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L’Europa e il popolo italiano sono in crisi, hanno perso il senso alla vita. Il nostro tempo ha distrutto le certezze che hanno dominato e guidato gli ultimi due secoli:

  • il “secolo lungo” (1789-1915) : Illuminismo – Rivoluzione francese – Prima guerra mondiale; l’ideale del “progresso”, della “ragione”, del dominio dell’uomo sulle cose attraverso la “scienza”;
  • e il “secolo corto” (1915-1989): le ideologie totalizzanti (nazionalismo con Hitler ed eguaglianza fra tutti gli uomini con Lenin e Stalin) erano vere religioni atee ed anti-cristiane, che col loro “pensiero forte” e il loro messianismo causano guerra mondiali e massacri. Il loro crollo porta al “pensiero debole”, al relativismo totale: non esiste nessuna verità, e quindi l’uomo non ha più nessuna roccia salda e incrollabile sulla quale costruire il futuro. Ecco il pessimismo e la mancanza di speranza che soprattutto distruggono nei giovani la naturale aspirazione verso il vero, il bello, il buono.

Il nostro tempo ha distrutto tutte le certezze umane. Il profeta non è più Karl Marx, ma Nietzsche, cioè il nichilismo: la vita non ha nessun significato.

Però anche la Chiesa cattolica è in crisi di fede e di vita cristiana, almeno nella nostra Europa e in Italia: diminuzione dei fedeli, dei matrimoni e dei funerali religiosi, delle vocazioni sacerdotali e religiose, della frequenza alla Messa. La Chiesa sopravvive come struttura con opere educative e caritative. Ma noi battezzati riusciamo ancora a dare testimonianza viva della fede in Cristo?

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Questa sera, cari amici, vorrei darvi una visione di ottimismo e di speranza.

La Chiesa non è solo questa che noi viviamo in Italia e in Europa, la Chiesa cattolica è universale. In tante parti del mondo la Chiesa nasce oggi e non è per nulla in crisi, vive la fede con entusiasmo e gioia, ottiene conversioni dal paganesimo. (Redemptoris Missio, 86): “Se si guarda in superficie il mondo odierno, si è colpiti da non pochi fatti negativi, che possono indurre al pessimismo…Dio sta preparando una grande primavera cristiana, di cui già si intravede l’inizio”.

Ecco la fede che dà speranza e ottimismo. Dove la Chiesa nasce troviamo un l’entusiasmo e il senso missionario della fede. Dobbiamo conoscere come sono queste giovani Chiese, per ritrovare in noi il senso profondo della fede e della vita.

Tre punti della mia catechesi:

  • Il cristianesimo è Cristo unico Salvatore dell’uomo.
  • I giovani cristiani spesso sono missionari.
  • Cosa possiamo imparare dalle giovani Chiese.
  1. Il cristianesimo è Cristo unico Salvatore dell’uomo.

Nel Sud del mondo, fra i popoli non cristiani, la Chiesa nasce oggi come negli Atti degli Apostoli. Il primo annunzio e la formazione cristiana sono centrati su Cristo, l’amore e l’imitazione di Cristo. Le giovani Chiese puntano all’essenziale: non insegnano una dottrina o una morale, ma fanno incontrare i non cristiani con Gesù Cristo, presentato come il Messia, l’inviato da Dio per salvare l’uomo. Il Vangelo di Marco, scritto per i non cristiani, ha appunto questa impostazione. Non parla della nascita di Gesù né di Gesù bambino, ma presenta subito Cristo in azione.

Nelle giovani Chiese il cristianesimo è presentato come l’incontro con Gesù figlio di Dio che si è fatto uomo. E’ un avvenimento storico, una persona storica che bisogna conoscere ma soprattutto amare. Il catecumenato, cioè il tempo di preparazione al battesimo, è lo studio del catechismo e l’avviamento ad una vita cristiana. Ma al centro di tutto c’è sempre la persona di Gesù Cristo. La fede è amore a Cristo, un amore personale, appassionato, che dà gioia e ottimismo della vita.

Alla radice della missione non c’è solo la fede come assenso intellettuale, ma la fede come amore e passione per Cristo che trasforma tutta la vita. La missione della Chiesa non è di insegnare una dottrina, un codice morale; macomunicare un’esperienza di vita. Questo converte i cuori e suscita entusiasmo.

