi movimentati. Sono conosciuti e si fanno conoscere, parlano con tutti, anche con quelli che non frequentano il Centro.
“La fedeltà a questi appuntamenti è importantissima, mi dice Maurizio. Nel nostro “Tour de rue” siamo sempre accompagnati da parecchi ragazzi di strada e incontriamo ogni settimana circa 150 ragazzi, parlando con loro, ascoltando quelli che vogliono confidarsi o chiedere un parere, un consiglio”.
Chiedo a Maurizio se non ha paura nel trovarsi di notte in certi ambienti poco raccomandabili. Risponde: “Certo, prendo le mie precauzioni, ma noi ci presentiamo come preti, lo sanno tutti che siamo preti e per molti di essi è la prima volta che incontrano un prete così da vicino con possibilità di parlargli e ascoltarlo. Oltre all’angelo custode, siamo sempre accompagnati da qualcuno di questi ragazzi di strada che conoscono l’ambiente. Parliamo la loro lingua e il loro gergo, siamo ben inseriti culturalmente, insomma, siamo due di loro ma preti e cerchiamo di educare richiamando i valori tradizionali della religione, della fede cristiana, le preghiere che quasi tutti hanno imparato da piccoli”.
– Due volte alla settimana (lunedì e venerdì) due educatori del Centro Edimar visitano i tre commissariati di polizia del centro città, dove spesso i ragazzi che conosciamo sono in stato di fermo. La visita ha un carattere puramente umanitario. Secondo un previo accordo con i responsabili dei suddetti commissariati, ci è concesso uno spazio di dialogo e conforto morale con i giovani. Ciò consente di intervenire presso numerose famiglie, per tentare un cammino di riconciliazione soprattutto quando si tratta di giovani o addirittura di minorenni (ragazzi e ragazze). Constatiamo anche che la nostra azione in molti casi ha contribuito ad alleviare situazioni di sofferenza e, in ogni caso, a migliorare le condizioni di trattamento. In quest’attività sono coinvolti due educatori che incontrano settimanalmente circa 100 persone.
– Infine mi dice padre Maurizio, “I contatti con le famiglie dei ragazzi sono una delle nostre priorità. Tutto ciò che facciamo e proponiamo non perde mai di vista la possibilità del reinserimento familiare e sociale dei ragazzi. Nel contesto in cui siamo dobbiamo positivamente rilevare che la famiglia è percepita come qualcosa di importante. È pur vero che spesso i ragazzi e la famiglia stessa si ignorano, tuttavia nell’ambito familiare allargato c’è qualche spazio di accoglienza favorevole all’inserimento di un ragazzo che aveva tagliato i ponti.
“Le visite nelle famiglie sono quindi molto importanti e anche possibili soprattutto per i ragazzi di Yaoundé. Per le altri regioni del Camerun si collabora, dove è possibile, con centri simili al nostro e con le missioni del posto. Con tutti i ragazzi si tenta di aprire un dialogo mirante a sensibilizzarli sull’importanza del ritorno in famiglia. Ringraziando il Signore, ogni anno, circa 100 ragazzi di strada ritornano in famiglia.
III parte – I metodi educativi dei padre Maurizio e Marco
Quando ero a Yaoundé nel dicembre 2007, il giovane vescovo ausiliare della capitale è venuto a visitare il Centro Edimar e ad augurare Buon Natale ai ragazzi e ai loro educatori. Ha detto che aveva sentito molto parlare di Edimar, è rimasto molto contento e ha detto che tornerà ancora. Il Centro era strapieno di ragazzi, non avevano mai visto un vescovo da vicino, che è venuto con tutti i suoi paramenti episcopali, ma poi è un tipo giovane, simpatico, che ha saputo parlare molto bene ai ragazzi per circa tre quarti d’ora. Il vescovo ha raccontato la sua storia e le difficoltà e sofferenze sopportate per potersi realizzare come prete. Non si sentiva volare una mosca, è stata una festa meravigliosa per tutti quei ragazzi e giovani sbandati e disastrati dalla vita. Il giovane vescovo era uno di loro!
Padre Maurizio mi dice: “Vedi, il Centro esiste solo da sei anni, ma con nostra grande meraviglia suscita grande interesse in molti che sono preoccupati della situazione di molti giovani in Camerun e si interrogano su come educarli. Edimar è segnalato anche dalle autorità camerunesi come progetto pilota dove sperimentare nuovi sistemi educativi e vivere esperienze educative innovative, generalmente ben accolte dai ragazzi di strada. Siamo continuamente sollecitati da domande di diverse congregazioni religiose, da vari gruppi di educatori e da varie Università (anche europee) che intendono imparare i nostri metodi educativi. Vogliono mandare qualche loro giovane, prete o suora o laico, a vivere con noi per qualche tempo”.
Chiedo a Maurizio quali sono questi metodi educativi e lui dice:
“Noi diciamo sempre ai ragazzi che vogliamo aiutarli a diventare uomini responsabili e non assistiti eternamente dall’Unicef o da altri enti. Quindi il nostro programma è veramente educativo ed Edimar incomincia ad avere un influsso in città, come modello di quel che si potrebbe fare per i ragazzi che vivono in strada se ci fossero tanti centri come Edimar.
