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«Continuare a distribuire denaro a certi governi africani spesso non risolve i problemi della fame. Anzi, produce corruzione. L’unico modo per aiutare veramente l’Africa a uscire dalla sua condizione è affrontare l’emergenza educativa. Cioè insegnare alle popolazioni i metodi per abbandonare le coltivazioni da sussistenza quotidiana per arrivare a un’agricoltura moderna». Così dice al telefono Piero Gheddo, missionario del Pime, il Pontificio Missioni estere. Ieri, in prima pagina su «Avvenire», ha firmato un editoriale intitolato «Sviluppo e giustizia cominciano con l’istruzione». Benissimo, ha scritto, se il mondo sviluppato troverà i 44 miliardi di dollari per battere la fame chiesti dal segretario generale della Fao, Jacques Diouff: «Ma assieme ai finanziamenti e alle tecnologie sono indispensabili uomini e donne che consacrino la vita, o qualche anno della loro vita, per compiere con le popolazioni un cammino di crescita in comune, anche in campo agricolo».
Gheddo ha offerto qualche esempio: «A Vercelli produciamo 80 quintali di riso all’ettaro, nell’agricoltura tradizionale dell’Africa a sud del Sahara 5 quintali». Con l’assistenza ai governi spesso corrotti, è la tesi di Gheddo, non si uscirà mai un problema strutturale. C’è solo la via dell’istruzione, dell’alfabetizzazione, della trasmissione di una moderna concezione dello sviluppo agricolo e quindi economico.
Spiega a voce il missionario: «La corruzione dei governi è un autentico cancro che divora molti paesi. Che siano i popoli ad aiutare i popoli, non più i governi a sostentare i governi. Occorrono progetti educativi mirati, a lunga scadenza, capaci di radicare metodi di produzione, affidati a organizzazioni non governative disposte a rimanere a lungo sul territorio. Perchè spesso è anche inutile arrivare, realizzare due o tre pozzi d’acqua e un bell’ospedale, e andarsene dopo due anni. Perchè dopo, se non c’è una cultura di mantenimento, tutto viene cancellato».
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Un esempio di «cultura trasmessa e radicata» da parte di una missione cattolica? «Non dimenticherò mai il mio arrivo nel 1985 in Burkina Faso, durante la siccità del Sahel. Viaggiai per ore verso il Nord incontrando solo desolazione. Improvvisamente un’oasi di verde, di campagna perfettamente abitata. Era la missione dei Fratelli della sacra Famiglia di Chieri, in provincia di Torino, impiantati lì dall’inizio del Novecento che hanno insegnato a costruire sbarramenti contro il deserto, ad amministrare l’acqua, a coltivare persino l’uva italiana e straordinari pompelmi rosa. Nessun ovviamente fuggiva di lì né raggiungeva i campi di raccolta dell’Onu….»
Ma quali sono, a suo avviso, le principali colpe dell’Europa? «Molte, moltissime. Ma storicizzando direi adesso che l’Europa ha improvvisamente abbandonato l’Africa a se stessa negli anni dell’improvvisa decolonizzazione. Lì è cominciato il disastro. Prendiamo l’India, diventata indipendente nel 1947. La decisione venne presa quando la società era ben organizzata, con i partiti politici, i sindacati, una stampa libera e diffusa. E l’India è andata avanti. Nel giro di pochi anni, invece l’Africa è stata lasciata al suo destino fatto anche di sfruttamento. E certo non di educazione alla crescita e all’autonomia»
Paolo Conti
Padre Gheddo sul Corriere della Sera (2009)
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