Le giovani Chiese mantengono un fortissimo orientamento verso il soprannaturale. In Occidente succede l’opposto. In Italia e nelle Chiese occidentali antiche si dice spesso che la Chiesa dovrebbe scendere a compromesso con il mondo moderno e le mode correnti, per potersi rinnovare e attirare ancora i giovani. Nel recente passato sembrava che le giovani Chiese seguissero questa tendenza. Cito un esempio fra tanti: trent’anni fa a Puebla, sembrava che le Chiese latino-americane fossero in gran parte favorevoli alla “Teologia della Liberazione”, vissuta dalle cosiddette “comunità di base”, che leggevano la Bibbia per trovare un sostegno al loro impegno politico, contro le dittature militari del tempo, per la giustizia internazionale e per un modello di stato socialista, egualitario.

Giovanni Paolo II e il card. Ratzinger, prefetto della Congregazione della fede, condannavano questa tendenza e sembravano conservatori fuori del nostro tempo storico. Oggi, quarant’anni dopo, la tendenza dominante nelle giovani Chiese è molto diversa. Il cristianesimo in genere, e soprattutto il cattolicesimo, si spostano verso il +Sud e l’Est del mondo e quindi, inevitabilmente, la religione cristiana cambierà fisionomia, in relazione a come i popoli delle giovani Chiese vivono la loro fede.

Noi viviamo nel nostro tempo, che è un tempo di transizione per l’umanità, ma anche per la Chiesa. Transizione vuol dire cambiamento, ma noi non riusciamo a vedere come si evolverà l’umanità e il cristianesimo. Uno dei massimi studiosi americani di cristianesimo, Philip Jenkins, ha scritto un libro intitolato “La terza Chiesa – Il cristianesimo nel XXI secolo” (Fazi editore, 2004), documentando il prossimo futuro delle Chiese cristiane. La sua ricerca riguarda soprattutto le giovani Chiese protestanti o che vengono dalla Riforma, cioè quelle che si diffondono in modo più sensibile nel Sud del mondo: specialmente i “pentecostali”

Jenkins scrive (pag. 12 segg.): “Al momento presente, la differenza più evidente tra le Chiese vecchie e quelle nuove è che i cristiani del Sud sono molto più conservatori, per quanto concerne sia le credenze che la dottrina morale. Le denominazioni che trionfano in tutto il Sud del mondo sono fortemente tradizionaliste o perfino reazionarie, secondo gli standard delle nazioni economicamente avanzate. I cristiani del Sud mantengono un fortissimo orientamento verso il soprannaturale e sono molto più interessati alla salvezza personale che alle politiche radicali…. Queste Chiese più recenti predicano una profonda fede personale e l’ortodossia, il misticismo e il puritanesimo, tutti caratteri che si fondano su chiare fonti scritturali… In base a quanto risulta oggi, un futuro cristianesimo dominato dalle concezioni del Sud dovrebbe essere decisamente conservatore”.

Ecco perché non possiamo essere pessimisti sulla Chiesa. Mentre noi in Europa attraversiamo una grave crisi di fede e di vita cristiana, le giovani comunità cristiane convertite a Cristo sono in un periodo felice di crescita: conversioni dai non cristiani, aumento delle vocazioni sacerdotali e religiose, forte senso di appartenenza alla Chiesa, alta percentuale di partecipazione dei fedeli alla Messa ed ai Sacramenti, fede sicura e fiducia nella Provvidenza per sopportare le persecuzioni e la marginalizzazione, ecc.

Non solo. Sono in crescita anche perchè meno ingessate delle nostre Chiese in schemi pastorali, strutture e burocrazie che forse hanno fatto il loro tempo. Sono più libere, più agili. Essendo all’inizio delle loro comunità cristiane c’è più facilità per suscitare entusiasmo e sequela di Cristo, per inventare e sperimentare forme nuove.

E’ l’idea che mi sono fatto visitando da cinquant’anni le missioni nel sud del mondo. A volte mi dico: “Piero, tu stai vivendo gli Atti deli Apostoli!Qui nasce la Chiesa; qui lo Spirito Santo si vede in azione tutti i giorni: non va mai in pensione, non si stanca mai, non dorme mai. Qui ci sono le prime comunità cristiane che sono come quelle che San Paolo fondava negli Atti”.

