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In 2000 anni di cristianesimo, il secolo con più martiri è il 1900. David Barrett, nella “World Christian Encyclopedia” (Oxford Press 2001), dopo calcoli accurati afferma che nei primi tre secoli dopo Cristo, da Nerone a Diocleziano, hanno dato la vita per Cristo 7.700 martiri. Ma nel Novecento, i martiri cristiani sono stati 45 milioni e mezzo! Una carneficina dovuta in gran parte ai regimi comunisti, ma anche al nazismo e ad altri totalitarismi.
Fin che i martiri sono lontani, non ne siamo emozionati. Nel 1951 sono stato a visitare il lager nazista di Mauthausen-Gusen in Austria, rimasto com’era quando le SS schiacciavano uomini e donne come scarafaggi. Ho sperimentato cosa vuol dire sentire i brividi lungo la schiena. Tutto come sei anni prima. I registri aperti con i nomi dei condannati, mucchi di vestiti e di scarpe, le bocche dei forni crematori, le celle con l’insegna in tedesco: Erwarten (Attesa), Entwesung (disinfestazione), Auflòsung (soluzione finale). Fuori, il sole abbacinante e festoso del Creatore, dentro il gelo di morte di chi ha rifiutato Dio. Esperienza che ha segnato la mia vita.
Gennaio 1979 mi fermo a San Salvador, andando a Puebla in Messico. Sono dall’arcivescovo mons. Oscar Arnulfo Romero, che viveva nel suo episcopio con tanti laici sempre con lui per proteggerlo da una dittatura militare che reprimeva ogni dissenso, con la guerriglia alle porte della capitale. Mi porta nella Cattedrale e mi parla dei suoi interventi per riportare la pace nel paese. Condanna la dittatura e la guerriglia e mi dà la sua lettera pastorale “La Iglesia y las Organizaciones politicas populares”. La piazza della Cattedrale, presidiata dai militari, non promette nulla di buono. Un anno dopo (24 marzo 1980), Romero è freddato sull’altare durante la Messa.
Un vero martire per la pace di Cristo, strumentalizzato dalle sinistre che sostenevano i guerriglieri. Ma nella lettera di Romero si legge: “Esiste un altro tipo di violenza pericolosa, che alcuni chiamano rivoluzionaria, ma che preferiamo qualificare come terrorista… Questa violenza suole organizzarsi in forma di guerriglia o di terrorismo ed erroneamente è stata pensata come unico metodo per cambiare la situazione sociale. E’una violenza che provoca sterili e ingiustificati spargimenti di sangue, che porta la società a tensioni esplosive, incontrollabili con la ragione”. Nel 1983 Giovanni Paolo II si è inginocchiato, ha messo le mani sulla sua tomba e ha parlato del suo amore appassionato a Cristo e della prontezza nel dare la vita per il suo popolo.
L’11 aprile 1985 nelle Filippine è morto martire della carità il mio confratello padre Tullio Favali. Il 23 aprile ero sul posto, a Tulunan nell’isola di Mindanao. Mi portano dove Tullio ha sparso il suo sangue per Cristo. Un strada sterrata con in centro una grande macchia di sangue (22 ferite!), circondata da lumini e mazzi di fiori. Mi sono inginocchiato commosso, ho toccato quel sangue, mi sono segnato, ho pianto. La gente semplice lì attorno mi racconta la mattanza e ancora ho provato i brividi alla schiena.
Novembre 1994, con un missionario siciliano percorriamo in auto la strada da Bujumbura capitale del Burundi a Cyangugu sul lago Tanganika, per passare in Congo a Bukavu. Attraversiamo il Ruanda nell’anno del genocidio dei tutsi, 100.000 massacrati, mezzo milione di profughi in Congo. In pochi mesi uccisi quattro vescovi su nove, 123 preti su 200, 92 suore, quasi tutti i seminaristi. Posti di blocco ovunque, villaggi bruciati, gente che scappa. In un villaggio vicino a Butare il missionario mi porta a vedere la chiesa. Un grande edificio bruciato con i cristiani dentro e di fianco hanno scavato con le ruspe una fossa comune buttandovi dentro i cadaveri carbonizzati, con un po’ di terra sopra. Un ributtante lezzo di carne arrostita, dalla terra smossa spunta una scarpa, un braccio, una gamba… A Cyangugu andiamo dal vescovo. Ci accoglie riconoscente e dice: “Sono vivo perchè ho qui con me quattro suore polacche che mi proteggono. La mia casa è circondata dai militari, se queste suore dovessero andarsene, la mia vita non vale più nulla. A Bujumbura un missionario saveriano mi aveva detto: “Sapessi quante centinaia di martiri cristiani abbiamo in questi mesi. Gente che rischia la vita nascondendo persone dell’altra etnia. Se vengono prese, sono uccise con tutta la famiglia”.
Da sempre sappiamo che noi cristiani siamo votati al martirio. Gesù è l’unico fondatore di una grande religione ucciso a causa della verità che proclamava e viveva. Ha detto anche a noi: “Se hanno perseguitato me, perseguiteranno anche voi” (Giov. 15, 20).
Piero Gheddo su Avvenire, 2011
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