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In una rivistina degli UAAR (Unione Atei Agnostici Razionalisti, esistono anche loro) trovo questa definizione: “L’apologetica è quel ramo della teologia nel quale i cattolici vogliono dimostrare che il papa e la chiesa hanno sempre ragione”. Non è proprio così, come sappiamo. L’Apologetica, antica quanto il cristianesimo, è quel ramo della teologia che si occupa di difendere le verità fondamentali della fede cristiana, confutando le critiche e le negazioni di avversari ed eretici (“apologhetikòs” in greco significa difensivo). E’ tornata d’attualità per due motivi: appunto per confutare quanto scrivono gli avversari del cristianesimo sulle verità di fede; ma penso soprattutto per un altro motivo, per spiegare in modo chiaro quanto noi cattolici crediamo per fede e rileggere la storia della Chiesa, specie nei suoi aspetti più contestati, in modo onesto, consono alla realtà dei fatti.

Quando nel 1999 è iniziato il mensile “Il Timone – Rivista di informazione e formazione apologetica”, invitato dall’amico Gianpaolo Barra sono stato uno dei primi collaboratori, ma quell’”apologetica” mi pareva una forzatura dell’intenzione di difendere la fede, che tendeva verso lo spirito aggressivo. Poi ne ho capito meglio il significato. In un paese cristianizzato ma dalla fede labile e stanca come l’Italia, credo sia giusto compiere un’operazione di “prima evangelizzazione”., nel senso che nel nostro popolo l’informazione religiosa di base è estremamente superficiale e il cristianesimo va ripresentato in modo semplice, facile, direi quasi giornalistico. Ricordo un’inchiesta del settimanale “Epoca” nei primi anni ottanta su cosa sapevano gli italiani del cattolicesimo. Fra le domande (per ciascuna dare tre risposte) c’era anche questa: “Che cosa pensa che sia la cosa più importante della religione cattolica?”. La grande maggioranza (più del 50%) dicevano: la Messa alla domenica, a cui seguiva il 35% che rispondevano: sposarsi in chiesa!

A questo livello bisognerebbe tornare al Catechismo di Pio X, ma avrebbe scarso successo, specie fra i giovani. E allora, una rivista appunto di formazione apologetica ha più possibilità di incidere. Allo stesso modo apprezzo “Radio Maria”, alla quale collaboro in diretta il terzo lunedì di ogni mese dalle 21 alle 22,30, con la rubrica “La missione continua”, che mi permette di esporre in modo adeguato e con chiarezza i vari aspetti della missione alle genti. Mi pare importante, anche perché in Italia la missione fra i non cristiani è quasi scomparsa dalla pubblicistica nazionale anche cattolica. I buoni riscontri dagli ascoltatori che ricevo per telefono, posta elettronica, inviti per conferenze, mi dimostrano che il tema è ancora sentito dai credenti in Cristo, ma purtroppo è oscurato dalle emergenze pastorali di cui soffre la Chiesa italiana. D’altra parte, bisogna sempre ricordare che la Chiesa deve andare a tutto il mondo, annunziare il Vangelo a tutte le creature. Se manca questo obiettivo, non è più la Chiesa fondata da Cristo!

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Ma il problema è molto più vasto della “missione alle genti” e interessa da vicino la Chiesa che è in Italia. In decine e decine di visite alle giovani Chiese è maturata in me questa convinzione, che proprio là dove ancor oggi nasce la Chiesa, pur tra mille contraddizioni e peccati e limiti, ci sono indicazioni e modelli per le nostre Chiese antiche che possono ricondursi all’antica Apologetica. Quattro punti sintetizzati al massimo:

a) Anzitutto l’essenzialità del messaggio.Quando diciamo che nelle Chiese di missione c’è il “primo annunzio”, non vuol sempre dire che cronologicamente è la prima volta che Cristo viene annunziato, ma anche che si proclamano le verità fondamentali della fede, i contenuti essenziali del Vangelo per passare dal paganesimo al cristianesimo. La nostra gente italiana ha bisogno di tornare allo “zoccolo duro” della fede, che non sa più qual è. Bisogna tornare al “primo annunzio” perchè anche in Italia siamo quasi in “una situazione missionaria di prima evangelizzazione”. Lasciare la ricerca e il dibattito teologico agli specialisti e ripetere instancabilmente come Pietro: “Convertitevi e credete al Vangelo”. Dopo duemila anni, ci siamo illusi di avere una cristianità radicata, di vivere in un paese sostanziamente cristiano. Può essere vero per quanto riguarda la cultura italiana profondamente influenzata dal Vangelo, ma è un’illusione per quanto riguarda la fede, perché il Vangelo deve essere raccontato e spiegato, e poi vissuto, da capo per ogni uomo che nasce, come per ogni pagano che riceve il battesimo. Il bambino nasce pagano e l’acqua del battesimo non lo cambia: deve fare il suo cammino di crescita umana e cristiana.

