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Nella storia delle missioni moderne il Pime è il secondo Istituto missionario che si dedica esclusivamente alla “missione alle genti”, dopo i Missionari di Parigi (MEP, 1659). All’inizio il carisma Ad Gentes è stato difeso dal primo nostro grande Direttore mons. Giuseppe Marinoni (1850-1891), quando Pio IX avrebbe voluto inviarci come sacerdoti a servizio delle diocesi più bisognose, ad esempio nell’isola greca di Corfù davanti all’Albania (come poi ha fatto col Seminario missionario di Roma). Anche i nostri primi giovani missionari vivevano fortemente questo carisma, infatti chiedono di essere mandati “fra i popoli più lontani e abbandonati”. E vanno a finire nelle isole di Rook e di Woodlark, fra popoli che vivevano nell’età della pietra (cioè nella preistoria), dei quali Giovanni Mazzucconi, vedendo la loro quasi integrale nudità e i comportamenti “selvaggi”, esclamava: “Eppure, sono anch’essi uomini come noi”.
Molto bella (da imparare a memoria) la preghiera che Mazzucconi compose poco prima di partire, nella prima metà del mese di marzo 1852 (vedi “Scritti del Servo di Dio P. Giovanni Mazzucconi, a cura di P. Carlo Suigo”. Pime, Milano 1965, pag. 180). E’ intitolata: “Preghiera a Gesù Cristo per gli infedeli”. Eccola, recitiamola ogni giorno come preparazione o ringraziamento per la Santa Messa, chiedendo a Dio di ritrovare l’entusiasmo del Santo Sacrificio che celebriamo o al quale assistiamo:

“O pietoso Gesù, dal trono della vostra misericordia date uno sguardo alla terra. Quanti popoli non vi amano, quante nazioni non conoscono il vostro Nome, la vostra Croce, il vostro Amore! Eppure anch’essi sono vostri figli, anch’essi vi possono amare. Nell’ora della vostra agonia voi avete pensato anche a loro. Oh! se il vostro sangue sparso per tutti solleva un grido di misericordia anche per essi, ascoltatelo. Date questo gaudio al vostro Cuore, concedete questa gloria al vostro sangue versato. Con la voce di servi zelanti radunateli quei derelitti intorno alla Croce, chiamateli a sperare, a meritare il Paradiso. Hanno errato abbastanza, o Signore, chiamateli. Essi vi adoreranno con un cuore nuovo, noi vi adoreremo insieme.
Il Padre, il Figlio e lo Spirito Santo, il Dio di tutti esaudisca i nostri voti e tutti ci accolga con Lui nel suo regno eterno. Amen”.

Che bella preghiera, cari confratelli! In poche righe c’è tutta la passione missionaria dei nostri antenati, che hanno segnato la bella tradizione del nostro caro Pime: la missione alle genti, per annunziare a tutti l’amore di Cristo che ciascuno portava (e porta) nel cuore. Oggi la vocazione missionaria, almeno in Italia, è in crisi e anche noi sentiamo la difficoltà di aderire a questi sentimenti che ci sembrano così lontani e obsoleti. Eppure, lo sappiamo bene, la Chiesa è missionaria perché Cristo l’ha fondata così. Le sue ultime parole prima di salire al Cielo, diciamo il suo testamento, sono queste: “Andate in tutto il mondo annunziate il Vangelo a tutte le creature”.
E la Chiesa rinnova spesso il richiamo, l’invito alla missione, allo spirito missionario. Nella Messa del 18 aprile 2005 “pro eligendo summo Pontifice” il card. Ratzinger, commentando la parola di Gesù: “Vi ho costituiti perchè andiate e portiate frutto e il vostro frutto rimanga” (Giov 15, 16), afferma: “ Dobbiamo essere animati da una santa inquietudine, di portare a tutti il dono della fede, dell’amicizia con Cristo. In verità, l’amore, l’amicizia di Dio ci è stata data perché arrivi anche agli altri. Abbiamo ricevuto la fede per donarla ad altri. E che il nostro frutto rimanga”.
E continua con parole che toccano il cuore: “Tutti gli uomini vogliono lasciare una traccia che rimanga. Ma che cosa rimane? Il denaro no, anche gli edifici non rimangono, i libri nemmeno. Dopo un certo tempo, più o meno lungo, tutte queste cose scompaiono. L’unica cosa che rimane in eterno è l’anima umana. Il frutto che rimane è perciò quello che abbiamo seminato nelle anime umane: l’amore, la conoscenza, il gesto capace di toccare il cuore, la parola che apre il cuore alla gioia del Signore Gesù. Allora, andiamo e preghiamo il Signore perché ci aiuti a portare un frutto che rimane. Solo così la terra viene cambiata da valle di lacrime in giardino di Dio”.
La preghiera del Beato Giovanni ci rimette in questa lunghezza d’onda. Ogni giorno dobbiamo chiedere a Dio “la fedeltà alla santa vocazione”, secondo un’altra preghiera che recitavano i nostri primi missionari. E’ una grazia da chiedere al Signore Gesù che ci ha chiamati. Recitando con calma la preghiera del Beato Giovanni tutte le mattine e pensando al dono che abbiamo ricevuto da Dio, possiamo provare la commozione e l’entusiasmo della fedeltà alla nostra vocazione missionaria. Siamo preti e fratelli solo per questo. Mazzucconi ci aiuti a ritrovare l’amore al carisma del nostro Istituto e lo spirito di servizio a Dio e all’uomo.

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Padre Gheddo su InforPime (2010)

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