“Il malessere giovanile è principalmente dovuto all’esigenza molto sentita dai ragazzi di trovare negli adulti un ascolto più attento ed una maggior comprensione dei loro bisogni, sia all’interno della famiglia, che nella società in generale. I ragazzi di strada ed i giovani incarcerati rimessi in libertà, non chiedono che questo. Molti di loro soffrono per la mancanza di punti di riferimento nell’ambito parentale e della società. Per questo la presenza di una figura autorevole con un ruolo di educatore è per loro fondamentale.
“Educare per noi significa aiutare qualcuno a far emergere le proprie capacità e quindi a crescere. Si tratta di un processo che coinvolge l’intera persona e in cui l’educatore non può essere una figura neutrale. L’esperienza ci insegna che il processo educativo in generale, e con i ragazzi di strada in particolare, è più efficace quando trova degli adulti implicati con la vita dei ragazzi. Le stesse attività proposte dal Centro, scuola, formazione professionale, attività sportive, dialogo, sono volte a favorire una relazione educativa con gli adulti e rappresentano il mezzo più efficace per avviare un processo di reintegrazione sociale. Il nostro metodo educativo tende ad incontrare personalmente i ragazzi, cercando di evitare la generalizzazione. Tramite i nostri interventi, incontri sulla strada, assistenza medica, sport, ricerca di lavoro o di una scuola, visite alle famiglie o ai commissariati, tentiamo di personalizzare il progetto educativo.
“I risultati ottenuti sono incoraggianti perché bisogna sempre considerare che, al di là di ogni nostro tentativo educativo, resta sempre una realtà difficile da analizzare: il ragazzo e il mistero della sua libertà. Ma il Signore ci aiuta e anche i ragazzi, quando ricominciano a pregare, si sentono rinfrancati, rafforzati nel proposito di cambiare vita e tornare alla normalità di un lavoro e di una famiglia”.
“Al Centro Edimar – continua padre Maurizio – tanti fatti quotidiani ce ne danno testimonianza. Dio ci fa toccare con mano che la Sua opera continua, spesso a piccoli passi, ma inesorabilmente. L’esperienza di questi mesi ci sta indicando che l’impostazione educativa che il Centro propone ai ragazzi di strada ed ex detenuti che incontriamo (150–200 al giorno) porta i suoi frutti. Insomma, come dice Papa Benedetto nel suo libro su Gesù, “Gesù non è un mito, è un uomo, una presenza reale nella storia e nella vita di ogni uomo.”
“Il cuore dell’uomo è realmente sete di felicità: sia esso bianco o nero, non di rado sporco e spento dalla droga e dalla violenza che sono il suo pane quotidiano. Mi accorgo personalmente, e se ne accorgono gli educatori di Edimar, quando l’amicizia gratuita che noidiamo a questi giovani, chiedendo loro qual’è il senso della loro vita e chi sono i loro veri amici, non lascia nessuno indifferente. Non è tanto il bisogno di assistenza o di particolari tecniche pedagogiche, quanto piuttosto poter incontrare un luogo, degli adulti che ti sono amici e che ti richiamano continuamente alla responsabilità che hai (anche se sei un ragazzo di strada…) rispetto alla tua vita. E’ un richiamo continuo alla libertà della persona.
Nei dialoghi personali e nelle varie riunioni che costantemente facciamo con i ragazzi ci accorgiamo del bisogno profondo che hanno e di quanto attendono da noi. Spesso abbiamo l’impressione che tutto cada nel vuoto, in realtà siamo frequentemente sorpresi dal modo con cui ci guardano e percepiscono ciò che siamo e ciò che diciamo.
Un ragazzo un giorno mi diceva:” Tu ci conosci più dei nostri genitori che non vediamo da anni…”.
“E’ bello e confortante vedere che nonostante innumerevoli difficoltà, dopo essere stati rifiutati dalla famiglia e quindi “scelti dalla strada”, la nostra presenza costante è una provocazione che non ha nessuna pretesa se non quella di essere un abbraccio gratuito che non giudica ma che è tesa a valorizzare anche il più piccolo aspetto luminoso di una umanità, dove tutto farebbe tendere alla distruzione. E’ la sorpresa di uno che dopo anni di vagabondaggio e di apparente inerzia ti dice che è giunto il momento di “sistemare la mia vita, perchè mi sento molto provocato dalla proposta del Centro Edimar”.
Maurizio conclude: “Il Verbo che si è fatto carne continua ad abitare in mezzi a noi ed essere una Presenza che fa crescere la vita”.
Una giornata con Joseph al Centro Edimar
Si chiama Joseph, ha 17 anni, originario del Nord Camerun. Frequenta il Centro da più di due anni. Sulla sua scheda personale, che viene fatta per ogni ragazzo, c’è scritto che ha 14 fratelli (lui è il terzo), suo padre è poligamo con tre mogli, tutte casalinghe. Il padre è commerciante di bestiame, ma gli affari non vanno più bene come una volta. Sicché non riesce a mantenere la numerosa prole come nel passato. La situazione precaria spinge i ragazzi più grandi ad andarsene di casa, per cercare qualcosa da mettere nello stomaco. Anche Joseph segue questa trafila, cerca di occuparsi anche della madre.
