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Nell’ottobre scorso vi ho parlato della Giornata Missionaria mondiale e oggi ritorno sul tema parlandovi della vocazione missionaria. La missione è fatta da uomini e donne che si consacrano al Signore per portare il Vangelo a tutti i popoli. Oggi i missionari e le missionarie italiani diminuiscono, mentre molti vescovi di Asia e Africa e anche d’America Latina e Oceania continuano a chiedere altri missionari.
Visitando le missioni dei vari continenti mi rendo conto di un fatto: le giovani Chiese, grazie a Dio, hanno un certo numero di vocazioni sacerdotali e religiose, ma ancora insufficienti alle esigenze di quelle giovani comunità in rapida crescita a parte alcuni casi di Chiese asiatiche, ad esempio quella dell‘India dove tra l’altro i missionari stranieri non sono più ammessi, anche se qualcuno riesce ancora ad entrare come studente e per compiti molto specifici e specializzati.
All’inizio di questa catechesi voglio dare una testimonianza personale della mia vocazione di sacerdote e missionario. Dopo 55 anni sacerdozio, vi posso dire che è bello fare il prete ed è bello fare il missionario. E’ vero, il Signore richiede sacrifici, rinunzie, mortificazioni, ma vi dà poi tanta gioia per tutta la vita. Per un motivo molto semplice. Il prete che si impegna, nella sua debolezza umana, a vivere con sincerità per il Signore e il prossimo, ha una vita piena, è ricercato dalla gente che ha fame e sete di Dio e di Cristo.
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Quando penso alla mia vocazione sacerdotale e missionaria, cari amici, mi commuovo. Ringrazio sempre il Signore di avermi chiamato; e ringrazio papà Giovanni e mamma Rosetta che hanno pregato per avere un figlio prete, quindi sono all’origine della grazia grande che mi ha concesso chiamandomi a seguirlo.
Vi ricordate la scena evangelica di Gesù che passa sulla riva del mare e trova due giovani pescatori che riassettavano le reti dopo una nottata di pesca? Il Vangelo dice che li guardò e disse loro: Seguitemi! “Ed essi, lasciato tutto, lo seguirono”.
Quando medito queste parole penso che lo stesso è successo con me. I miei parenti mi raccontavano, quando ero adulto e sacerdote che da piccolo, 8-9-19 anni, quando qualche parente o amico di famiglia mi chiedeva: “Pierino cosa vuoi fare da grande?”, io rispondevo deciso: “Il prete!”. C’era già in me la chiamata del Signore, che veniva dall’offerta che mamma Rosetta e papà Giovanni avevano fatto all’altare quando si sono sposati. Avevano chiesto di avere molti figli e che almeno uno di loro si facesse prete! Cari amici di Radio Maria, dopo 55 anni di sacerdozio posso dirvi solo questo: “Grazie mamma e papà, grazie Signore Gesù, perché è bello fare il prete è bello essere missionario.
I Parte – Cosa è la vocazione missionaria
La vocazione alla vita consacrata, al sacerdozio, alla missione alle genti è una chiamata del Signore a seguirlo in una vita particolare di consacrazione totale al Vangelo e alla Chiesa. Tutte le vite umane e cristiane sono una vocazione, una chiamata di Dio, con pari dignità davanti a Dio e tutte, se seguite con fedeltà e amore, portano a Dio, alla santttà.
Ma qui parlo della chiamata di Dio simile a quella fatta ad Abramo: “Esci dal tuo terra, dalla tua patria, dalla casa di tuo padre e va verso il paese che indicherò”. Abramo, scelto fra milioni di uomini, obbedisce a Dio senza sapere dove va. Semplicemente si fida di chi l’ha chiamato e parte come il Signore gli aveva indicato (Gen. 12, 1 e 4). Dalla sua fede e obbedienza ha inizio il cammino di Alleanza del popolo ebraico con Dio, che porta l’umanità a Cristo e alla Chiesa. Lo stesso avviene quando, nel Nuovo Testamento, Gesù chiama gli Apostoli: “Vieni e seguimi”. Ed essi, lasciato tutto, famiglia, casa, le barche e reti di pescatori, subito lo seguirono.