Quei cristiani non sono migliori di noi, anzi quasi sempre sono più peccatori e con scarsa istruzione sul cristianesimo.Sono in genere gente semplice che per fare il salto dal paganesimo al cristianesimo debbono aver avuto una motivazione molto forte, perchè vanno incontro a sacrifici e anche persecuzioni. Ormai, in molti paesi non cristiani, soprattutto in Asia, ma anche in Africa dove nasce la Chiesa, i cristiani sono penalizzati, marginalizzati, perseguitati. Convertirsi al cristianesimo significa abbandonare la religione nazionale che si identifica con la patria, con la nazione.

Il coraggio di convertirsi a Cristo viene dall’esperienza dell’amore a Cristo e della vita cristiana. Il pagano sperimenta per la prima volta la tenerezza e la dolcezza dell’amore a Dio, la certezza di aver trovato un punto di riferimento solido e preciso per la propria vita, la roccia che è Cristo; e tocca con mano quanto la vita cristiana è più umanizzante di quella vissuta in altre religioni.

Ricordo cosa mi diceva padre Corrado Ciceri, giovane missionario in Thailandia nella missione di Mae Suay nel nord del paese fra popolazioni tribali, morto prematuramente a 41 anni (1957-1998). Ecco un passaggio dell’intervista del 1993: “Sono stato chiamato dallo stregone di un villaggio della tribù dei Lisho, che mi dice: ‘Ho conosciuto un cristiano della mia tribù che mi ha spiegato il cristianesimo e lui stesso e la sua famiglia sono contenti di vivere la tua religione. Ho letto e studiato cosa diceva Gesù e voglio diventare anch’io cristiano con tutta la mia famiglia’. Nei tre anni di catecumenato, quell’uomo rude e semi analfabeta voleva “incontrare Gesù”, aveva intuito che il cristianesimo è la persona di Gesù Cristo, Dio fatto uomo che ci salva.

Alla fine dei tre anni mi diceva: “Padre io sono innamorato di Gesù e voglio ricevere il battesimo con tutta la mia famiglia”. Sono andato per questa cerimonia, ma prima ha bruciato davanti ai suoi parenti e amici gli amuleti e altri strumenti della superstizione. Qualche anno dopo mi diceva: “Padre, io e la mia famiglia non abbiamo più paura degli spiriti, abbiamo incontrato e viviamo nell’amore di Dio. Preghiamo tutti i giorni il Signore Gesù e siamo così contenti di aver preso questa decisione, che raccontiamo a tutti la nostra gioia”.

Nell’Occidente cristiano dopo duemila anni di cristianesimo, siamo ammalati di intellettualismo e soffriamo uìdi una cultura che si allontanata dal Vangelo ed è preda del relativismo, dell’ateismo pratico, della religione fai da te, del nichilismo, La ricerca e il dibattito teologico ci vogliono, l’esegesi della Sacra Scrittura è indispensabile per la Chiesa, ma sono cose di specialisti. Il prete e il laico impegnati nella pastorale ordinaria dovrebbero ripetere instancabilmente come Pietro:“Convertitevi e credete al Vangelo!” (Atti 3, 19). All’uomo sofferente, che cerca la guarigione ripetiamo quanto diceva San Pietro allo storpio presso la porta del Tempio: “Non possiedo né oro nè argento, ma quanto ho te lo dò: nel nome di Gesù Cristo, il Nazareno, alzati e cammina” (Atti 3, 6). Dobbiamo credere, fratelli, che per chi crede i miracoli avvengono anche oggi!

La missione alle genti ci insegna ad essere essenziali e ad usare un linguaggio che tocchi il cuore, che provochi nella vita personale per innamorare di Cristo, convertire a Cristo. La vita cristiana è questo. La conversione del cuore viene certo anche dalla conoscenza del mistero di Cristo, ma più facilmente viene dal cuore, dalla commozione di aver sperimentato l’amore di Dio per noi, per me. Anche chi, come i tribali thailandesi, non conosce ancora quasi nulla della dottrina cristiana, può innamorarsi di Gesù se lo incontra, naturalmente con l’aiuto dello Spirito!

  1. I giovani cristiani spesso sono missionari

Al primo Congresso missionario delle Chiese asiatiche a Cheng Mai in Thailandia (18-22 ottobre 2006), è stato discusso il tema: “Raccontare la storia di Gesù in Asia: andate e ditelo a tutti”.Il concetto basilare della formazione cristiana in Asia è questo: Il dono della fede è il più grande dono che Dio mi ha fatto, dopo quello della vita: e me l’ha fatto perché lo rafforzi in me testimoniando la mia fede e la gioia di vivere con Cristo e trasmettendoli ad altri.