La capitale di un paese è spesso il luogo dove tutti cercano di andare, sperando di trovare qualche modo per sopravvivere. Così anche Joseph. Appena sbarca dal treno, vede il Centro. Lui non conosce nessuno in questa grande città di più di un milione e mezzo di abitanti. I vecchi del giro lo individuano, spaesato e timido, e gli indicano il Centro, perché si possa almeno lavare, lasciare i suoi oggetti al sicuro, e riposarsi dal lungo viaggio.
Il tempo passa, e Joseph impara in fretta la legge della strada. Non assomiglia più al timido ragazzino quindicenne che abbiamo conosciuto al suo arrivo. Ormai è un «combattente», uno che sa quello che vuole. Uno che si batte ogni giorno per sopravvivere in questa società parallela che è quella della strada, società che non perdona mai, che non accarezza come faceva la mamma al villaggio. Una società dove le porte della prigione si aprono facilmente, così come quelle della droga, delle malattie, delle intemperie non solo meteorologiche. Joseph si muove ogni giorno in questo ambiente, in questa giungla urbana, avendo come punto di riferimento il Centro: un luogo dove sa di poter contare su qualcuno di fidato.
Quando era arrivato, aveva in tasca 500 franchi Cefa, equivalenti a 1500 delle vecchie lire. Ce li aveva dati in consegna. Con quelli, poco tempo dopo, aveva iniziato a comprare dei sacchetti in plastica da vendere ai viaggiatori. E’ difficile raccontare tutto quello che ha vissuto da allora. I suoi orari sono scanditi dall’arrivo e dalla partenza dell’unico treno passeggeri della giornata, che è anche l’unica possibilità di lavoro.
Come tutti i ragazzi che attendono l’apertura del Centro alle 10 di mattina, anche lui è già là, se il treno è arrivato presto. Appena entra, passa all’accoglienza, dove un educatore lo registra, lo indirizza al meglio dopo aver ascoltato i suoi bisogni. Gli viene dato un pezzo di sapone perché possa lavarsi. Ma prima di andare alla doccia, Joseph cerca l’educatore che tiene il conto dei suoi soldi. Gli consegna quelli che ha guadagnato nella mattinata o il giorno precedente, che saranno registrati nel suo conto personale. Così che li possa avere a disposizione quando dovrà comprare del materiale per il suo lavoro. Quella del piccolo risparmio è un’attività che il Centro favorisce e segue, perché è un modo attraverso cui i ragazzi iniziano a prendersi cura di se stessi e del proprio futuro.
L’anno scorso, Joseph aveva passato le feste di Natale in famiglia, portandosi dietro i suoi piccoli risparmi per donarli a sua madre. Dopo aver messo i suoi soldi al sicuro, può andare a fare la doccia. E lavare i suoi abiti, prenderne di asciutti al magazzino dove c’era il suo sacco, lasciato al suo arrivo, con tutti i suoi effetti personali: tutto ciò che possiede. Se ha problemi di salute, si reca all’infermeria, dove viene aiutato ed educato ad avere cura del proprio corpo, anzitutto come igiene personale.
Verso le 14 la direttrice della piccola scuola, fa suonare la campanella. Sono tre gli educatori del Centro incaricati di seguire i ragazzi in questa attività scolastica, piena di difficoltà: caratteri turbolenti, la disciplina non è cosa semplice da far rispettare!
Joseph, impressionato dalla vita del Centro, ha deciso di riprendere la biro in mano, almeno per imparare a leggere e scrivere. E’ tra i più giovani: l’anziano del gruppo ha quasi trent’anni!
Un test fatto all’inizio permette di stabilire il livello di preparazione e quindi di sviluppare un lavoro personalizzato. Joseph è all’inizio, ma si impegna.
Verso le 17 la scuola termina, perché il treno parte un’ora dopo, e se si vuole guadagnare qualcosa, è il momento di gettarsi nella mischia dei viaggiatori che si preparano a partire, per poter vendere loro ciò di cui hanno bisogno e guadagnare quattro soldi.
Se il treno parte all’ora prevista, c’è ancora il tempo per un ultimo momento di gioco al Centro. Il gioco è un elemento importante di educazione per questi ragazzi che nella strada non conoscono che lavoro e litigi, scontri. E’ anche la possibilità per gli educatori di stabilire rapporti di fiducia con i ragazzi stessi.
Sono le 19. Il buio è sceso su Yaoundé in fretta. La stazione è vuota. Il Centro chiude. Joseph cercherà un luogo sicuro dove passare la notte, assieme a qualche amico. Domani si ricomincia la lotta per sopravvivere. Ma non da soli. C’è un luogo, ci sono dei volti amici.
Ndje Ndje Marthe
Yoga Mireille
Segretarie del Centro Educativo Edimar
Padre Gheddo su Radio Maria (2008)
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