Rispondere alla chiamata di Dio è un atto di fede e di amore. All’origine della vocazione missionaria c’è la fede, il fidarsi di Gesù che ancora chiama il giovane uomo o la giovane donna a seguirlo, a donare a Lui tutta la loro vita, per testimoniare e annunziare il Vangelo a tutti gli uomini. Gli Apostoli che seguivano Gesù non avevano ancora chiaro dove li avrebbe portati. Gli volevano bene, credevano in Lui, lo seguono ad occhi chiusi e la loro fede è all’origine ella Chiesa e della liberazione di tutta l’umanità dal peccato e dalla morte.
Noi oggi siamo abituati diversamente. Prima di fare una scelta, specie quella determinante per la nostra vita, vogliamo sapere, conoscere, ragionare se mi conviene o no, insomma avere chiare le idee prima di scegliere. Ma quando Dio chiama, ha già scelto Lui per noi e la sua scelta è per il nostro vero bene, perché Lui ci conosce fin da quando eravamo nel seno materno, come dice a Geremia: “Prima di formarti nel seno materno ti ho conosciuto, prima che tu uscissi alla luce io ti ho scelto” (Ger. 1, 5).
Quando rifletto su tutto questo e lo applico alla mia piccola vita, mi commuovo, il mio cuore è inondato di riconoscenza a Dio e di gioia. Lo dico soprattutto ai ragazzi e ragazze che ancora debbono fare una scelta per la vita: “Se Dio vi chiama, non ditegli di no. Perché è bello vivere tutta una vita consacrata a Dio, a Gesù Cristo, alla Chiesa, fare il missionario, la missionaria. Il prete, il missionario, non ha le preoccupazioni degli altri uomini: la famiglia, i figli, il denaro, il lavoro, la carriera, la casa, il futuro. Il prete non deve preoccuparsi di nulla, solo di innamorarsi di Cristo e poi testimoniare Gesù agli altri, specialmente attraverso l’amore ai più piccoli e poveri. Non va mai in pensione, non ha problemi di trovare un lavoro o di essere disoccupato, non deve pensare alla sua carriera, ai soldi, alla vecchiaia, nemmeno alla sua salute. Tutta la sua vita è nelle mani di Dio.
Certo, le croci ci sono, le rinunzie a volte fanno soffrire, ma in tutta la vita ti senti amato, benvoluto, protetto da Dio, coccolato, guidato, perdonato; e poi amato dalla gente.
Nel 1976, ho visitato le missioni del Ciad, paese africano e in particolare una missione del sud nella diocesi di Moundou, dove lavoravano i padri cappuccini canadesi. Un missionario mi ha accompagnato nella visita ai suoi villaggi e alla sue gente. Alla sera a cena gli ho detto: “Ho già visto molte missioni in Africa, ma lasciami dire che la tua è proprio molto difficile, il tuo popolo mi pare ancora molto primitivo, chissà quanto è difficile la tua vita qui in questa campagna isolata e con un popolo che è ancora ai primi gradini dello sviluppo e del cristianesimo”.
Padre Giovanni mi risponde. “Ma cosa dici! Questo popolo tu lo vedi solo nell’aspetto materiale. Sì sono molto poveri, in maggioranza analfabeti, non hanno nessuna delle nostre comodità moderne, ma tu sapessi quante qualità umane hanno! Sono cordiali, riconoscenti, pronti a servirti in tutto quelli che ti occorre. Io qui mi trovo benissimo e ringrazio spesso il Signore perché ti assicuro che sono più felice ad essere qui nel profondo dell’Africa, che non quando ero parroco in Canada”.
L’ho ringraziato di quella testimonianza e ho pensato: questo missionario ci crede davvero alla sua missione, si spende per il suo popolo e il Signore lo ricompensa dandogli tante gioie che io non riesco nemmeno ad immaginare.