Se la vita cristiana è vissuta come amore e imitazione di Cristo, noi sperimentiamo quanto è bello e consolante il dono della fede e spontaneamente ne parliamo agli altri, diventiamo missionari. E’ l’esperienza che fanno i giovani cristiani delle missioni. Chi annunzia il Vangelo ai non cristiani non sono i missionari o i sacerdoti locali, ma i neofiti, i convertiti di recente.

In Corea del sud ci sono molte conversioni dal buddhismo al cristianesimo. Ogni parrocchia ha 400-500 battesimi di adulti l’anno. Ricordo una parrocchia che ho visitato a Kwangju, con tre preti e cinque suore, 10.000 battezzati e 500 battesimi di adulti l’anno. “Come fate a fare tutto?” chiedo ai preti. Risposta: “Fanno tutto i laici. In Corea la Chiesa è nata dai laici e per antica tradizione chi entra nella Chiesa non può restare passivo, deve assumere qualche impegno nella parrocchia. I laici sono organizzati e animati da varie associazioni, la Legione di Maria, i Cursillos, i Neo-Catecumenali, i Focolarini, i Carismatici, il Family Movement e altri, tutti con il loro carisma, ma tutti a servizio della parrocchia”.

Nella Corea del sud, nel tempo del catecumenato si insegnano il catechismo e le preghiere, ma poi ciascun catecumeno deve far parte di un gruppo parrocchiale e impegnarsi a servizio del Vangelo (“La fede si rafforza donandola!”, R.M. 2). Quando ricevono il Battesimo sono già inseriti in attività pastorali e missionarie, educati a dare parte del loro tempo e dei loro soldi alla parrocchia, a fare azioni missionarie verso i non cristiani”.

In Vietnam, nel 1973 a Tu Duc un salesiano italiano, padre Mario Acquistapace, mi diceva: “Ho imparato a fare il prete qui in Vietnam, dove per antica tradizione i laici organizzati in varie confraternite fanno quasi tutto nella parrocchia e nella missione verso i non cristiani. Il prete può dedicarsi ai sacramenti e alla formazione dei battezzati, alla preghiera e allo studio, alle confessioni e direzioni spirituali, alla visita degli ammalati. Tutto il resto è in mano a laici”.

Nel dicembre 2006 sono stato invitato in Libia da mons. Martinelli, vescovo di Tripoli. Nella città di Sebha (900 km. da Tripoli), arrivano i profughi africani a migliaia attraversando il Sahara. Un padre padovano, Giovanni Bressan, che è anche medico e lavora nel locale ospedale, ha fondato la prima chiesa e la prima scuola cattolica a Sebha per i nigeriani, i camerunesi, i ciadiani, i burkinabè, ecc.

Padre Giovanni mi diceva: “Io ho più di settant’anni e lavoro in ospedale, posso dare alla parrocchia poco tempo. La parrocchia l’hanno organizzata gli africani spontaneamente. Io assicuro l’assistenza spirituale e l’appoggio di fronte alle autorità, ma fanno tutto loro. Si dividono in gruppi, si distribuiscono i vari servizi ecclesiali e le attività sociali ed educative. Sono attivissimi per abitudine contratta in Africa: appartengono a due movimenti, la Legione di Maria e i Carismatici. Sono entusiasti della fede e della Chiesa, che è l’unica loro sicurezza. Io li animo per quel che posso, ma sanno organizzarsi senza prete. All’inizio, a me, prete italiano, tutto quell’attivismo non mi piaceva, temevo che la parrocchia mi sfuggisse di mano. Poi ho visto che avevano uno stile del tutto diverso dal mio, ma fortemente efficace in Africa. Adesso abbiamo raggiunto un buon equilibrio e credo che di cristiani come questi la nostra Italia avrebbe bisogno”.

Un ultimo esempio della Papua Nuova Guinea, dove davvero nasce la Chiesa. Il Vescovo di Vanimo, mons. Cesare Bonivento missionario del Pime mi diceva che i suoi cristiani sono ancora in gran parte analfabeti, sanno pochissimo della dottrina critiana, ma hanno ricevuto la fede con l’entusiasmo dei neofiti, perché vedono che porta una rivoluzione benefica nelle famiglie, nei villaggi, e diventano subito missionari. Bonivento dice: “Tutto il mio impegno di vescovo è di dare contenuti a questa loro fede, di insegnare il catechismo, di far leggere la Parola di Dio. Ma loro parlano spontaneamente a tutti di Gesù Cristo e della Madonna, sono missionari. Io non so cosa dicono e non posso seguirli nei loro villaggi, ma mi fido dello Spirito Santo: la missione è sua, non mia!”.

