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Piero Gheddo a Radio Maria – Ore 21-22,30 – Lunedì 17-XII-2012
Il Natale di Gesù è la “buona notizia”, un benedizione di Dio nel nostro mondo pieno di notizie negative! Anche quest’anno Gesù nasce, come tutti gli anni da più di duemila anni, per rendere attuale tra gli uomini d’oggi il grande avvenimento che il Figlio di Dio si è fatto Uomo dalla Vergine Maria, ha iniziato il cammino che lo porta a morire in Croce ed a risorgere il terzo giorno, per salvarci dal peccato e dalla morte eterna. Gesù nascendo ci rivela il volto di Dio e porta agli uomini un messaggio di pace, di amore e tanti altri doni dei quali l’umanità ha bisogno.
Il Natale è una festa ormai universale, è Festa nazionale in quasi tutti i paesi del mondo, la celebrano anche in paesi islamici e buddhisti, perché invita a sentimenti di amore, di bontà, di perdono e ci porta il ricordo dell’infanzia e della famiglia, è la festa dei bambini e dell’innocenza e tenerezza dei bambini. Ci fa sentire tutti un po’ bambini, i canti natalizi, i doni del Bambino Gesù, il Presepio, sono segni che suscitano buoni sentimenti e bisogna mantenerli, viverli, tramandarli alle nuove generazioni.
Questa sera voglio riflettere con voi sul Natale, pregare affinchè la nascita del Bambino sia per tutti la luce folgorante che apre le menti e i cuori alla Fede nel Dio unico e trino, la Stella che condusse i Magi al primo Presepe vivente, per adorare il prodigioso Bambino che ha cambiato le sorti dell’umanità e anche le nostre. Senza il Natale di Gesù la nostra vita sarebbe senza futuro, senza speranza, non sapremmo perché viviamo, che è la peggior disgrazia che potrebbe capitarci.
La mia catechesi si svolge in tre punti:
1) La “buona notizia” di cui tutti abbiamo bisogno
2) Gesù è il Sole che sorge nella notte del nostro peccato
3) Nel Natale Gesù porta l’Amore e la Pace di Dio
I) La buona notizia di cui tutti abbiamo bisogno
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Nel Martirologio romano, un antico testo della Chiesa che racconta la vita dei martiri, la nascita di Gesù è annunziata in questo modo maestoso: “Nell’anno 752 della fondazione di Roma e quarantesimo secondo dell’Imperatore Augusto, Gesù Cristo, eterno Dio e Figlio dell’Eterno Padre, volendo santificare il mondo con la sua piissima venuta, concepito di Spirito Santo, in Betlemme di Giuda si fece uomo nascendo dalla Vergine Maria”.
San Luca racconta la Nascita di Gesù in modo più semplice e concreto. Ascoltiamo con attenzione e devozione: “In quei giorni uscì un editto di Cesare Augusto perche si facesse il censimento in tutto l’Impero. E tutti andavano a dare il nome, ciascuno nella propria città. Anche Giuseppe partì da Nazaret in Galilea e salì a Betlemme, la città di Davide, in Giudea. Andò a Betlemme perchè era un discendente diretto del re Davide, e Maria sua sposa che era incinta, andò con lui. E mentre si trovavano a Betlemme, si compirono per lei i giorni del parto e diede alla luce il suo figlio primogenito, lo avvolse in fasce e lo depose in una mangiatoia, perchè non c’era posto per loro nell’albergo. C‘erano in quel paese dei pastori che passavano la notte all’aperto, facendo la guardia al loro gregge. Un angelo del Signore apparve a loro e la gloria del Signore li avvolse nella luce. Essi furono presi da grande timore ma l’angelo disse loro: “Non temete! Ecco, vi annunzio una grande gioia che sarà di tutto il popolo. Oggi nella città di Davide è nato per voi il Salvatore, che è Cristo Signore. Questo sarà per voi un segno: troverete un bambino avvolto in fasce e deposto in una mangiatoia”. E subito apparve con l’angelo una moltitudine dell’esercito celeste, che lodava Dio e diceva: “Gloria a Dio nel più alto dei cieli e pace in terra agli uomini che egli ama”.
Che commozione, cari amici, rileggere queste parole del Vangelo a pochi giorni dal Natale. La semplicità del racconto di Luca contrasta profondamente con l’importanza che la nascita di quel Bambino rappresenta per tutta l’umanità.
Il primo e fondamentale significato del Natale è questo: a Betlemme Dio si è fatto uomo, ha assunto la nostra natura umana dalla Vergine Maria ed è apparso al mondo come un bambino qualsiasi. Il bambino di una famiglia povera, senza alloggio in una notte di gelo com’è in Palestina in questi mesi invernali, riscaldato, dice la tradizione, oltre che dall’abbraccio e dal latte di mamma Maria, dal fiato degli animali che c’erano in quella stalla, un bue e un asinello.
Il Figlio di Dio è nato nel popolo ebraico, il “popolo eletto”, che Dio aveva scelto e preparato per ricevere il Messia, il Salvatore. Dio che è Creatore e Signore dell’universo; Dio Giudice di tutti gli uomini è disceso dal Cielo, nel seno di Maria si formata la sua natura di uomo ed è nato piccolo bambino bisognoso di tutto per sopravvivere. In quel Bambino neonato che suscita tenerezza, che vorremmo prendere in braccio e baciare, c’è la natura umana e la natura divina. Una persona con due nature, divina e umana.
1) Il Natale è anzitutto e soprattutto la festa della fede. Io credo, noi cari amici crediamo che il Bambino di Betlemme è Dio e questa sera confermiamo la nostra fede, nella preghiera e nell’amore al Bambino Gesù.
