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martinelli-tripoli_56675Il vescovo di Tripoli, mons. Giovanni Martinelli, è l’unico cristiano nato in Libia nel 1931 nel villaggio Breviglieri, oggi El Qadra. Dal 1985 guida la piccola Chiesa di Libia. Dice:

      – I rapporti della Chiesa sono buoni con tutti, autorità, funzionari governativi e gente comune. I cristiani che operano nei diversi settori della società, anche nelle compagnie del petrolio, sono i testimoni della fede. Noi cerchiamo di aiutare questi cristiani a capire i musulmani e ad essere positivi con loro per stabilire rapporti di comprensione e di aiuto vicendevole. La settantina di suore e le filippine e indiane cristiane che lavorano in ospedali e altre istituzioni sanitarie suscitano ammirazione e riconoscenza. Le infermiere filippine sono circa 10.000 in tutta la Libia: sono donne cristiane competenti, gentili e pazienti e sono tante: nei principali ospedali di Tripoli sono tutte loro. Questo servizio è una forma di dialogo che fa riflettere i musulmani. Vivendo con queste donne cristiane capiscono i valori del Vangelo più di qualsiasi discorso. Ho avuto molte testimonianze dai musulmani, che ringraziano di questa presenza, e anche le suore, le filippine e le indiane sono contente di questo servizio. Lo stesso discorso vale per i profughi dall’Africa nera che ormai sono tanti qui in Libia e hanno un forte senso di appartenenza e di identità cristiana. Il libico è rispettoso per natura, è tollerante e poi sa capire se uno veramente crede o no. Nelle compagnie italiane o non italiane che lavorano specie nel petrolio, le persone che credono si manifestano e suscitano amicizia e anche ammirazione nei musulmani.

  –  Il fondamentalismo islamico ha un forte influsso nel paese? 

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     – Io penso che tutto dipende da noi: rendere ragione della nostra speranza è importante per il mondo islamico. I libici soffrono di questo fondamentalismo che è soprattutto ignoranza. Si supera con la testimonianza di amore, onestà, rispetto, gioia di vivere che in genere i cristiani danno. La presenza cristiana in Libia, tutta straniera, è una risposta e una sfida per cercare di vivere insieme.

      –  Quindi, il vostro servizio di sacerdoti è di assistere questi cristiani stranieri. 

     – Sì ed è un servizio molto pesante. Noi da Tripoli, dove siamo sei sacerdoti, dobbiamo visitare spesso i gruppi consistenti di cristiani che sono anche a centinaia di chilometri fuori città e chiedono il prete. Purtroppo non riesco a trovare altri sacerdoti che vengano in Libia.

      – Quale provocazione l’islam dà a noi occidentali? 

     –  Certamente una forte testimonianza di fede e di preghiera, non ha vergogna di manifestare la propria fede, la gente comune sente fortemente la presenza di Dio nella vita. Un amico musulmano mi diceva: “Noi vogliamo proporre l’islam all’Europa che è atea; non conquistarla ma proporre la religione, per farla ritornare a Dio. Allora andremo d’accordo”.
Piero Gheddo
Avvenire – gennaio 2007

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