Nel settembre 2011 ho ancora intervistato mons. Bonivento, che mi ha raccontato un’altra storia. “Nella mia vasta diocesi, dice, lavora una “Logging Company” (Compagnia del legno) che viene dalla Malesia per disboscare una vasta zona forestale. I lavoratori papuani sono in parte cattolici e vivono con le loro famiglie in un villaggio di baracche di legno. Questi giovani battezzati pregano assieme tutti i giorni e poi vanno dal datore di lavoro dicendogli che hanno bisogno di una chiesa. La Compagnia costruisce la chiesa in legno, una bella chiesa nella quale i cristiani vanno a pregare e a leggere il Vangelo.

Io non sapevo nulla e un certo giorno mi invitano a benedire la chiesa. Sono andato ed è stata una bella festa, sono venuti tutti, cattolici e protestanti, animisti e musulmani, non ho mai visto una chiesa così strapiena, dentro e fuori. Non passava più nessuno bambini da tutte le parti. Una gioia dirompente. In quel buco nella foresta, dove sorge il villaggio, la presenza di un vescovo in paramenti solenni e poi l’inaugurazione della chiesa ha messo tutti d’accordo.

“Il proprietario della terra e la Compagnia del lavoro sono contenti perchè quando arriva la Chiesa cattolica le cose vanno meglio per tutti, arrivano il prete e poi le suore che sono a servizio della gente. La Chiesa dà sicurezza e stabilità, educa i figli e cura i malati, porta la mediazione e la pace. Io vescovo non immaginavo nemmeno di poter fondare quella parrocchia. Lo Spirito Santo ha agito attraverso dei buoni cattolici. Ho ringraziato Dio per il grande dono di questa nuova parrocchia”.

III) Cosa possiamo imparare dalle giovani Chiese

Assemblea generale della CEI a Roma (21-24 maggio 2007): “Gesù Cristo unico Salvatore del mondo: La Chiesa in missione, ad gentes e qui tra noi”.

Tema in discussione: “I vescovi intendono sviluppare un’ampia riflessione sull’appello ad una rinnovata missionarietà più volte formulato da Giovanni Paolo II e da Benedetto XVI”.

Nella “nota pastorale“ della CEI (marzo 2007) dopo il IV Convegno ecclesiale nazionale di Verona si legge (pagg. 7-8): “Desideriamo che l’attività missionaria italiana si caratterizzi sempre più come comunione-scambio tra Chiese, attraverso la quale, mentre offriamo la ricchezza di una tradizione millenaria di vita cristiana, riceviamo l’entusiasmo con cui la fede è vissuta in altri continenti. Non solo quelle Chiese hanno bisogno della nostra cooperazione, ma noi abbiamo bisogno di loro per crescere nell’universalità e nella cattolicità…. Abbiamo molto da impararealla scuola della missione.Chiediamo pertanto ai Centri missionari diocesani a far sì che la missionarietà pervada tutti gli ambiti della pastorale e della vita cristiana”.

Abbiamo tutti da imparare alla scuola della missione”, dicono i vescovi.

Il tema richiede da noi un cambiamento di mentalità, di visione. Le giovani Chiese si rinnovano in tanti modi, anche nell’arte e nel canto religioso, nell’architettura sacra e nei riti liturgici, nella teologia inculturata nelle varie culture, nel dialogo interreligioso ed ecumenico, nella promozione umana e nel rapporto Chiesa-politica. Ma i vescovi italiani scrivono che dalle giovani comunità cristiane dobbiamo ricevere “l’entusiasmo con cui la fede è vissuta in altri continenti”.

Ecco, in sintesi, tre punti su cosa possiamo imparare dal mondo missionario dove nasce la Chiesa:

  1. L’essenza del cristianesimo è innamorarci di Gesù. Il battesimo deve maturare nell’esperienza del suo amore, che mi perdona, mi illumina, mi riscalda, mi consola, mi sostiene. Se non vivo di Cristo come faccio a trasmetterlo ad altri? La più importante profezia della Chiesa e la santità

La rivoluzione della santità significa anzitutto che occorre sempre ricentrate la missione della Chiesa sulla persona di Cristo: conoscere Cristo, amare Cristo, pregare e imitare Cristo; e, di conseguenza, il missionario, come ogni cristiano deve proporsi come massimo ideale la santità e proporla come meta della vita ai battezzati.