Secondo esempio all’opposto del primo, è quello del parroco così ben descritto da Georges Bernanos nel suo immortale “Diario di un parroco di campagna” (Oscar Mondadori 1975, pag. 31). Parlando della sua parrocchia con un altro prete gli dice:
“La mia parrocchia è una parrocchia come tutte le altre. Si rassomigliano tutte. Le parrocchie d’oggi, naturalmente… La mia parrocchia è divorata dalla noia. Come tante altre parrocchie! La noia le divora sotto i nostri occhi e non possiamo farci nulla. Qualche giorno forse saremo vinti dal contagio, scopriremo in noi un simile cancro. Si può vivere molto a lungo con questo in corpo”.
La noia è l’opposto dell’entusiasmo. La fede e l’amore a Cristo generano l’entusiasmo della vita consacrata. La mancanza di fede e di amore a Cristo e agli uomini portano alla stanchezza, al pessimismo, alla depressione.
Come un giovane può sapere di essere chiamato da Dio? Due criteri molto precisi:
- La chiamata di Dio è un fatto intimo, che si sente nella preghiera, nella meditazione alla Parola di Dio, ricevendo Gesù nel sacramento eucaristico. Anche a me e a moltissimi altri Gesù ha detto: Vieni e seguimi, e lo dice a moltissimi altri giovani e ragazze. L’importante è che, quando uno sente questa ispirazione, risponda con sincerità e retta intenzione: “Signore, eccomi davanti a te, piccolo e povero come sono. Ti voglio bene e sono pronto a donarti tutto me stesso. Cosa vuoi che io faccia?”. La chiamata matura nella preghiera, nella riflessione, nel desiderio di servire il Vangelo e la Chiesa, nella informazione e conoscenza di quanti popoli ancora non conoscono il Salvatore. E naturalmente nel camminare verso l’imitazione di Cristo, verso quella santità di vita che può rendere un piccolo uomo, una piccola donna, sale della terra e luce del mondo, non per forza propria, ma per riflettere in modo autentico e trasparente la luce e la forza di Cristo.
- Il secondo criterio che permette di giudicare la chiamata di Dio è il consiglio di un padre spirituale, l’accettazione da parte della Chiesa. Il giovane che si sente chiamato deve aprirsi, confidare con qualcuno, raccontare la sua vita e verificare se la sua intenzione è retta e se la chiamata del Signore è autentica; e se le situazioni concrete della sua vita gli permettono di consacrarsi a Gesù Cristo e alla Chiesa. Qui entrano in gioco tanti altri fattori, il consenso dei genitori, l’età e gli studi fatti, la salute e la libertà da altri obblighi e impegni. Ma tutto questo viene dopo.
- L’importante, all’inizio è verificare se c’è davvero la chiamata di Dio oppure uno coltiva illusioni e sogni. Quando c’è la morale certezza che Dio chiama, allora si aprono gli altri discorsi, fra i quali anche la decisione e la determinatezza che si richiede, specialmente nel nostro tempo, per realizzare in tempi ragionevoli la propria vocazione. Non poche vocazioni autentiche si perdono perché si rimanda continuamente la scelta finale e decisiva. Conosco uomini e donne adulti, liberi e buoni cristiani, che mi confidano: “Quando ero giovane sentivo veramente la chiamata di Dio, ma per un motivo o l’altro non riuscivo mai a fare l’ultimo passo. Sono invecchiato con questa nostalgia che volevo fare il prete (o la suora)”.
II Parte – Oggi in Italia i preti e le suore sono troppo pochi
All’inizio del Novecento, in Italia, per 33 milioni di abitanti c’erano 68.848 sacerdoti diocesani (parliamo solo di questi, in gran parte impegnati a livello parrocchiale e territoriale), cioè circa un sacerdote ogni 500 italiani, oltre ai religiosi che pure aiutavano nell’apostolato parrocchiale.