Nel giorno di Natale la Chiesa ci fa leggere un Vangelo difficile, misterioso: “In principio era il Verbo, il Verbo era con Dio, il Verbo era Dio”. Cos’è questo “Verbo”? Il termine viene dal greco “Logos”, che significa parola, cioè manifestazione, rivelazione. Gesù è venuto a rivelarci la natura di Dio che è Amore, “Dio unico in tre persone uguali e distinte”, come dice il Catechismo. Gesù, la seconda persona della SS. Trinità, si è fatto uomo per salvare gli uomini dal peccato e dalla morte eterna, per aprirci la via che porta a ritornare a Dio,in Paradiso.
San Giovanni scrive: “Il Verbo era Dio. Tutto fu fatto per mezzo di lui e senza di lui nulla fu fatto di quello che è stato fatto”. Noi contempliamo e adoriamo il mistero della creazione. Dio ha creato tutto dal nulla, il cosmo, la terra, la natura, l’uomo. Quelli che non credono dicono che tutto viene dal Big Bang di milioni o miliardi di anni fa. Ma prima del Big Bang cosa c’era? Chi c’era? Si inventano teorie fantasiose pur di non riconoscere la Creazione di Dio. In poche parole ecco il mistero rivelato: “Tutto è stato fatto per mezzo di lui e nulla fu fatto di quello che è stato fatto”. Il Bambino Gesù è piccolo, caro, tenerissimo: ma è soprattutto il Creatore di tutto il cosmo, il Salvatore di tutti gli uomini.
2) Secondo aspetto della nostra professione di fede nel Natale. Gesù è la luce vera che brilla nelle tenebre e illumina gli uomini. Gesù Bambino è la presenza di Dio fra gli uomini. Noi oggi lo accogliamo, lo veneriamo, lo adoriamo, lo preghiamo. Ma questo Bambino è la luce che brilla nelle tenebre del mondo, dell’uomo, nelle nostre tenebre. Dio si è fatto carne per rivelarci le nostre tenebre, coè+ i nostri peccati e la luce che brilla per tutti.
Ecco il bivio a cu tutti ci troviamo confrontati tante volte nella vita: le tenebre del peccato e la luce che è Cristo. La scelta è nostra, è libera, dev’essere cosciente. San Guovanni scrive: “Il mondo non lo riconobbe… i suoi non l’hanno accolto. Infinite volte l‘uomo ha scelto le tenebre invece della luce, ma la luce continua a brillare in cielo e possiamo sempre orientare di nuovo la nostra vita.
Il Natale quindi è anzitutto la festa della fede e fede vuol dire fiducia: se davvero credo che Gesù Bambino è Dio, debbo vere fiducia in lui, convertirmi a lui. I buoni sentimenti che il Natale suscita sono collegati alla nostra fede, al nostro desiderio di essere salvati e liberati dal peccato.
3) Infine, il Natale di Gesù rappresenta una svolta nella storia dell’umanità. Nei piani di Dio l’Antico Testamento era l’affermazione di Dio Creatore e del dominio di Dio su tutto il creato e tutti gli uomini. La proposta dei Dieci Comandamenti indica agli uomini l’orientamento per vivere secondo la volontà di Dio che è anche il nostro massimo bene.
Gesù inizia il Nuovo Testamento, la nuova Alleanza fra Dio e l’uomo, la Legge dell’Amore, il discorso della montagna, l’amore universale a tutti gli uomini. Questo è un altro mistero, inspiegabile con la logica umana. Perché Dio ci ama? Non aveva e non ha bisogno di noi, eppure ci ama fino ad assumere la nostra natura umana, patire e soffrire fino a dare la vita per noi.
La nostra prima risposta all’amore di Dio è di orientarci totalmente a Lui, distaccandoci da tutto quello che, nella nostra vita, dispiace a Dio, al suo amore: invidie, maldicenze, spirito di vendetta, orgoglio e superbia, avarizia, ecc.
Quanti dicono che tutte le religioni in fondo si equivalgono perché tutte portano al Dio che non si è manifestato, sbagliano. Tutti i popoli cercano Dio, pregano Dio, chiedono grazie e perdono a Dio, ma non lo conoscono. Solo nel cristianesimo Dio si è manifestato ed è questo piccolo Bambino nella mangiatoia di Betlemme. Gesù si è fatto uomo per manifestarci il Volto di Dio, che è il volto del Padre nostro che sta nei Cieli, un volto di bontà, di misericordia, di perdono. Nella sua vita Gesù ha rivelato il volto di Dio. La parabola del Figliuol prodigo ad esempio. Quel padre amoroso il cui figlio è scappato di casa e ha sprecato la sua vita e i soldi del padre vivendo malamente. Il padre lo aspetta, sa che tornerà e prega che venga presto quel giorno. E quando ritorna non lo rimprovera nemmeno, anzi prepara un banchetto per festeggiarlo, lo perdona a gli offre ancora tutto il suo amore.
Il Natale è la festa della Fede e fede vuol dire fiducia in Dio. Qualunque sia la nostra situazione, qualsiasi sbaglio o peccato abbiamo fatto, Dio ci vuole bene come un Padre. Nel Natale noì dobbiamo tornare a lui, amarlo, pregarlo, pentirci dei nostri peccati e ricominciare una vita nuova. Ecco perché non è vero che tutte le religioni sono uguali. Il cristianesimo è diverso perchè è l’unica religione nella quale Dio si è fatto uomo e romane con noi nell’Eucarestia, in modo misterioso ma autentico, è sempre vicino e accoglie tutti quelli che vanno a trovarlo, a pregarlo, a confidarsi.
