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Monsignor Ambrogio De Battista, vescovo di Vijayawada (1905-1971), è stato forse il più grande realizzatore di opere sociali del Pime in India: scuole e officine-scuola, ospedali, lebbrosari, case per i poveri, cooperative agricole, difesa dei paria di fronte alle prepotenze della gente di casta… È morto con un rimpianto: avrebbe voluto costruire una cappella nella città di cui era vescovo per l’adorazione eucaristica; una cappella sulla strada, aperta giorno e notte, con il santissimo Sacramento sempre esposto e almeno qualcuno in preghiera. Preti e suore della città dovevano impegnarsi ad assicurare una presenza continua. Così, chiunque passava per la strada poteva entrare o anche solo vedere che i cristiani pregano, adorano il loro Dio. Un’idea che non è riuscito a realizzare per motivi tecnici e permessi da ottenere.
Me lo dice suor Franca Nava (missionaria dell’Immacolata in Bangladesh e India e mia segretaria dal 1974), che l’ha assistito come infermiera negli ultimi tempi della sua vita, quando diceva spesso: “Siamo venuti in India per testimoniare la fede in Gesù Cristo, unico salvatore di tutti gli uomini. Non possiamo dare l’idea che la Chiesa sia solo un’agenzia di impegno educativo-sociale”. A chi gli rispondeva che le opere erano tutte a vantaggio dei più poveri rispondeva: “Non mi pento; vorrei anzi averne fatte di più. Ma forse abbiamo trascurato la preghiera e l’annunzio della fede“.
Ho conosciuto bene un grande gesuita del nostro tempo, padre Gino Rulla, eravamo amici da giovani nel nostro paese di Tronzano (Vercelli). Ha lavorato a Torino una decina d’anni come medico e chirurgo, poi si è fatto gesuita, è andato negli Stati Uniti dove s’è laureato in teologia, psicologia e psichiatria. Ha fondato una scuola di psicologia cristiana all’Università Gregoriana, ancor oggi fiorente (è morto nel 2002 a ottant’anni).
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Mi diceva: “Vedi, la psicologia moderna dipende da una visione atea dell’uomo, che non tiene conto del fatto che egli è stato creato da Dio e quindi è costituzionalmente formato in modo che si realizza pienamente solo quando ritorna a Dio. Se perde l’orientamento psicologico e operativo di ritornare a Dio, la sua vita non può essere serena, equilibrata, piena di gioia; diventa inevitabilmente meno uomo. Molti psicologi moderni pretendono di risolvere i problemi dell’uomo ignorandone la vocazione soprannaturale. Errore colossale, che è alla base del fatto che la psicologia moderna causa disastri. Non si può ridurre l’uomo ad un animale razionale“. Questa la sintesi dei tre volumi Antropologia della vocazione cristiana, che Gino Rulla pubblicò presso Piemme negli anni Ottanta.
Temo che lo stesso si verifichi in altri campi del vivere umano. La Chiesa ha sempre praticato le opere di misericordia e di giustizia, ma a partire da una visione cristiana dell’uomo; che deve essere aiutato a diventare più uomo in tutti i settori della sua esistenza: nutrizione, abitazione, istruzione, sanità, lavoro, libertà, giustizia, rispetto dei suoi diritti. Ma anche conoscenza e adorazione di Dio, obbedienza alla sua legge, imitazione del modello che Dio ha dato all’uomo: Gesù Cristo, unico salvatore.
La Chiesa annunzia il primato del soprannaturale sul naturale, dello spirituale sul materiale, della legge di Dio sulle leggi dell’uomo. Oggi anche noi credenti diamo spesso l’impressione di ridurre i “problemi sociali” al campo economico, politico, tecnico, giuridico. Noi preti parliamo sempre meno di peccato e di grazia di Dio, di vita eterna, di santità e di preghiera.
Madre Teresa, che conosceva bene il mondo pagano, diceva: “La più grande disgrazia dell’India è di non conoscere Gesù Cristo”. E ancora: “I popoli hanno fame di pane e di giustizia, ma soprattutto fame e sete del vero Dio”. Non si può dire che non fosse dedicata ai più miseri, anzi credo che sia stata, nel nostro tempo, l’icona più rappresentativa dell’impegno cristiano verso i poveri. Don Primo Mazzolari, l’indimenticabile “tromba d’argento dello Spirito Santo nella pianura padana”, come diceva Giovanni XXIII, ha scritto: “Se io non porto Cristo agli uomini sono un prete fallito. Posso fare molte cose buone nella vita, ma l’unica veramente indispensabile nella mia missione di prete è questa, comunicare il salvatore agli uomini, che hanno fame e sete di Lui“. Sarebbe facile applicare quanto ho detto all’animazione missionaria in Italia, a riviste e libri “missionari”, convegni, conferenze culturali, campagne di opinione pubblica e via dicendo. Ma le conclusioni le lascio ai lettori.
Piero Gheddo
marzo 2004
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