Oggi gli italiani sono quasi raddoppiati (circa 60 milioni) e nel 2003 i sacerdoti diocesani erano meno della metà del 1900: 32.970 e con un’età media di 60 anni. C’è un prete ogni duemila italiani.
Secondo un’approfondita recente ricerca, se si va avanti di questo passo, nel 2013 i preti diocesani italiani saranno 28.317 e nel 2023 se ne prevedono 25.407; naturalmente sono diminuite di numero anche le suore, anzi per le suore la diminuzione numerica è stata ancora più forte, ma non ho dati precisi.
Conclusione. Il popolo italiano ha oggi una assistenza religiosa molto minore di quanta ne aveva all’inizio del Novecento, mentre il tempo moderno, per la grande dispersione delle persone e delle famiglie e la complessità della società, richiederebbero una maggior assistenza religiosa.
Lo sapete bene quanto la Chiesa manchi di preti e ancor più di suore. Non occorrono statistiche per dimostrarlo, è un’esperienza che facciamo tutti i giorni: noi preti perché se siamo ancora in piena attività molti ci cercano e ci vogliono e non c’è mai tempo per ascoltare tutti; e voi fedeli perché spesso, quando cercate un prete per una benedizione, per un consiglio, per confessarvi, per un vostro ammalato, non lo trovate.
Alcuni sacerdoti diocesani mi dicono che sono parroci di tre-quattro, anche cinque parrocchie! Un sacerdote genovese parroco di cinque piccole parrocchie sulle colline alle spalle della Riviera di Levante, mi diceva: “Sono parrocchie piccole, con due-tre-quattrocento abitanti l’una, ma richiedono molto lavoro. Ho appena il tempo di pregare perché sono impegnatissimo anche nelle cose materiali, come riparazione di chiese e case parrocchiali cadenti; poi c’è l’amministrazione, poi l’archivio e l’ufficio parrocchiale. Ho alcuni collaboratori che vengono gratuitamente, ma un’impiegata a tempo pieno, che sarebbe indispensabile, non posso permettermela, costa troppo”.
Quand’ero giovane sacerdote a Milano, frequentavo i giornali anche laici e conoscevo molti giornalisti dell’Associazione giornalisti cattolici: a Milano eravamo circa 300 giornalisti cattolici. Una volta un redattore di “Epoca”, cattolico praticante, mi dice: “I nostri vescovi richiamano le nostre riviste e giornali e radio-televisioni a non trascurare gli aspetti religiosi delle vicende umane e al rispetto dell’etica e della moralità, ma poi una diocesi grande come Milano non riesce a trovare un prete-prete tutto per noi”. Diceva proprio così: “Un prete-prete”, cioè un prete che sia veramente tale, pieno di fede ed entusiasta della sua vocazione, che fosse a disposizione dei giornalisti e dei giornali e radio-televisioni. Non per qualche celebrazione o cerimonia, ma proprio come ssistente spirituale.
Mancano anche le vocazioni missionarie. Voi sapete che visito ogni anno alcune missioni del Pime, per parlare solo del mio Istituto. Quest’anno sono stato in Camerun (Africa centrale) e a dicembre prossimo o gennaio 2009 se Dio vuole andrò in Bangladesh. Ad ogni visita delle missioni, incontrando i vescovi locali e i miei confratelli del Pime, sento ripetere lo stesso ritornello: abbiamo bisogno di missionari e missionarie, mandateci altro personale consacrato. Due mesi fa, mentre ero a Roma, ho incontrati il nuovo vescovo di Yagoua, mons. Bartolomeo Yaouda, che mi ha detto:
“Sono nato nella diocesi di Yagoua che lei ha visitato e fin da giovane ho apprezzato la presenza dei missionari del Pime nella nostra tribù dei “tupurì”. Avete realizzato molte iniziative e opere, aperto nuove missioni. Adesso che io sono vescovo, non pensi che non abbiamo più bisogno dei vostri missionari. Anzi, capisco sempre più che sono indispensabili alla nostra maturazione ecclesiale, perché da noi il Vangelo è giunto circa 50 anni fa. I nostri padri e nonni erano tutti pagani”.