Nel nostro tempo di crisi della nostra Italia, delle nostre famiglie, dobbiamo ripartire dalla stalla di Betlemme. Il Natale ci invita a ritrovare la fede autentica delle persone semplici, dei pastori che accorrono all’annunzio degli angeli, dei Magi che vengono ad adorare Gesù da una terra lontana.
Nelle missioni, dove oggi nasce la Chiesa, si respira ancora questa atmosfera del primo Natale. Vi racconto uno dei tanti Natali che ho fatto in missione.
A M’Bahiakrò in Costa D’avorio, rivivo il Natale di Tronzano
Natale 1985. Sono a M’Bahiakrò, in Costa d’Avorio, con il parroco P. Giovanni De Franceschi del Pime. In Africa il Natale è una festa di popolo, cristiani e non cristiani celebrano la nascita dei Gesù. La vigilia di Natale, nella cittadina di M’Bahiakrò, è un susseguirsi di canti, danze, giochi, rappresentazioni, preghiere. Mentre in chiesa tre sacerdoti confessano (non conosco il “baulè”, confesso in francese), i gruppi di fedeli che vengono da ogni parte della vasta parrocchia si fanno gli auguri, si scambiano notizie. L’africano è comunicativo, espansivo. L’atmosfera è di festa e di gioia.
Gesù non è nato 2mila anni fa, ma nasce qui in questa notte per la prima volta. Nel salone parrocchiale, una decina di neonati posti su una stuoia, con la Madonna, San Giuseppe, l’asino, il bue, con molti pastorelli che girano loro intorno danzando e cantando: ogni bambino che nasce ripete il miracolo del Natale di Gesù.
La “messa grande” del mattino mi fa rivivere con emozione le solenne feste natalizie di quando ero ragazzo a Tronzano Vercellese. I canti a sgola spiegata, il rullare dei tamburi, la gente che canta, danza, batte le mani, fiumi di incenso e odori di un’umanità povera, le donne che allattano, la processione a passo di danza, cani e galline che si intrufolano fra le gambe, bambini che strillano… e poi, quella lunga schiera di chierichetti con le tuniche colorate, gli sgargianti vestiti della gente, i doni in natura portati all’altare: banane, manghi, polli, vino di palma, uova…
La fede in Africa è vissuta come un patto comunitario, che rende tutti fratelli e libera delle tristezze e delle angosce dell’esistenza. Non si può celebrare il Natale e rimanere tristi e scoraggiati. L’augurio natalizio che ci facciamo, cari amici, è quello dell’Angelo ai pastori nella notte santa: ” Vi porto una bella notizia che procurerà una grande gioia a tutto il popolo, oggi, nella città di Davide è nato il Salvatore” (Luca2, 10). Buon Natale col Signore Gesù, a voi e alle vostre famiglie!
II) Gesù è il Sole che sorge nella notte del nostro peccato
Il mistero dell’Incarnazione di Dio nel Santo Natale ha un secondo significato. Dio che si fa uomo è un forte segno di speranza per l’umanità. Gesù nasce a Betlemme per indicarci, con la sua stessa vita e la sua Parola (il Vangelo), la via che ci conduce alla vita eterna con Dio. Poteva limitarsi a mandare dal Cielo i suoi Comandamenti e precetti, come nell’Antico Testamento attraverso Mosè e altri Profeti. Ha voluto lui stesso assumere la natura umana nel seno di Maria e vivere la vita normale di un uomo, fino a morire in Croce per pagare il debito che gli uomini hanno contratto con il Creatore nel peccato originale.
Cari amici di Radio Maria, il Natale che celebriamo è l’invito ad una vita cristiana integrale, secondo il modello che Gesù ci ha lasciato nel suo Vangelo.
Il Natale è la luce che accende la speranza nel nostro mondo ammalato di pessimismo, di disperazione, di egoismo e di violenza che uccidono ogni speranza. La nostra società, lo sappiamo tutti, e lo ripete spesso Benedetto XVI, ha abbandonato la via del Vangelo e corre a rotta di collo verso il relativismo e il nichilismo, cioè verso la perdita di ogni senso della vita. Ma se la vita dell’uomo non ha più scopo, non vale la pena di viverla, meglio morire! Ecco il nichilismo (“nihil” in latino vuol dire nulla) che è all’origine di tutte le nostre crisi. Noi diamo la colpa all’economia, alla politica e a molte altre cause dell’egoismo umano. Ma la fradice della crisi è che non abbiamo più Dio nell’orizzonte della nostra società.
In un libro dell’Antico Testamento, la Sapienza, c’è la profezia poetica del Natale di Gesù. Ascoltiamo queste parole solenni e consolanti:
“Mentre un profondo silenzio avvolgeva tutte le cose
e la notte era a metà del suo corso,
la tua Parola onnipotente discende dal cielo,
dal tuo trono regale in quella terra maledetta” (Sap 18,14-15).
Parole forti e drammatiche. Il profondo silenzio e il buio della notte sono il mondo in cui viviamo, di cui tutti ci lamentiamo. I nostri discorsi sono spesso questi: non va bene l’economia, non va bene la politica, non va bene la famiglia, non va bene il lavoro, non va bene la scuola, non vanno bene i giovani e via dicendo.
Ecco la Buona Notizia del Natale di Gesù, un lampo nel buio della notte. Dio si è fatto uomo per non lasciarci soli e ha deciso di essere sempre vicino alla nostra miseria per aiutarci.
