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Dopo “Terzomondismo e stalinismo” (vedi M.M gennaio 2005), c’è un altro tema molto attuale, le cui radici sono illuminate dal volume di Victor Zaslavsky, “Lo stalinismo e la sinistra italiana – Dal mito dell’Urss alla fine del comunismo, 1945-1991” (Mondadori 2004, pagg. 275). Zaslavky è nato ed ha studiato in Urss, oggi insegna all’Università Luiss a Roma. Da storico, s’interessa in particolare dell’influsso che lo stalinismo ha avuto e ancora ha in Italia, lasciando una “forte impronta sulla cultura politica in generale e in particolare su quella della sinistra italiana” (pagg. 245-246).
Ecco le radici di un certo “pacifismo” non condivisibile. Lo spirito di pace, come rifiuto di tutte le guerre, mi pare che sia un’aspirazione di tutti i popoli e degli uomini di buon senso. Siamo tutti d’accordo! Ma Zaslavsky documenta come Stalin, fin dall’immediato dopoguerra (dal 1945 in avanti), praticamente fondò il “pacifismo”, che già esisteva ma era un movimento di élites molto limitato: in Italia (e in Occidente), attraverso l’azione del PCI e dei partiti, associazioni e intellettuali ad esso collegati, diventò un movimento di massa. “Storicamente, scrive Zaslavsky, la reazione del movimento pacifista, organizzato come movimento dei partigiani della pace, fu il capolavoro della politica estera e della propaganda stalinista” (pag, 9).
Per Stalin, la “lotta per la pace” era un prodotto da esportare, naturalmente contrapponendo le “guerre giuste” (quelle dell’Urss e dei suoi alleati) alle “guerre ingiuste” intraprese nel campo occidentale. Nel maggio 1950, Togliatti diceva ai membri della direzione nazionale del PCI che “la campagna di mobilitazione per la pace non è solo pacifista e umanitaria, ma anti-imperialista e anti-americana” (pag. 10). Molti di noi ricordano le “campagne per la pace” contro la NATO, contro la guerra di Corea, voluta dall’ONU per contrastare l’attacco del Nord contro il Sud Corea; mentre non c’è notizia di proteste pacifiste per l’occupazione cinese del Tibet, la partecipazione cinese alla guerra di Corea e l’occupazione militare dell’Europa orientale da parte delle truppe sovietiche; alla repressione violenta dei carri armati sovietici contro i movimenti popolari nel 1953 in Germania orientale e nel 1956 in Ungheria, i pacifisti non protestarono.
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Il movimento pacifista, anche dopo il crollo del comunismo e del “sistema sovietico”, continua nella stessa linea di prima senza porsi nessuna verifica storica: nel 1978 Berlinguer diceva che l’Italia era stata salvata dal cadere al di là della cortina di ferro grazie alla presenza della NATO (contro cui i pacifisti si scatenarono); e Manolis Glezos, uno dei leaders storici del Partito comunista greco negli anni quaranta e simbolo dell’insurrezione comunista in Grecia (sostenuta dai pacifisti italiani e occidentali), nel 1991 disse con un sospiro di sollievo: “Meno male che allora non abbiamo vinto! (pag. 241). D’altra parte, c’è una differenza abissale fra Corea del Sud (salvata dall’ONU e dagli americani) e la Corea del Nord (rimasta nel campo comunista): la prima è una potenza economica a livello mondiale e accoglie profughi dai paesi poveri del sud-est asiatico; la seconda è alla fame cronica e la gente scappa appena può da un paese ridotto ad un gulag! Ma il movimento pacifista non fa nessuna verifica storica delle posizioni prese nell’ultimo mezzo secolo!
Stalin usò le campagne per la pace come strumento di lotta contro gli Stati Uniti e l’Europa occidentale e Zaslavsky affema: “Il collegamento congenito tra il movimento pacifista e l’antiamericanismo sono sopravvissuti al sistema sovietico e rappresentano tuttora una caratteristica essenziale dell’antiamericanismo nel nuovo millennio” (pag. 11). Sono cose note, ma spesso dimenticate. Paolo Mieli pone ai pacifisti questa domanda: “C’è da qualche parte del mondo un conflitto che, pur non coinvolgendo americani o israeliani, sia in grado di attirare la vostra durevole attenzione?” (“Corriere della Sera”, 22 aprile 2003).
Scrive Zaslavsky nel 2004 (pag. 8 del libro): “I conti con lo stalinismo non sono ancora stati fatti e l’eredità totalitaria continua a pesare sulla società italiana… La recente ondata di pacifismo, lievitato sull’antiamericanismo, fornisce un esempio della permanenza, spesso inconsapevole, dell’eredità stalinista nella società italiana”. Domanda: come possono associazioni e gruppi cattolici, riviste ed editrici ecclesiali, scrittori-giornalisti-intellettuali credenti, militare nel movimento pacifista che ha queste radici e continua imperterrito in una linea politico-culturale ampiamente condannata dalla storia e dai popoli? Quando il movimento pacifista anche cattolico farà i conti con il suo passato?
Piero Gheddo
febbraio 2005
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