Questo è solo un caso esemplare della situazione in cui si trovano molte giovani Chiese d’Asia e d’Africa. In genere è vero che hanno vocazioni alla vita consacrata abbastanza numerose, ma è anche vero che queste Chiese, escluse alcune poche che risalgono a secoli addietro e quindi si è già creata una solida tradizione cristiana (come in India, Cina e Vietnam), sono solo alle prime generazioni di cristiani. Perchè la vera evangelizzazione del mondo non cristiano in Asia e Africa è iniziata solo durante il 1900 e in molti paesi o regioni, ad esempio il Camerun del nord o la Guinea-Bissau dove lavoriamo noi del Pime, solo dopo la seconda guerra mondiale, cioè 50-60 anni fa! Quindi, quasi ovunque non c’è ancora una sufficiente tradizione cristiana e la richiesta di missionari e missionarie dai paesi d’antica cristianità è forte. Non basta avere un certo numero di preti e suore, bisogna che siano anche accompagnati nel loro non facile cammino perché mancano di esperienza, di tradizione, di strutture affermate, persino di libri e riviste di formazione. Se li abbandoniamo adesso, in molte parti del mondo non cristiano la cultura pagana rischia di prevalere sulle prime piccole e disperse comunità di credenti in Cristo.
La rivista del Pime “Mondo e Missione” ha pubblicato in ottobre un lungo studio sulle vocazioni missionarie italiane,che dal 1983 ad oggi, cioè 25 anni dopo, sono diminuite di un terzo, sia negli istituti maschi che femminili. E la tendenza attuale è di una crescente di dìminuzione.
La mia esperienza personale è questa. Nel 1994 ho incominciato a far scuola nel seminario pre-teologico del Pime a Roma (la teologia poi è a Monza oppure a Tagaytay nelle Filippine). Quindici anni fa le vocazioni italiane nel Pime, cioè i giovani che entravano ogni anno nel Pime per essere sacerdoti o fratelli, erano circa 6-7-8, oggi sono crollati a due-tre. Per fortuna l’Istituto è diventato internazionale solo all’inizio degli anni novanta e adesso abbiamo già una settantina di membri stranieri. Ma nonostante questo, il numero totale dei membri del Pime diminuisce ogni anno, mentre le richieste dalle missioni e le proposte di Propaganda Fide al Pime aumentano e a volte sono veramente imperiose, come l’ultimo paese in cui il Pime è andato, l’Algeria. Paese difficilissimo, ma si trattava di non chiudere la parrocchia del deserto del Sahara a Touggourt: pensate la parrocchia più estesa del mondo, di circa due milioni di kmq, cioè sette volte l’Italia, con una popolazione di pochissimi cristiani locali, ma anche con numerosi cattolici da assistere nei campi petroliferi del deserto (francesi, indiani, italiani, spagnoli, libanesi, americani, ecc.). Il Pime vi ha mandato tre missionari italiani che parlano francese, inglese e stanno imparando l’arabo.
La mancanza o scarsezza di sacerdoti è un segno della crisi di fede che attraversa l’Italia, le famiglie italiane. Ma è anche causa della continua decadenza della fede e della vita cristiana. E’ vero che i laici dovrebbero collaborare con la parrocchia e le istituzioni cristiane, ma la comunità cristiana è centrata sull’Eucarestia e sul ministero ordinato, cioè sul sacerdote e dove manca il sacerdote o c’è un sacerdote troppo anziano, ammalato, manca il motore della vita cristiana, manca l’autorità della Chiesa congiunta col vescovo e il Papa.
Cari amici di Raido Maria questo è un problema che deve diventare nostro, di ciascuno di noi, preoccuparci, discuterne, essere disponibili a dare il nostro contributo alla soluzione della crisi. Non possiamo pensare e dire: ci pensi il vescovo, ci pensi il Papa. No, se abbiamo fede in Cristo dobbiamo chiederci: “Di fronte a questa crisii, io cosa posso fare?”. E’ il tema che tratto nella terza parte della nostra catehesi.