Il Beato padre Clemente Vismara, missionario in Birmania in una regione montuosa e forestale, al mattino si alzava prestissimo e saliva su una piccola collina vicina alla sua missione di Mong-Lin (che era a 1.300 metri), dove aveva fatto mettere una grande Croce e una panca. Arrivava in cima, si sedeva e pregava aspettando il Sole. E quando il Sole spuntava all’orizzonte e illuminava la foresta e le montagne, Clemente diceva: “Allora mi metto in ginocchio e ringrazio Dio per questo dono. E capisco che Dio c’è, è sempre con me e mi aiuta sempre”.
Anche la Festa del Natale, cari amici di Radio Maria, nella storia della Chiesa primitiva è stata celebrata con questo significato: Gesù che nasce è il Sole che sorge all’orizzonte della terra immersa nelle tenebre della notte.
Forse non sapete che i primi cristiani, quegli degli Atti degli Apostoli, celebravano la Festa della Pasqua, la Risurrezione di Cristi e la Festa della Pentecoste, la discesa dello Spirito Santo e la fondazione della Chiesa, ma non celebravano le altre Feste liturgiche, che sono nate a poco a poco nel corso della storia millenaria della Chiesa. Una delle ultime è l’Assunzione di Maria da parte degli angeli chela portano in Cielo che celebriamo il 15 agosto, dopo la definizione di questo dogma della Chiesa fatta da Pio XII nell’Anno Santo 1950. Prima c’era già la credenza e la devozione di Maria Assunta in Cielo, ma non c’era ancora la Festa liturgica.
Ebbene, per il Natale è successa la stessa cosa. I primi cristiani non celebravano ancora la Festa e la Liturgia del Natale. Come mai, quasi 300 anni dopo Cristo, si è celebrato il Natale di Gesù il 25 dicembre? I Vangeli non dicono in quale giorno è nato Gesù e Natale è l’unica celebrazione liturgica che ha un giorno fisso.
Perchè il 25 dicembre? Perché secondo il Calendario romano quel giorno era la Festa del Sole: il 21 dicembre è il solstizio d’inverno, cioè il giorno in cui il sole cessa di scendere all’orizzonte e lentamente incomincia a risalire, fino al 21 giugno quando ricomincia a scendere. In quel giorno si celebrava il Sole che nasceva. Il culto dei Dio Sole è antico nella Roma pagana e veniva da culti persiani ed egiziani. Il Sole era considerato la manifestazione di Dio Creatore, che i pagani non conoscevano, non avevano avuto nessuna Rivelazione. L’Imperatore Aureliano (270-275 dopo Cristo) fissa al 25 dicembre la Festa del Sole, celebrata solennemente in tutto l’Impero romano; in seguito, Papa Giulio (337-352) stabilì che la nascita di Gesù andava celebrata il 25 dicembre, il giorno del Sole nascente.
Questo non è solo un fatto storico, è un segno molto bello e significativo del cristianesimo nascente che si è adattato in tutto quello che era possibile nella cultura e nella giurisdizione romana. Però, già nell’Antico Testamento Gesù era preannunziato dai Profeti come luce, il Sole, il vero Sole che illumina la terra e gli uomini. Isaia scriveva: “ Il popolo che camminava nelle tenebre vide una grande luce, su coloro che abitavano in terra tenebrosa, una luce rifulse” (Is 60, 20). Malachia scrive: “Per voi, cultori del mio nome, sorgerà con raggi benefici il Sole di giustizia e voi uscirete saltellanti come vitelli di stalla” (Mal 3, 20). San Giovanni scrive: “In lui era la vita e la vita era la luce degli uomini… Veniva nel mondo la luce vera, quella che illumina ogni uomo” (Giov 1, 4-5, 9).
Ecco perché noi celebriamo il Natale con gioia. In quel giorno nasce, 2000 e più anni fa ma risplende anche oggi, il Sole che illumina le nostre tenebre, che riscalda i nostri cuori, che dà forza e speranza alle nostre famiglie e alla nostra società. Il Natale, se lo viviamo con fede, è una iniezione di speranza, di ottimismo sul futuro, a tutti noi che viviamo in una situazione di crisi esistenziale, oltre che economica e morale. Siamo immersi in un pessimismo che ci angoscia, ci rende tristi, a volte depressi, ci porta a chiuderci in noi stessi e nelle nostre famiglie, mentre il cristiano deve essere aperto agli altri, fiducioso, pieno di speranza.
Come sapete, vivo nell’Istituto missionario PIME, Pontificio istituto missioni estere qui a Milano in Via Monterosa, dove ogni mese arrivano o ripartono per le missioni miei confratelli tornati in Italia per un po’ di vacanze e di cure chirurgiche. Chiedo spesso a quelli ripartono per la missione: “Qual’è la maggior impressione dell’Italia che porti in missione? Cosa ti ha colpito di più?”.
La risposta comune è quella che mi ha dato padre Pietro Belcredi, da 40 anni missionario nell’Amazzonia brasiliana: “L’impressione più forte è il pessimismo che c’è nelle famiglie, anche tra i giovani. Molti sono scontenti, si lamentano di tutto, vedono oscuro il futuro dell’Italia. Mi stupisco, dice padre Belcredi, perchè io vengo dall’Amazzonia, dove la maggioranza della popolazione è povera e anche in vera miseria. Vivono in capanne e casupole, mangiano poco e male, il loro sogno è mangiare bene e avere un vestito nuovo, una motoretta. Eppure in genere sono allegri, sereni e sapendo che sono italiano, molti giovani mi chiedono di portarli in Italia, che loro lo immaginano quasi come il Paradiso terrestre!”.