Giovanni Paolo II ha scritto (Redemptoris Missio, 90): “La rinnovata spinta verso la missione ad gentes esige missionari santi. Non basta rinnovare i metodi pastorali, né organizzare e coordinare meglio le forze ecclesiali, né esplorare con maggior acutezza le basi bibliche e teologiche della fede: occorre suscitare un nuovo ardore di santità fra i missionari e in tutta la comunità cristiana”.

Già Paolo VI aveva scritto (Evangelii Nuntiandi) che l’uomo del nostro tempo “ammira più i testimoni dei maestri e se ammira i maestri è perché sono anche testimoni”. Il mondo moderno è sempre più complesso e l’uomo d’oggi, bombardato da mille notizie, messaggi, proposte, immagini televisive, non presta quasi più attenzione alle parole: se ne sentono e se ne leggono a milioni tutti i giorni. La stessa Parola di Dio, se non è incarnata nel quotidiano e se non cambia la nostra vita, non basta più. Ciò che fa riflettere e convince è la santità della vita, cioè il Vangelo vissuto oggi nella normalità di tutti i giorni.

B) Tutti i battezzati debbono avere la passione di testimoniare la propria fede agli altri, cioè essere missionari, ciascuno secondo le sue possibilità.

Se noi conosciamo un uomo ricco che tiene solo per sé le sue ricchezze, diciamo che è un avaro, un egoista. Ma lo stesso si può dire di un credente che non comunica agli altri la fede, non ne parla mai,

Nella nostra Italia, in passato la formazione cristiana non era missionaria, oggi deve esserlo. Cambia anche il concetto di “cristiano”: non solo chi conserva e vive la fede nella sua vita, ma chi è in qualche modo impegnato a diffonderla ad altri (anche con la preghiera, la sofferenza, la parola).

Il Catechismo di San Pio X: “Perché Dio ti ha creato? Per conoscerlo, amarlo e servirlo in questa vita e poi goderlo nell’altra in Paradiso”. Solo questo? Oggi comprendiamo bene che da noi manca lo stimolo missionario di diffondere la fede, il dono che Dio mi ha fatto per poterlo testimoniare e comunicare agli altri. Nelle giovani Chiese questo concetto è abbastanza diffuso.

In Italia (e in Europa) noi cattolici siamo chiamati ad un cambiamento radicale della nostra formazione cristiana e mentalità, sull’esempio delle giovani Chiese: il cristiano passivo non può esistere. Ciascun battezzato deve sentire la responsabilità di comunicare agli altri il dono più grande ricevuto: “La fede si rafforza donandola” ha scritto Giovanni Paolo II nella “Redemptoris Missio” (n. 2).

Abbiamo una visione troppo statica della Chiesa, della parrocchia, dell’associazione, della congregazione religiosa. Per diventare dinamica ciascuno di noi è chiamato a impegnarsi nella missione, non solo dando aiuti economici e preghiere, ma dando del proprio tempo e della propria competenza alla Chiesa, alla parrocchia, alle iniziative di evangelizzazione. Ma per fare questo dobbiamo ritrovare l’entusiasmo della fede, capire che è il più grande dono che Dio ci ha fatto: non possiamo essere egoisti e tenerlo solo per noi.

Tutti possiamo fare missione, collaborare alla missione della Chiesa

Nel 2004 ho visitato la Malesia e il Borneo, i cui vescovi chiedevano al Pime di mandare missionari, poichè l’istituto ha iniziato la missione in Borneo nel 1856.

Il movimento di conversioni è sostenuto. Se avesse più preti, suore e mezzi economici, la Chiesa sarebbe in grado di accogliere e formare tutti i nativi che vogliono entrare nell’ovile di Cristo. Trenta e più anni fa nel Borneo malaysiano c’era un sacerdote ogni tremila cattolici, oggi uno ogni ottomila.

In Borneo vi sono situazioni esemplari per capire il ruolo dei laici. La parrocchia dell’isola di Labuan (da dove si va in barca a Mompracem, ricordate Sandokan e i tigrotti della Malesia?) non ha avuto un prete residente dal 1972 al 2001: 29 anni senza sacerdote, ne veniva uno da Kota Kinabalu ogni 15 giorni per celebrare la Messa. Così è nato un forte movimento laicale.