III) Come suscitare nuove vocazioni missionarie?
1) La prima risposta l’ha già data Gesù: “La messe è molta, ma gli operai sono pochi. Pregate il Padrone della messe perché mandi operai nella sua messe”.
Nella Chiesa si prega molto per le vocazioni e certamente anche noi dobbiamo pregare: è un problema non dei vescovi o del clero, ma di tutti noi! Pregate per le vocazioni sacerdotali e religiose.
L’efficacia della preghiera l’abbiamo sperimentata noi del Pime nell’anno 2000, quando celebravamo i 150 anni dell’Istituto, fondato a Saronno nel 1850 come “Seminario lombardo per le missioni estere”. Anche nel nostro Istituto missionario le vocazioni sacerdotali italiane sono molto diminuite. Negli anni sessanta e settanta avevamo sempre più di venti e anche trenta giovani sacerdoti missionari italiani ogni anno, negli anni novanta erano ridotti a tre-quattro.
Nel 2000 il nostro superiore generale padre Franco Cagnasso, ha chiesto a tutti i membri del Pime di pregare e organizzare preghiere per le vocazioni missionarie. Nelle missioni si è pregato per questo (il Pime lavora in 18 paesi diversi) e nelle case dell’Istituto si è fatta un’ora di adorazione settimanale, celebrate SS. Messe e ogni giorno recitavamo assieme la “Preghiera per ottenere sante e numerose vocazioni missionarie”. Ebbene, in quegli anni dopo il 2000 abbiamo visto aumentare il numero dei nostri seminaristi: l’anno scorso, ad esempio, sono stati ordinati sei italiani sacerdoti missionari del Pime frutto di quegli anni fortunati, e parlo solo degli italiani; ma un fatto straordinario è che in quegli anni una decina di sacerdoti di varie diocesi sono entrati nel Pime e adesso sono in missione, in Papua Nuova Guinea, Amazzonia, Bangladesh, Hong Kong e vari paesi africani e ultimamente un sacerdote di Novara, don Emanuele Cardani è andato con due missionari del Pime ad aprire la nuova missione in Algeria, nel deserto del Sahara.
Però io vorrei chiedere a tutti voi: non avete mai pregato perché il Signore susciti qualche vocazione sacerdotale o religiosa nella vostra famiglia? Non avete mai offerto a Dio un vostro figlio, una vostra figlia?
Parlando dei miei genitori Rosetta e Giovanni, che se Dio vuole diventeranno Beati, spesso racconto che la mia vocazione sacerdotale viene, dopo che da Dio, da mamma Rosetta Franzi e da papà Giovanni, che nel giorno del loro matrimonio hanno offerto a Dio il loro amore e hanno chiesto la grazia che almeno uno dei loro figli o figlie diventasse sacerdote o suora. Questa notizia me l’ha rivelata il vecchio parroco di Tronzano vercellese) nel giorno della mia prima S. Messa (29 giugno 1953), dicendomi pubblicamente: “Oggi il Signore esaudisce la grazia richiesta da tua mamma e tuo papà quando si sono sposati”. I parenti lo sapevano, ma non me l’avevano mai detto per lasciarmi libero. Mi dicevano che dall’età di 7-8 anni a chi mi chiedeva cosa avrei fatto da grande, rispondevo deciso: “Il prete”. Alle parole del parroco, il mio cuore è stato inondato di gioia, nello scoprire che la radice della mia felicità di aver raggiunto una meta tanto desiderata erano mamma e papà, ormai già morti da parecchi anni; e in seguito ho sempre ringraziato i genitori, pregandoli per la fedeltà alla chiamata di Dio.
Una signora piemontese venuta a sentire una mia conferenza mi scrive a nome anche di suo marito: “Mi sono commossa al ricordo dei suoi genitori e voglio dirle che noi abbiamo due figli e una figlia, ancora in età scolastica. Con mio marito preghiamo perché il Signore scelga uno dei miei figli, o anche tutti e due se vuole, per diventare sacerdote. Con tutte le miserie che ci sono oggi nella nostra società, pensiamo che il modo migliore per aiutare è di offrire a Dio i nostri figli per chiamarli al suo servizio. Preghi anche lei per questo nostro desiderio e offerta”.