Ho letto su “Avvenire” questa notizia: “Una ricerca scientifica sulla felicità dice che nei paesi più ricchi la felicità è più bassa rispetto ai paesi poveri. La ricerca analizza il livello di felicità dichiarata dalla popolazione americana dagli anni Cinquanta ad oggi. La curva si è sempre più abbassata col crescere del benessere e del reddito pro-capite. Al contrario, la curva della felicità è molto più alta nei paesi poveri che hanno almeno il necessario alla vita. Alla domanda sul perché di questi risultati, la risposta dell’esperto è stata: le relazioni sociali, gli altri. Nei paesi in cui la rete sociale è robusta, dove le persone non sono mai lasciate sole, dove la solitudine non è diffusa, il livello di felicità è più alto, nonostante la miseria”.
In altre parole: noi inseguiamo la ricchezza come fonte di felicità, mentre dovremmo insegnare i valori umani, rappresentati nel Bambino che nasce: amore, famiglia, solidarietà, comunione anche nel poco.
Ecco, cari amici di Radio Maria, perché, anche da un punto di vista puramente laico, il Natale di Gesù è una “Buona Notizia”: la nascita di un bambino è un messaggio di speranza.
I cristiani di Beddipally: “Non vogliamo giustizia ma perdono!”
Nel 1964, quando sono andato in India per la prima volta, i paria erano ancora discriminati nella società indiana (e un po’ lo sono anche oggi!): vivevano in villaggetti separati, non potevano frequentare i mercati, i templi, i trasporti pubblici, le scuole. Non potevano sposare persone di casta e soprattutto erano praticamente schiavi dei proprietari di terre e dei saukar, gli strozzini delle campagne indiane, che imprestano riso o rupie col 100 per cento d’interesse annuo.
Oggi l’India ha fatto un buon cammino di sviluppo e di liberazione dei suoi poveri, ma all’inizio degli anni sessanta le condizioni di vita dei paria erano davvero miserabili.
Nello stato di Andhra Pradesh (sudest dell’India) i missionari del Pime lavorano dal 1855 e hanno introdotto la scuola e l’assistenza sanitaria per i paria, hanno creato cooperative, «banche del riso», assistenza legale per i contrasti di terre e varie altre istituzioni di sviluppo. Soprattutto, attraverso il Vangelo, hanno dato ai poveri una coscienza della loro dignità e della necessità di unirsi per ottenere il rispetto dei propri diritti.
In queste regioni dell’Andhra Pradesh c’era stato e in parte c’è ancora un vasto movimento di conversione dei paria alla fede cristiana, che rappresenta per loro una crescita sociale e l’inizio del cammino di sviluppo. Naturalmente questa conversione al cristianesimo, che avviene non singolarmente ma per interi villaggi, non è vista bene dai non cristiani, dai proprietari di terre.
Nel dicembre 1964 ero in visita alla missione di Kammameth e il padre Augusto Colombo di Cantù (Como) mi aveva preparato il villaggio paria di Beddipally da battezzare. Vi siamo andati un sabato mattino in tre missionari e quattro suore per la cerimonia del Battesimo, preparato da due anni di catecumenato. Il povero villaggio di capanne di paglia e di fango era in festa, i 160 paria raggianti di gioia: danze, canti, pifferi, flauti, tamburelli, festoni di carta colorata alle porte e alle finestre. E poi, naturalmente, il grande pranzo a base di riso e maiale arrostito, nella cappella che serve anche da sala comunitaria e sui prati vicini.
Torniamo a Kammameth la sera, contenti anche noi della cerimonia e della felicità di quei nuovi cristiani. Il pomeriggio del giorno dopo, domenica, giungono da Beddipally tre giovani in pianto: «Venite subito al villaggio», ci dicono, «là è successo il finimondo, ci sono anche feriti e abbiamo perso tutto ». Vi andiamo con due jeep e troviamo il villaggio quasi distrutto, la gente piangente e disperata, alcuni feriti e molti acciaccati per le bastonate ricevute.
Era successo questo: i non cristiani dei villaggi vicini, gente di casta e proprietari terrieri, non avevano visto bene la conversione di Beddipally. Forse c’erano anche altri motivi di rancore, fatto sta che la domenica all’alba sono venuti armati di bastoni e hanno cominciato a bastonare tutti, uomini, donne, vecchi, bambini; poi hanno distrutto numerose capanne e sporcato i muri della cappella-sala comunitaria.
Mentre le suore curavano i feriti e distribuivano i primi aiuti, padre Colombo chiama i capi famiglia e dice loro che il giorno dopo sarebbe andato dal giudice a Kammameth a denunziare l’accaduto. Ma si sente rispondere: «Padre, noi non vogliamo nessuna vendetta. Tu ci hai detto che il Battesimo è il più grande dono di Dio e che la Croce è il segno di chi segue Gesù Cristo. Ecco, noi vogliamo soffrire qualcosa in silenzio per ringraziare Dio del Battesimo. Perciò non andare dal giudice, aiutaci e ricostruiremo tutto noi, ma senza chiedere punizione per i nostri persecutori. Non ci hai detto tu che dobbiamo perdonare le offese ricevute, come ha fatto Gesù?»
Il ricordo di quel giorno ancora mi commuove. Ho pensato tante volte: chissà se io, prete e missionario cattolico, avrei la forza di perdonare come i giovani cristiani di Beddipally! Eppure lo diciamo tutti i giorni nel Padre nostro: « Perdona a noi i nostri debiti, come noi perdoniamo ai nostri debitori ». Spesso nei miei viaggi in missione ho pensato e pregato: “Lo Spirito Santo c’è davvero!”.
