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Oggi è sempre più difficile fare il missionario o il laico missionario, ma è anche esaltante:
1) Da un lato i popoli si aprono al cristianesimo, a Cristo per tanti motivi: li elenca la “Redemptoris Missio” dove si legge (n. 3): “Dio apre alla Chiesa gli orizzonti di una umanità più preparata alla semina evangelica”. Noi guardando all’Italia siamo pessimisti; guardando all’umanità, il Papa era ottimista e anch’io lo sono. Come prevedeva Teilhard de Chardin, il movimento dei popoli è orientato dallo Spirito Santo verso Cristo.
Il missionario, prete o laico, deve anzitutto avere, con la fede, una visione ottimistica del presente e del futuro. Se non c’è ottimismo e speranza, è difficile resistere in missione.
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Esempio del Cappuccino canadese in Ciad e di padre Vismara.
2) Dall’altro lato, sempre più appare vero quello che Giovanni Paolo II scriveva nella ”Redemptoris Missio”: “Le giovani Chiese sono la speranza della Chiesa universale”. L’Italia ha circa 500 preti diocesani all’estero in missione, ma dalle missioni ci sono 1.800 preti finanziati dalla Cei cioè con compiti pastorali stabili in Italia! E non parliamo delle suore: ovunque ci sono indiane, filippine, africane, latino-americane…
Non parliamo dei laici dal terzo mondo presenti in Italia, ormai più di due milioni di lavoratori, che vengono perché ne abbiamo bisogno: la nostra cività no produce più bambini!
3) Il laico missionario deve avere la coscienza che è un momento importante nella sua vita, sia dal punto di vista umano che professionale e religioso. La missione, in chi la vive bene con umiltà è un momento di grande crescita umana e spirituale.
Quindi di aver bisogno dell’aiuto di Dio: preghiera e vita di fede e di Chiesa. Sono convinto che la prima condizione per realizzarsi in missione è di avere una grande fede e fiducia nella Provvidenza.
In conseguenza, il laico deve dare una testimonianza di tutta la vita. Non solo lavoro professionale, ma la vita. Il loro impegno non è solo il lavoro, ma condividere l’ideale dei missionari, specie se andate in una struttura collegata con la missione.
4) Andare in missione con grande umiltà. Avere la coscienza che vado in un ambiente nuovo, non facile, culturalmente molto distante dal mio.
Ai missionari si dice: i primi sei mesi non criticare nulla, ascolta e fai domande e cerca di capire i motivi di certe cose che non capisci o ti sembrano sbagliate.
Umiltà di inserimento in un ambiente nuovo e molto diverso dall’Italia.
C’è il problema di andare d’accordo con i missionari alla cui missione si è collegati o si è ospiti in casa loro.
La missione è una scuola di vita che matura la persona con la sofferenza, la rinunzia, il sacrificio. Capacità di inserirsi nelle situazioni locali, clima, cibo, culture, ritmi di vita; soprattutto acquistarsi la simpatia e la fiducia di chi è già sul posto, come qualsiasi missionario giovane.
Oggi un missionario, prete o laico non importa, che viene dall’Italia e va in una missione in cui i padri sono fra i cinquanta e i settanta (o anche più anziani) deve avere rispetto e umiltà nel fare passi graduali in quella missione: interrogare, ascoltare, conquistarsi la fiducia e l’amicizia…..
6) Che lavoro va a fare il laico missionario in una missione? Stiamo ancora cercando la figura del laico oggi, come potrebbe essere, che lavoro svolgere nelle missioni. Non è facile trovarlo. Anche per i laici consacrati membri del Pime (fratelli) non è facile trovare progetti adatti e che i locali non possono realizzare.
Questo in parte vale anche per i preti missionari. In molte parti non hanno più bisogno di preti starnieri che fanno il parroco: bisogna trovare altri compiti di formazione, di primo annunzio, di dialogo, di promozione umana che vanno bene per gli stranieri.
Ai laici noi chiediamo di essere competenti nel loro settore e di avere ben chiaro che il loro non è un impegno solo professionale, con tot ore di lavoro, ma che deve coinvolgere tutta la loro vita: e qui c’è la condivisone dei valori, della fede, e poi aprirsi alle nuove prospettive che nascono sul posto dall’esperienza della Chiesa. Flessibilità nel proprio impegno a seconda delle necessità locali.
A volte i laici per il missionario sono un problema, non una risorsa. Fanno un conto anche economico e quindi i laici a volte non convengono più perchè i locali possono fare benissimo certi lavori. Se io dovessi vedere quante nostre missioni chiedono un laico sono pochissime. Chiedono per qualche intervento specifico: medico, fisioterapista… ma non il laico generico. Anche i fratelli di una volta non ci sono più. Per l’Alp abbiamo ricevuto al massimo tre domande di laici dai missionari.
Marcello Candia dirigeva in Brasile (e finanziava) un ospedale molto grande, ma era un manager preparatissimo.
5) Oggi i laici non vanno come generici aiutanti, ma per progetti ben precisi. Io penso che la missione del futuro o in paesi nuovi e chiusi sia soprattutto la missione del laico. Tre esempi:
Ci sono paesi e ambiti in cui la fede può arrivare solo con dei laici: esempio i paesi islamici o comunisti. Esempio delle 10.000 infermiere filippine negli ospedali della Libia.
A Pechino vive da trent’anni il dott. Lino Giudice, ex-seminarista del Pime italiano, che mentre studiava in America ha voluto andare in Cina per studiare il cinese. E’ andato col permesso dei superiori, aiutato dal Pime. Erano gli anni settanta quando non era facile andare in Cina. Poi ci è rimasto, è uscito dal seminario, si è sposato e ha due figlie, ma hamantenuto uno stretto contatto con Pime. A Pechino svolge un lavoro di aiuto alle ditte italiane e americane che commerciano con la Cina, ha imparato bene il cinese e guadagna bene ma svolge anche un compito di aiuto e contatto con le diocesi cinesi e con i nostri missionari di Hong Kong.
Le tre presenze che il Pime ha in Cina (Mella, Cagnin e Marazzi) svolgono lavoro da laici, non da preti. Ma anche in India: il lavoro che fa padre Carlo Torriani potrebbe farlo anche un laico.
In Guinea Bissau il lavoro di padre Ermanno Battisti nell’ospedale pediatrico potrebbe farlo un laico.
Nel Nord Camerun c’è una struttura costruita dal padre Danilo Fenaroli a Mouda che accoglie poveri, handicappati e altri ultimi, dove il lavoro potrebbe benissimo farlo un laico. Ma ci vuole una persona preparata, spiritualmente animata, capace di organizzare e dirigere.
In Amazzonia, a Parintins, ho visto le tre volontarie mandate dal Pime (dall’Alp) che avevano preso in mano le cooperative agricole fra gli indios fondate da padre Augusto Gianola, alcuni anni dopo che morì nel 1990.
Erano contente, poi a Parintins, con altri laici e adesso con un fratello del Pime, hanno preso in mano ìl Centro di salute intitolato a padre Vittorio Giurin fondato da fratel Francesco Galliani, prima per la cura dei lebbrosi, poi per il ricupero dei malati di Aids.
Padre Gheddo ai giovani ALP (Laici del Pime) (2007)
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