Ho ringraziato di questa lettera toccante, che dimostra come nelle nostre famiglie giovani c’è ancora fede e generosità col Signore. Quando i coniugi sono ben formati, pregano assieme e si vogliono veramente bene, accettano volentieri quei figli che il Signore manda a loro e sono anche generosi nell’offrirli a Dio e al servizio della società italiana.
Ripeto la domanda che ho fatto a tutti voi che mi ascoltate: non avete mai pregato perché il Signore susciti qualche vocazione sacerdotale o religiosa nella vostra famiglia? Non avete mai offerto a Dio un vostro figlio, una vostra figlia?
Ricordatevi. Un figlio prete o una figlia suora, non sono una perdita ma un guadagno. Sono la miglior benedizione per una famiglia!
2) Noi preti dobbiamo presentare un prete e un missionario credibile.
Il secondo modo per suscitare vocazioni è di presentare nella mia vita un sacerdote credibile, simpatico, umile, disposto ad aiutare gli altri. Un uomo che vive non per se stesso ma per servire Cristo e il prossimo
Il problema più grande per noi sacerdoti che viviamo in Italia è che veniamo da 40-50 anni di pensiero debole, cioè di una mancanza di identità forte. La vita religiosa è liquida, senza punti di riferimento, quasi senza scopo. Il carisma sembra essersi perso e non si vede più la gioia di essere consacrati. Come si dice a Roma, “si tira a campà”.
Io prete debbo ripetermi continuamente che, come sacerdote, debbo essere il sale della terra, la luce del mondo. La mia vita, le mie parole, il mio comportamento è quello che deve dare senso alla vita religiosa, dimostrare in modo molto concreto che fare il prete è bello, chiedere al Signore che mi dia la gioia della mia vocazione, l’entusiasmo di essere prete e missionario. Io sono piccolo, povero, anziano, posso essere ammalato e quasi incapace di fare qualcosa, ma il fuoco della mia vita deve sempre essere acceso e il fuoco è l’amore di Cristo, l’amore alla Chiesa, agli uomini, alle anime, ai popoli.
Chiedo a voi che mi ascoltate: non avete mai pregato perché i sacerdoti siano fedeli alla loro vocazione? Se un sacerdote pare che vada fuori strada, siamo tutti pronti a mormorare, parlare male di lui, diffondere i sospetti e le dicerie. Ma un buon cristiano si preoccupa anzitutto di pregare per i suoi preti, di non abbandonarli, di aiutarli con l’affetto, la vicinanza psicologica e la disponibilità ad aiutarli.
3) Il terzo modo per suscitare vocazioni missionari è di far conoscere figure di missionari, di sacerdoti attraenti, che suscitano entusiasmo fra i giovani. Il prete lo vedono sempre da lontano, non sanno quanto è bello fare il prete, quanto la vita è interessante, utile a tutti, piena di gioia.
Racconto l’esempio di padre Clemente Vismara, che ha suscitato non esito a dire tante, decine e decine di vocazioni missionarie, con le sue lettere e i suoi articoli. Parlava della vita del missionario e della suora missionaria in un modo semplice, vivace, avventuroso, poetico. Visitando le missioni di tutto il mondo, affidate a diversi Istituti e Congregazioni, tante volte ho incontrate suore, sacerdoti, e fratelli, che mi hanno detto: “All’origine della mia vocazione ci sono gli articoli e le lettere di p. Vismara”.
Un amico mi ha scritto: “Leggendo il volume “Lettere della Birmania” ho capito il perché del fascino di p. Clemente: è uno scrittore autentico, un poeta, un narratore, un uomo geniale che riusciva in poche righe a trasfigurare la realtà, a far sognare, a dare uno stimolo forte a chi lo legge”.