III) Nel Natale Gesù porta l’Amore e la Pace di Dio
Il Natale è un messaggio di carità e di pace, perché la pace viene solo dalla carità, dal perdono, dalla solidarietà con i più poveri o meno fortunati di noi.
Rivelandoci il volto di Dio, Gesù ha portato la vera ed unica rivoluzione nella storia dell’umanità: la rivoluzione dell’Amore, che cambia l’uomo dall’interno. La seconda persona della SS. Trinità, ha voluto incarnarsi nella natura umana per dirci con la sua persona che Dio è vicino agli uomini, che li ama, li comprende, ha sperimentato lui stesso le nostre sofferenze, le nostre pene. Non è un Dio lontano dall’uomo, incomprensibile e irraggiungibile, ma si presenta a noi come un piccolo Bambino che dà e chiede amore.
La notte di Natale una moltitudine di Angeli cantavano: “Gloria a Dio nell’alto dei cieli e pace in terra agli uomini che Dio ama”.
Il più bell’augurio che possiamo farci è questo: che il Bambino Gesù oggi porti la pace sulla terra, pace nelle nostre famiglie, pace nel nostro cuore. Ecco perché il $Natale è la festa della gioia: perché chi vive in pace gusta la gioia che è nato il Salvatore del mondo.
Gesù salva il mondo con la Rivoluzione dell’Amore
La storia dell’umanità si divide in due parti: prima e dopo Cristo. La nascita di Gesù rivela che Dio è Amore e l’umanità incomincia a cambiare in meglio. Man mano che il Vangelo si diffonde e la fede in Cristo conquista i cuori degli uomini e li cambia con il precetto dell’Amore.
Prima di Cristo la storia dell’umanità viveva sotto il segno della violenza, della prepotenza, dell’egoismo, della Legge del più forte, della schiavitù, del razzismo. Dopo di Cristo, attraverso il suo esempio e la sua grazia, l’uomo ha incominciato a cambiare in meglio. Come? Con la rivoluzione armata? NO! Con la lotta di classe? NO! Con la guerra e la violenza sui deboli?No!
Gesù cambia il cuore dell’uomo a poco a poco, con il precetto dell’Amore: “Ama il prossimo tuo come te stesso”, questa la vera rivoluzione che dobbiamo tutti compiere per vivere nella gioia e nella pace. La forza che cambia il mondo è l’Amore di Dio e l’Amore dell’uomo per l’uomo, fino alla meta che Gesù stesso ha vissuto: “Nessun amore è più grande che dare la vita per gli altri”. Il cristiano può anche essere chiamato a questo supremo atto di eroismo, come San Massimiliano Kolbe, che nel campo di concentramento nazista di Auschwitz ha preso il posto di un padre di famiglia che doveva morire in una camera a gas.
Il piccolo Bambino che nel Natale suscita tanta tenerezza non è solo amore, bontà, calore umano, umiltà, non invita solo all’accoglienza, alla generosità verso i poveri, alla carità verso tutti. E’ anche l’uomo che è dilaniato dai flagelli, dalle spine, dai chiodi e muore in Croce per la nostra salvezza. E’ morto per salvare l’uomo, tutti gli uomini, ma anche tutta l’umanità.
La storia dell’umanità è tutta segnata dalle guerre, dalle violenze sull’uomo e sui popoli. Ne hanno contate più di diecimila da quando i popoli hanno scritto la loro storia. E tutte le guerre nascono per migliorare la condizione dell’uomo, di un popolo. Persino Hitler dichiara la seconda guerra mondiale perché prometteva che, se vinceva il nazismo, il mondo intero avrebbe avuto mille anni di pace!
Lo stesso ha fatto il comunismo. Lenin, nel suo famoso libretto “Che fare?” (1903), che ha plasmato il comunismo sovietico e poi tutto il movimento comunista mondiale, scriveva: “La vera e potente arma che hanno i poveri del mondo è l’odio. Dobbiamo odiare quelli che ci opprimono”. Infatti la sua rivoluzione violenta ha portato i comunisti alla conquista del potere in Unione Sovietica e poi in tanti altri paesi. Ma noi sappiamo che i risultati sono stati ben diversi dalla “liberazione del popolo” che Lenin sognava.
Mao Tze Tung, discepolo di Lenin, conquista il potere in Cina nel 1949, ma poi capisce che non basta comandare per creare una società giusta, Nel suo “Libretto rosso” scrive: “La vera rivoluzione è cambiare il cuore dell’uomo”. Lui pensava di cambiare il cuore dell’uomo con la violenza, la polizia, i massacri, l’eliminazione degli avversari, i campi di lavoro forzato che gradualmente eliminavano gli avversari. Lanciava slogan e precetti positivi e pensava di farli $$accettare con la violenza: “Amare il popolo – Dare la vita per il popolo – Da ciascuno tutto quello che può dare, a ciascuno tutto quello di cui ha bisogno”. Cioè predicava l’uguaglianza assoluta come ideale della società perfetta che voleva costruire
Voleva rendere l’uomo cinese da egoista altruista, ma con la violenza non ha cambiato nulla. Quando è morto (il 9 settembre 1976), la Cina è tornata quella che era prima. Nel 2000 ho visitato un missionario italiano del Pime che viveva e lavorava legalmente in Cina da una decina d’anni’anni. Mi diceva: “Oggi non c’è al mondo un capitalismo selvaggio come quello che si vive in Cina”. Cioè i diritti umani non contano nulla, conta solo produrre, arricchirsi.
