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Intervista de “La Stampa” a padre Piero Gheddo, direttore dell’Ufficio storico
del Pontificio istituto missioni estere (Pime)
GIACOMO GALEAZZI
DALL’INVIATO A RIMINI
Padre Piero Gheddo, direttore dell’Ufficio storico del Pontificio istituto
missioni estere (Pime), si apre oggi a Rimini il 30° Meeting di Cl con il
mandato papale di «raccogliere le sfide e gli interrogativi che i tempi di oggi
pongono alla fede».
Lei che ne è da sempre ospite e attento frequentatore, cosa si
aspetta dall’edizione 2009?
«Quest’anno, significativamente, si parlerà di missione sia a Rimini sia a
Castel Gandolfo nel seminario estivo degli ex allievi di Benedetto XVI. Il mondo
si globalizza, le culture e le religioni si confrontano. Il cristianesimo appare
come la religione della modernità anche perché, non a caso, il progresso è nato
nell’Occidente cristiano e non nel buddhismo, nell’induismo, nell’Islam. Io giro
il mondo da una vita e persino in Giappone, dove ci sentono come una religione
straniera, le fedi locali (shintoismo e buddhismo) sono ormai rituali
folcloristici, non dicono più niente, quindi ovunque nel mondo si cerca il vero
Dio. Gli atei, però, ci sono solo nel mondo cristiano, non altrove».
Quest’anno il tema del Meeting è la conoscenza. Perché?
«E’ una scommessa. Conoscere è uno strumento, significa gettare ponti di
comprensione e di dialogo con altri popoli, culture, religioni. E’ il metodo di
noi missionari. Sempre più il cristianesimo appare come la risposta di Dio ai
problemi della modernità, in ogni campo. Per questo a Rimini si incontrano
persone diversissime tra loro. E’ la dimostrazione che, se gestita bene, la
conoscenza può unire. In passato al Meeting ho portato la voce dei martiri
cristiani. Ogni volta vengo colpito da una caratteristica: è un evento
realistico, guarda molto alla realtà, non è un’istituzione che si muove sul
piano dell’ideologia o di una fede astratta».
Con quali risultati?
«A Rimini si parte dalla realtà, è questo il grande insegnamento di don
Giussani. La realtà va letta con gli occhi della fede ma bisogna conoscere com’è
davvero il mondo. Al Meeting vengono invitate persone di ogni religione (inclusi
gli atei), di tutti i partiti e di opposte estrazioni proprio perché la
conoscenza significa soprattutto la disponibilità a mettersi in discussione. Il
confronto è un insegnamento reciproco anche quando non viene esplicitato. Il
Meeting è un bagno nella realtà del mondo che ti mette a contatto con chiunque e
ti interroga su come personalmente vivi la tua fede cristiana. Ti fa capire
quale aspetto della tua fede e della tua Chiesa non funziona più, è fuori tempo.
Un banco di prova che ci rimette in causa e impedisce di pensare che perché
abbiamo la fede in Cristo allora tutto nella Chiesa sia risolto. Il cammino da
fare è ancora lungo e noi percorriamo soltanto una minuscola porzione della
storia della Chiesa e del mondo».
Padre Gheddo su La Stampa (2009)
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