Tutto vero, caro amico, ma non basta. Il segreto di p. Clemente non sta solo nel fatto che sapeva scrivere bene. Il segreto del successo di p. Clemente e dei suoi libri (che continuano a produrre vocazioni anche dopo la sua morte) è questo: quando scriveva trasmetteva Dio, trasmetteva l’esperienza intima che aveva di Gesù Cristo, della Madonna. Quindi una visione realistica della vita e delle cose a partire da Dio, non dalle nostre passioni e visioni umane (sempre incerte, spesso errate e fallimentari).
Ho parlato a lungo di padre Clemente, anche perchè a lui è legata la nascita della mia vocazione missionaria. Ma le biografie di ottimi missionari e suore sono centinaia. Bisogna diffonderle, far conoscere gli “eroi positivi” del cristianesimo. Regalate un libro missionario ad una famiglia, ad un giovane.
4) Infine, quarto modo per suscitare vocazioni sacerdotali e missionarie è di dare a qualche giovane che conosciamo questa apertura verso una vita totalmente consacrata a Dio e ai popoli non cristiani.
A volte si dice che i giovani d’oggi hanno pochi ideali. Non mi pare sia vero. In genere i giovani, oggi come in passato, nutrono grandi sogni e ideali, come si dice «sognano ad occhi aperti». Se spesso gli adolescenti perdono il loro stato di grazia e si ripiegano su se stessi, diventando cinici, svogliati, indifferenti a tutto, molta colpa è di noi adulti. Ernesto Olivero, è il fondatore dell’”Arsenale della pace” a Torino: Ho pubblicato una sua lunga intervista in un volumetto pubblicato con questo titolo “La crisi dei giovani non esiste”. Ernesto mi diceva:
“La crisi dei giovani non esiste. siamo noi adulti ad essere in crisi. E’ evidente che le vocazioni alla vita consacrata sono diminuite, ma questo non ci autorizza a dire che i giovani sono meno disponibili di una volta. Credo invece che oggi non trovano più dei modelli adeguati che li ispirino, li stimolino all’imitazione e anche le comunità religiose, a parte le eccezioni, non è che diano esempio di vita evangelica. Oggi ai giovani nessuno più dà grandi ideali, quindi si chiede troppo poco. Se io do solo un ideale di giustizia, di eguaglianza, di solidarietà, finisce che faccio azioni di protesta e sindacali. Se invece trasmetto l’amore, la passione per Cristo, questo è un ideale infinito, mi chiede tutto per Dio e per i fratelli. Con tutti i difetti che possono avere, i giovani d’oggi non si accontentano più di un cristianesimo formalistico. Delusi dalle testimonianze spesso negative che vedono nella Chiesa e nella loro famiglia, con una debole formazione alla fede e alla preghiera personale, travolti dalle distrazioni dei molteplici mezzi di evasione, molti sono smarriti e insoddisfatti oppure si adagiano in un pratica religiosa fatta di mediocrità e compromessi. Se non trovano forti richiami al Vangelo nelle vite degli adulti che incontrano, la loro pratica religiosa, quando c’è, diventa più legata all’abitudine che alla convinzione. Su questa base non si fa un prete e nemmeno un buon padre di famiglia cristiano».
Sono convinto che Dio chiama molti giovani e ragazze, ma nessuno li fa riflettere su questo. Quand’ero giovane c’era sempre un prete o una suora o un laico maturo che ti diceva: “Hai mai pensato di farti prete?”. Oggi, nell’epoca della secolarizzazione, questo non capita più. Non bisogna aspettare che le vocazioni bussino alla porta, come accadeva tanti anni fa, adesso bisogna andare a bussare al cuore dei giovani e delle ragazze. Per avere vocazioni, dobbiamo coltivare la fede e la vita cristiana, perché la vocazione è una chiamata di Dio e per sentire questa chiamata bisogna essere attenti alle cose spirituali e uniti a Dio nella preghiera.
Padre Gheddo su Radio Maria (2008)
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