Gesù è il rivoluzionario che cambia l’uomo dall’interno con l’Amore e la Grazia di Dio. Ecco perché la Chiesa lo invoca “Re della pace” e gli Angeli cantano: “Pace agli uomini di buona volontà”. Perchè, vincendo l’egoismo umano porta la pace del cuore, la pace nelle famiglia, la pace fra i popoli e nell’umanità. La pace nella giustizia e nell’amore, nella solidarietà con i più poveri.
La carità dei cristiani è il miglior annunzio di Cristo
Il card. Angelo Scola, arcivescovo di Milano, ha scritto recentemente: “Quand’ero patriarca a Venezia ero rimasto colpito da un’osservazione che mi aveva fatto il sindaco di Venezia, prof. Massimo Cacciari: “Senza l’azione di carità della Chiesa veneziana verso gli ultimi, nessuna istituzione dello Stato, né Comune, né Provincia, né Regione ce la farebbe ad assistere tutte le nostre famiglie e persone bisognose di aiuto”.
Papa Benedetto XVI ha scritto nella sua prima enciclica “Deus Caritas est”: “L’amore (caritas) sarà sempre necessario anche nella società più giusta. Non c’è nessun ordinamento statale giusto, che possa rendere superfluo il servizio dell’amore”. Siamo tutti responsabili verso i fratelli più poveri e bisognosi.
Il Natale ci invita ad essere generosi verso i poveri, con quelli che hanno ricevuto meno di noi da Dio, dalla vita. Questo il messaggio del Natale: Dio si fa uomo per amore e chiede ai suoi fedeli di esercitare l’amore, la carità, l’aiuto che possiamo dare a chi è nel bisogno. Non basta commuoversi davanti al Bambino, risentendo le dolci canzoni natalizie. Dobbiamo impegnarci in qualche opera buona, secondo le nostre possibilità, ma soprattutto vivere la vita per gli altri.
Due modi di rispondere al Natale con la carità verso i poveri, gli ultimi:
1) Anzitutto aiutando economicamente le persone bisognose che conosciamo, che incontriamo e le tante opere di carità della Chiesa. E’ vero, siamo in una forte crisi economica e ciascuna persona o famiglia cerca di sopravvivere, risparmiare, diminuire anche gli aiuti alle opere di bene. E’ un dato di fatto che tutti sperimentiamo, anch’io che vivo in un istituto missionario e sono in contatto con tanti missionari sul campo, ricevo lettere e richieste di aiuti. E molti scrivono: le offerte per le missioni sono drammaticamente diminuite, dobbiamo chiudere alcune opere di carità e di educazione perché non abbiamo più risorse da spendere. Lo stesso potrebbero dire tanti altri esponenti di istituzioni per i più poveri.
Ma vorrei fare una piccola riflessione. La crisi economica non diventi un alibi per chiudere il nostro cuore. Ecco due citazioni evangeliche:
La prima: “L’attaccamento al denaro è la radice i tutti i mali. Alcuni hanno un tale desiderio di arricchirsi, che si sono allontanati dalla fede e si tormentano da se stessi con molte preoccupazioni e dolori” (Lettera a Timoteo 6, 10).
La seconda: “Chi ha molto ricevuto deve dare molto. Quanto più un uomo ha ricevuto, tanto più gli sarà richiesto” (Luc 12, 48).
Nella sede dell’Opera San Francesco per i poveri a Milano e nel loro Sito internet campeggia una frase provocatoria che dice la verità: “Siate egoisti, fate del bene”. Nel fare la carità è in gioco l’autenticità della nostra fede. Se abitualmente aiutiamo gli altri siamo cristiani, altrimenti lo siamo solo di nome, di apparenza esterna non di convinzione intima.
2) Nella cultura moderna prevale l’individualismo. Ciascuno pensa a se stesso, vuol affermare se stesso. Gli altri sono tutti visti in funzione di se stessi. Anzitutto essere aperti agli altri, interessarci degli altri, non chiuderci in noi stessi.
Ci sono persone che vedono solo se stesse, riferiscono tutto a se stesse, parlano di quel che fanno loro. Questo non è un atteggiamento evangelico.
Vi racconto un esempio di vita comune. Anni fa, alla clinica Columbus di Milano c’era una giovane missionaria del Sacro Cuore, che insegnava in una scuola delle suore della Santa Cabrini. Venne colpita da un gravissimo male ed era molto sofferente. Pregava spesso, non si lamentava mai, era sempre sorridente. Infermiere, dottori, ammalati andavano da lei per avere una parola di conforto.
Andavo ogni giorno a celebrare la Messa in quell’ospedale e sentivo molti che lodavano suor Elda. Una volta le ho detto: “Lei sa chi è la persona più importante dell’ospedale?”. La cara suora non sapeva cosa rispondere: “Non so, il primario, l’economo, la superiora”. Io le ho detto: “No, sorella, secondo me è lei, perché lei soffre molto e non si lamenta, vengono molti da lei per chiedere una preghiera o un consiglio”. Non l’avevo mai vista piangere, ma quella volta si è commossa. Mi è venuta in mente questa mattina perché ho pensato: ecco quella carissima suora era veramente una persona che viveva non per se stessa, ma per Dio e gli altri.
La grazia che chiediamo a Gesù Bambino
Nel Natale Gesù ci porta il dono della pace. Se viviamo nel suo Amore e nell’amore del prossimo, avremo la pace del cuore. Molti oggi soffrono di disturbi psicologici, insonnie, arrabbiature, tristezze e depressioni. Sono sempre tesi come se qualcosa li minacciasse, hanno spesso paura.