Oggi la parrocchia di Labuan ha un solo prete di 78 anni per 5.000 cattolici e 200 battesimi di adulti l’anno: don Aloysius Tung alla domenica celebra cinque Messe, in inglese, malese e cinese; inoltre nell’isola vi sono circa 12.000 lavoratori filippini cattolici, quasi privi di assistenza religiosa.

“I battezzati – dice don Tung – sono entusiasti della fede, si prestano volentieri per servire la Chiesa, accettano ministeri e compiti organizzati. Dare parte del proprio denaro e del proprio tempo alla parrocchia è entrato nella vita cristiana come un’abitudine a cui non si può rinunciare”. I credenti appartengono a comunità ecclesiali di base (Basic Christian Communities), a molti gruppi e movimenti laicali: Legione di Maria, Divine Mercy, Movimento carismatico, Neo-catecumenali, Labuan Youth Movement, Catholic Women’s League. Tutto questo è segno di vitalità della fede e della parrocchia, rimasta per trent’anni senza prete.

Chiedo a mons. William Sebang, vicario generale dell’arcidiocesi di Kuching, cosa i cristiani del Borneo possono insegnare alle Chiese d’Europa. Risponde: “I nostri battezzati si organizzano e aiutano la parrocchia: riunioni di preghiera, catechesi, catecumenato, amministrazione, carità, costruzioni e riparazioni, liturgia, assistenza ai malati e agli anziani, animazione di bambini e giovani, attività culturali e missionarie, tutto è fatto da laici: portano la parola di Dio ovunque, parlano di Gesù Cristo e del Vangelo, invitano a venire alla Chiesa, ecc. Ogni parrocchia ha centinaia di battesimi di adulti, per iniziative dei credenti non del prete.

“Quando studiavo in Italia – continua mons. Sebang – mi stupivo di come i sacerdoti di parrocchia fanno molto, anche dove i laici farebbero anche più e meglio di loro; i fedeli si lamentano della Chiesa ma fanno poco per evangelizzare, non prendono iniziative, aspettano tutto dal parroco e dal vescovo. I cristiani del Borneo sono attivi e fervorosi perchè di recente conversione; non sono istruiti come i vostri, non hanno corsi, ritiri, studi, libri, ecc. Però sentono la diversità fra vivere con Cristo e vivere senza Cristo. Questo li rende entusiasti e pronti a fare grandi sacrifici per servire la Chiesa, tenendo conto che un popolo povero come il nostro ha il problema di provvedere non al superfluo, ma ai bisogni primari della famiglia”.

Nella diocesi di Kuching il vicario generale mi dice che sono tanti i dayak che escono dalle foreste e si convertono a Cristo, ma la diocesi ha pochi preti. Mi porta in foresta nella parrocchia di Serian che ha ottomila battezzati e ogni anno circa 500 battesimi di adulti che si convertono. La parrocchia ha tre preti e cinque suore. Chiedo al parroco come mai tante conversioni. La sua risposta è fulminante: “Noi parliamo di Gesù Cristo e quando incontrano Cristo capiscono la bellezza della religione cristiana e si convertono”. L’intervento dello Spirito Santo, protagonista della missione, è evidente.

C) Una Chiesa meno clericale e più Popolo di Dio missionario

Nel Sud del mondo, in genere, la Chiesa è nata o nasce ancor oggi per opera di missionari che non possono essere presenti in tutte le comunità cristiane. L’educazione dei cristiani alla fede come impegno missionario è abbastanza facile e crea una tradizione chedura tuttora. Così si rinnova la Chiesa come noi la conosciamo in Italia. In altre parole, una Chiesa meno “clericale” e più Popolo di Dio. Questo, secondo me, è la conversione fondamentale a cui tutti, preti e laici, siamo chiamati in Italia per uscire dalla nostra crisi e riportare il nostro popolo a Cristo: essere cristiano vuol dire amare Cristo ed essere missionario.

In Italia, la missione appare ancor oggi opera delle persone consacrate, vescovi, preti, fratelli, suore. Cinquant’anni fa, l’Italia era ritenuta “un paese cattolico” e la missione riguardava i missionari in paesi lontani. L’Azione cattolica di quel tempo era definita “associazione che collabora con il parroco aiutandolo a realizzare la pastorale parrocchiale”. Non era protagonista della missione, come invece è indispensabile oggi per i laici battezzati, se vogliamo che la Chiesa italiana diventi missionaria.

