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Una delle iniziative per me più interessanti del card. Carlo Maria Martini, quando era arcivescovo di Milano (1979-2002), è stata “La cattedra dei non credenti” iniziata nel 1987: i non credenti (scienziati, filosofi, studiosi, giornalisti, ecc.) erano invitati a dialogare con l’arcivescovo sulla condizione umana (il senso del dolore, orizzonti e limiti della scienza, l’uomo di fronte al silenzio di Dio, ecc.). Mi sono riletto il volumetto “In cosa crede chi non crede?” (pubblicato dalla rivista “Liberal”, Roma, 1996, pagg. 143): il dibattito tra Martini e Umberto Eco, a cui si sono aggiunte altre voci: Emanuele Severino, Manlio Sgalambro. Eugenio Scalfari, Indro Montanelli, Vittorio Foà, Claudio Martelli.

Il tema centrale posto da Martini: “Quali ragioni dà del suo agire chi intende affermare e professare princìpi morali che possano richiedere anche il sacrificio della vita, ma non riconosce un Dio personale?”; “Dove trova il laico la luce del bene?”. L’arcivescovo aggiunge: “So che esistono persone che, pur senza credere in un Dio personale, sono giunte a dare la vita per non deflettere dalle loro convinzioni morali. Ma non riesco a comprendere quale giustificazione ultima diano del loro operare”; e soprattutto come la “morale laica” possa risultare convincente per le grandi masse umane. Insomma, “l’etica ha bisogno della verità” per avere una fondazione ferma, sicura, che dà speranza anche al di là della morte; e questa può essere solo trascendente, che supera l’uomo limitato, debole, peccatore che tutti conosciamo e tutti siamo.

Gli Autori citati, animati da profonde convinzioni, rispondono con testi ricchi di suggestioni filosofiche e culturali, a volte non facili da seguire. Il discorso però rimane su un piano appunto filosofico-religioso. L’”etica laica” può essere sostenuta con ragionamenti abbastanza convincenti, ma i concetti espressi in questo libro andrebbero poi verificati nella realtà dei fatti. Nel febbraio 2003, in Indonesia (paese a maggioranza islamica) ho sentito che quando succedono guerre fra diverse etnie, il governo manda un “Comitato di riconciliazione” che incontra i capi tribali per tentare di metterli d’accordo. In questi comitati ci sono sempre dei cristiani, cattolici o protestanti. Ho chiesto perché ad un musulmano alto funzionario di stato e mi ha risposto: “Voi cristiani avete il principio del perdono, sapete parlare di perdono, le vostre comunità danno esempio di tolleranza e di perdono; e avete il principio del gratuito e dell’universale (superamento del tribalismo), applicato nella vita delle vostre missioni”.

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Mi chiedo: in Indonesia, oltre ai missionari italiani (ho viaggiato con i Saveriani, ma ce ne sono tanti altri), sono presenti molte fondazioni laiche italiane e dell’Occidente che prescindono dalla fede nel Dio personale: assistenziali, culturali, universitarie, commerciali, industriali, diplomatiche, turistiche, artistiche, ecc. Perché la “morale laica” non viene fuori, non diventa esemplare? Il principio che alcuni interlocutori di Martini affermano (fra cui Eco) è questo: l’etica laica è fondata sulla “persuasione che l’altro sia in noi… Come ci insegnano le più laiche tra le scienze umane, non riusciamo a capire chi siamo senza lo sguardo e la risposta dell’altro”; perché questo principio (che ignora Dio) non riesce ad affermarsi come fondamento e norma dell’etica comunemente riconosciuta? Come mai questa “morale fondata sul riconoscimento dell’altro” (e quindi: “Non fare all’altro quei che non vuoi sia fatto a te”) non ha generato una forza interna capace di valicare le frontiere e raggiungere tutti i popoli?

Non è un giudizio, ma la constatazione di un fatto. L’Occidente ha saputo esportare le sue scienze e tecniche, le sue industrie e televisioni, le sue mode artistiche e culturali; ha esportato la democrazia e la Carta dei diritti dell’uomo, ma non ha esportato la sua “morale laica”. Non sarà forse perché i popoli (qualsiasi popolo), quando parlano di morale, subito ricorrono al Dio creatore che ha messo nel cuore dell’uomo la sua Legge e a questa bisogna ricorrere se vogliamo la pace, la giustizia, la solidarietà fra i popoli? Insomma, se è difficile dimostrare razionalmente che l’etica richiede la verità di Dio, come tentano di dimostrare diversi autori del libro citato, la storia s’incarica di dimostrarlo nella realtà della vita.

Piero Gheddo

Novembre 2004

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