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La Giornata mondiale della Gioventù di Rio suscita in me il ricordo della prima riunione dei vescovi latino-americani nella città carioca nel 1955 (25 luglio-4 agosto). Si gettavano allora le basi per il Consejo episcopal latino americano (Celam), organismo voluto da Pio XII e che oggi ha sede a Medellìn, in Colombia. Quel primo incontro venne organizzato dal giovane vescovo ausiliare di Rio, monsignor Helder Camara. Pio XII, nel messaggio ai vescovi per approvare il Celam scriveva che aveva voluto la sua fondazione perché “le Chiese latino-americane sono la speranza della Chiesa universale”. Un’espressione forte e profetica, detta allora, e poi ripresa da Giovanni Paolo II. Nella prossima Giornata mondiale della gioventù di Rio la profezia di Pio XII si realizza. Papa Francesco è l’immagine simbolica di questa realizzazione, perché viene da una Chiesa fondata dai missionari, al tempo della scoperta e della colonizzazione, cinquecento anni fa, e porta alle nostre comunità cristiane della vecchia Europa una ventata di rinnovamento evangelico.
L’America Latina è stata davvero evangelizzata solo dall’inizio del Novecento, soprattutto dopo il 1945 con la richiesta di Pio XII agli istituti missionari di un grande impegno di presenza in quelle terre lontane. Nel 1900 in Brasile le diocesi erano 62, oggi sono 265; nell’Amazzonia brasiliana (estesa 14 volte l’Italia) erano solo 2 (Belem e Manaus), oggi più di 40. E così in tutta l’America Latina, il “continente cattolico” che sta ancora vivendo il “primo annunzio” di Cristo, il tempo delle missioni, perché ancora si riverberano le contraddizioni e le gravi ingiustizie di cinquecento anni fa, all’origine delle dure condanne del domenicano Bartolomeo de las Casas (1484-1566) nei confronti dei coloni spagnoli: “Siete in stato di peccato mortale e ci morirete, per la vostra crudeltà perpetrata su un popolo innocente”. E quei coloni erano esclusi dal Sacramento della Penitenza e dell’Eucarestia, condanna allora considerata più grave del carcere. Una linea pastorale incarnata ai nostri giorni da Helder Camara (1909-1999), arcivescovo di Recife noto anche come “il vescovo delle favelas”, che denunziava le responsabilità dei popoli cristiani verso “i popoli della fame”. Ma “il vescovo delle favelas” sottolineava soprattutto l’urgenza di evangelizzare il suo popolo. Nal 1966 ho seguito Camara in una visita nelle parrocchie fuori Recife e ho visto come sapeva unire la “coscientizzazione” sui diritti dell’uomo all’azione pastorale di formazione cristiana. Diceva: “Il nostro motto dello sviluppo è la Parola di Cristo “Sono venuto perché abbiano la vita e la vita in abbondanza”. Troveremo riposo quando il Nord-Est brasiliano passerà dal sottosviluppo alla vita piena che può essere raggiunta quando la Grazia divina trascende e completa i limiti umani e ci fa partecipi della vita divina”.
Coloro che sono chiamati a portare l’Annuncio fino ai confini del mondo vedono nel Papa Francesco il modello di pastorale e di vita cristiana delle missioni, là dove nasce la Chiesa, dove lo Spirito soffia forte e compie le meraviglie che leggiamo negli Atti degli Apostoli. Oggi la maggioranza dei cattolici e dei cristiani vivono nel Sud del mondo. E lo Spirito Santo ha preso Jorge Mario Bergoglio “quasi dalla fine del mondo”, portatore di novità “rivoluzionarie” nella Chiesa cattolica. Sia pure la “rivoluzione” del Vangelo che non è mai una rottura col passato, ma un passo in avanti. Verso dove? Charles Peguy diceva: “Che senso ha una strada se non porta a una chiesa?” e all’incontro con Cristo? Il 9 marzo 2013, quattro giorni prima di essere eletto Papa, Jorge Mario Bergoglio ha parlato ai cardinali sul tema “Evangelizzare le periferie”. Ecco in estrema sintesi.
1) La Chiesa è chiamata ad uscire da ste stessa per andare verso le periferie, non solo quelle geografiche, ma anche quelle esistenziali: quelle del mistero del peccato, del dolore, dell’ingiustizia, quelle dell’ignoranza e dell’assenza di fede, quelle del pensiero e di ogni forma di miseria.
2) Quando la Chiesa non esce da se stessa per evangelizzare diventa autoreferenziale e allora si ammala.
3) Smette di essere il “mysterium lunae” e cade in quel male così grave che è la mondanità spirituale (secondo Henri-de-Lubac il male peggiore della Chiesa): quel vivere per darsi gloria gli uni con gli altri. Ci sono due immagini di Chiesa: la Chiesa evangelizzatrice che esce da se stessa o la Chiesa mondana che vive in sé, da sé, per sé. Questo deve illuminare i possibili cambiamenti e riforme da realizzare per la salvezza delle anime.
4) Pensando al prossimo Papa, diceva il card. Bergoglio, io penso un uomo che, attraverso la contemplazione e l’adorazione di Gesù Cristo, aiuti la Chiesa a uscire da se stessa verso le periferie esistenziali, che la aiuti a essere la madre feconda che vive “della dolce e confortante gioia dell’evangelizzare”, secondo la lezione di Paolo VI.
Piero Gheddo
luglio 2013 – Avvenire
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