Oggi circa l’80-85% di tutto il lavoro pastorale delle parrocchie è rivolto alla conservazione dei cristiani “praticanti”, che in media sono sul 25-30% dei battezzati. Gli altri non sono raggiunti se non in casi eccezionali (Natale, benedizioni delle case, battesimi, funerali, matrimoni). I pochi sacerdoti non riescono nemmeno ad assistere quelli che già vengono in chiesa! Ci vuole la svolta missionaria!

Non abbiamo ancora realizzato il principio richiamato da Giovanni Paolo II nella “Redemptoris Missio” (n. 71):“La missione è di tutto il Popolo di Dio. Anche se la fondazione della Chiesa richiede l’Eucarestia e quindi il ministero sacerdotale, tuttavia la missione, che si esplica in svariate forme, è di tutto il popolo di Dio”.

La “Christifideles laici” sviluppa questo pensiero, cioè l’impegno dei battezzati nella missione. In Italia manca ancora la coscienza nei laici e manca nei preti la convinzione di dover formare e animare i laici ad essere missionari, ciascuno secondo le proprie capacità e disponibilità, dando loro libertà di agire nei loro campi propri d’azione.

Quando ritorno in Italia dalle visite alle missioni, io missionario mi chiedo: perché noi cattolici italiani siamo così pessimisti e scoraggiati nelle nostre diocesi, parrocchie, associazioni? Perché le giovani Chiese sono in genere più dinamiche, più innovative, più ottimiste del loro futuro?

Questa la sfida nuova per la Chiesa in Italia: il prete protagonista quasi unico della missione oggi non tiene più.Il vescovo e il sacerdote sono indispensabili perché la Chiesa nasce attorno all’Eucarestia e si fonda su comunità riconosciute dal vescovo e obbedienti al vescovo unito col Papa. Ma non possono pensare e programmare tutto nel campo immenso della “nuova evangelizzazione”.

La missione vuol dire soprattutto uscire, andare ai lontani, portare il Vangelo a tutti. Anche qui è necessaria una profonda rivoluzione: le nostre Chiese antiche sono troppo rivolte verso l’interno delle comunità cristiane, perché sono troppo centrate sull’attività del sacerdote, che non può arrivare a tutto.

Nel mondo moderno, non si tratta più solo di annunziare Cristo alle singole persone e famiglie. Oggi la società è dinamica, dispersa, multiforme, sorgono problemi nuovi e srumenti nuovi tutti i giorni! La sfida è di evangelizzare la cultura e i soggetti educativi che formano le persone: scuola, mass media, politica, sindacati, leggi, economia, tecnologia, scienze, mode culturali, divertimento, l’Onu e suoi organismi, il rapporto con gli emigrati islamici, ecc. Si veda l’enciclica missionaria “Redemptoris Missio” (nn. 31-40) su “gli ambiti della missione”, “gli aeropaghi” in cui annunziare il Vangelo: tutto questo è essenzialmente un compito di laici.

Antonio Gramsci (1891-1937), nel libretto “Cultura è potere”, scrive che per conquistare il potere politico non è necessario che il Partito comunista italiano usi la violenza, la rivoluzione violenta; basta che occupi la cultura, le scuole, le università, le radio e i giornali, i dibattiti culturali…. Cosa che il PCI, nel dopoguerra, ha fatto in modo ammirevole, mentre la Chiesa cattolica ha quasi solo privilegiato la pastorale a livello individuale, personale.

Sono mancati i laici, che con l’Azione cattolica nel 1948 avevano dato un contributo essenziale alla DC per la conquista democratica del potere (i “Comitati Civici”). Poi le associazioni cattoliche si sono svuotate, afflosciate, sono quasi scomparse dalla scena culturale e religiosa nazionale. Perché?

Nell’ultimo mezzo secolo, dopo il Concilio Vaticano II, sono emersi i cosiddetti “movimenti”, che dimostrano una capacità di suscitare entusiasmo per la fede, di animare cristianamente la società e la cultura, con varie iniziative: pensiamo al “Family Day”, al Meeting di Rimini, alle “Mariapoli”, alle iniziative della “Comunità di Sant’Egidio”, alle assemblee dei Carismatici, ecc.

Mi chiedo: Perché i movimenti ecclesiali riescono ad animare comunitariamente e a dare spirito missionario a molti laici e nelle giovani Chiese, in genere, vengono integrati nelle parrocchie e in Italia molto meno?

I laici, soprattutto i giovani, vanno motivati ed entusiasmati dell’amore a Cristo, poi sono capaci di attività prodigiose per la Chiesa.

Padre Gheddo su Radio Maria (2011)

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