Vivere in pace con noi stessi e il nostro prossimo significa vivere tranqulli, sereni, ottimisti. Questa è la grazia da chiedere nel Natale, pedr vivere tranquilli e sereni.
Uno psicologo mi diceva. “Una volta la gente andava confessarsi e trovava la serenità. Oggi non vanno più a confessarsi e vengono da noi psicologi e dagli psichiatri, pensando di trovare la pace. Se hanno malattie fisiche o psico-fisiche, fanno bene a venire da noi. Ma se sono ammalati spiritualmente dovrebbero tornare da voi preti e trovare Dio nella loro vita!”.
Pace nelle famiglie. La crisi dell’Italia viene dalla crisi delle famiglie, l’ha detto il Presidente Ciampi anni fa. Separazioni e divorzi e aborti aumentano, non parliamo nemmeno degli adulteri! Bambini che crescono con due padri e due madri…. Se le famiglie non educano i figli alla fede e alla pace di Dio, abbiamo uomini e donne che invece della pace portano le liti, la guerra, la separazione….
Natale in Guinea-Bissau: una caramella divisa in due
Natale 1987. Sono in Guinea-Bissau, piccolo e povero paese dell’Africa occidentale. La notte di Natale vado con padre Giuseppe Fumagalli, missionario del Pime, a celebrare la Messa in un villaggio della tribù dei felupe, Edgin: un villaggio isolato nella foresta, dove c’è una bella e grande chiesa in muratura con un generatore che produce corrente elettrica. Padre Fumagalli aveva avvisato per tempo della Messa a mezzanotte e la chiesa era strapiena di gente venuta anche dai villaggi vicini: non solo cattolici, ma anche i musulmani, anche gli animisti, per vedere la festa dei cristiani. Notte stellata d’incanto, con canti, danze, scambio di doni, testimonianze al microfono di felupe che, prima della Messa, raccontavano le loro storie personali, il cammino compiuto per giungere al Battesimo. Una Messa commovente per tutta quella umanità povera raccolta per pregare il Bambino Gesù.
ln passato, quando visitavo questi paesi molto poveri, portavo sempre, oltre al resto, qualche chilo di buone caramelle italiane. Là non ci sono e ai bambini piacciono moltissimo. Quella notte di Natale avevo chiesto al padre Fumagalli quanti bambini pensava che ci sarebbero stati a Edgin. Mi aveva detto: una cinquantina al massimo. Così ho contato sessanta caramelle e le ho portate con me in un sacchetto di plastica. Dopo la Messa, dinanzi alla chiesa, alla luce di due fari potenti, il padre Giuseppe chiama tutti i bambini e dice loro di allinearsi perché io avrei dato a ciascuno una caramella. Grida di gioia, eccitazione, salti di esultanza. Ma i bambini escono da tutte le parti e io vedo subito che sono ben più di sessanta. «Niente paura», mi dice padre Giuseppe e fa mettere i ragazzi seduti a due a due. Così io passo col mio sacchetto distribuendo una caramella ogni due bambini, che si tengono per mano. Ma il fatto che mi ha commosso è che quei ragazzini e bambini si sono seduti per terra a due a due; hanno scartocciato la caramella e hanno cominciato a succhiarla un po’ l’uno e un po’ l’altro, senza bisticciare, dividendosi il piccolo dono proprio come fratelli.
Mentre guardo quei bambini succhiarsi la caramella in due, penso: in questa stessa notte di Natale, in Italia, nella mia Milano, i bambini hanno molto di più, doni, dolci, musiche, regali. Ma mi chiedo: saranno felici come questi bambini africani, che hanno gli occhi lucidi dalla gioia, seduti per terra a dividersi una caramella in due?
I missionari poi mi spiegano che la parola più comune usata in Guinea- Bissau è parti, di origine portoghese, che non significa «partito politico», ma dividere, condividere.
Nella povertà, tutto è comune, c’è la spontanea condivisione di quel poco che si ha. Un esempio: la Guinea- Bissau è un paese attraversato da tre grandi fiumi, ma senza un solo ponte. Quando arrivate al fiume, dovete attendere il traghetto o la barca scavata in un tronco d’albero. A me è capitato di dover attendere il traghetto, dato che dovevamo portare l’auto al di là del fiume, per quasi un’intera giornata: o perché il motore del traghetto non funziona o perché manca il gasolio o anche perché il guidatore è andato per i fatti suoi o è ubriaco. Niente paura, in Africa bisogna saper aspettare. Per il cibo non c’è problema. O ne avete portato voi oppure vi sedete vicino a chi sta mangiando e vi dà qualcosa, con la massima naturalezza, senza nemmeno dover chiedere.
Perché i popoli poveri sono più disponibili alla condivisione di noi che siamo ricchi? È facile rispondere: chi è povero ha poco da perdere, chi è ricco perde molto, è più attaccato a quello che ha. Ma c’è un motivo più profondo: la povertà educa a capire l’altro, a essere ospitali e attenti verso chi soffre. Direi che educa anche alla gioia, alla serenità della vita. Non parlo della povertà disumana che diventa miseria e mancanza del necessario, ma del non avere troppo, del non essere attaccati alle ricchezze materiali, del dare più importanza ai valori umani (fraternità, amicizia, condivisione, aiuto al prossimo) che non all’inseguimento del denaro e del superfluo.
L’egoismo è la tomba di ogni gioia e serenità di vita. E i ricchi attaccati alle loro ricchezze sono, molto spesso, più egoisti dei poveri. Ecco perché Gesù dichiara: «Beati voi poveri, perché Dio vi darà il suo Regno» (Luc. 6, 20).
Padre Gheddo (Radio Maria – 2012)
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