Il messaggio è la fede e la conversione a Cristo. Bisogna che ciascuno si converta nel cuore. Temo che nelle nostre Chiese antiche, con tutte le problematiche dei tempi moderni che creano alibi, confusione di voci e disorientamento delle intelligenze, abbiamo dimenticato il “primo annunzio”, che è essenzialmente la fede in Gesù Cristo e la conversione al suo modello di vita. Il cristianesimo è diventato per molti una melassa di pareri, opinioni, dibattiti, ipotesi, decreti, precetti, tradizioni. Si discute su tutto e su tutti, ciascuno esprime il suo parere, ma il passaggio dal paganesimo al cristianesimo sfugge, credo, alla maggioranza dei nostri battezzati.

Non è facile esemplificare, concretizzare pastoralmente quanto sto dicendo. Ma nella Chiesa che stava nascendo nei tempi apostolici, e nelle giovani Chiese che nascono ancor oggi, lo Spirito agisce allo stesso modo e con la stessa forza. Non è mai andato in pensione, non dorme mai, non va mai in vacanza.

b) L‘annunzio del Vangelo deve suscitare emozioni, toccare il cuore della gente. Nessuno viene a Cristo sulla base di ragionamenti e dimostrazioni. In Giappone i vescovi dicono di usare “la pastorale del cuore”. I giapponesi (ma questo vale un po’ per tutti gli orientali), non si interessano di ragionamenti astratti o di giochi intellettuali, ma si commuovono e si convertono quando sentono che nei cristiani c’è una vita, una fede. Padre Nazareno Rocchi (1919-1999) mi raccontava che era venuto da lui un giovane professore universitario perchè gli spiegasse meglio il Vangelo (libro fra i più venduti in Giappone!). Andava da lui una volta la settimana facendo obiezioni e chiedendo spiegazioni su quel che leggeva. Dopo qualche mese dice di aver capito, ringrazia, saluta e se ne va. Il padre pensava che chiedesse di entrare nel catecumenato e invece niente! Ma cinque o sei mesi dopo ritorna e gli dice: “Ho deciso, mi faccio cristiano!”. Nazareno chiede perché si è deciso e l’altro risponde: “Tu hai una piccola cappella sulla strada. Mi avevi detto che tutte le mattine alle sei celebri la S. Messa. E’ l’ora in cui vado a prendere il treno che mi porta a Tokyo per il mio lavoro. Spesso mi fermavo a guardare dentro la chiesetta dalle due piccole finestre sulla pubblica via. Tu celebravi Messa con tre-quattro cristiani o anche con nessuno che ti seguisse, con tanta costanza e devozione, che ho pensato: lui ci crede davvero, vuol dire che ne vale la pena. Allora ci credo anch’io e la mia famiglia”. E il padre aggiungeva commosso: ”Ho poi battezzato lui, sua moglie e le tre figlie, sono ancor oggi uno dei principali sostegni nella mia parrocchia con pochi cristiani”.

Non basta spiegare e trasmettere la dottrina, bisogna commuovere la gente come fece Papa Giovanni XXIII alla finestra del suo studio in Piazza San Pietro, col famoso discorso quando in una notte di luna piena disse: “Andate a casa e date una carezza ai vostri bambini e dite loro che è la carezza del Papa”. Ancor oggi c’è chi ricorda quella notte e si commuove. L’annunzio di Cristo è trasmissione di dottrina, di dogmi, ma anche comunicazione di una “vita nuova”, stimolo alla conversione. Nessuno si mette su un cammino di conversione per una nuova teoria teologica o per un dibattito culturale o per una forbita esegesi della Parola di Dio, ma perchè si commuove e s’innamora di Gesù.

c) Le giovani Chiese, proprio perchè giovani, ci insegnano l’agilità, l’assenza di formalismo, la capacità di inventare nuove forme di annunzio. Il pericolo delle nostre parrocchie e diocesi si chiama “arteriosclerosi pastorale”, cioè la ripetitività degli atti di culto, la burocratizzazione dei servizi religiosi, il “circolo chiuso” dei praticanti. L’evangelizzazione deve essere novità, varietà, invenzione, molteplicità di appelli e di stimoli, di occasioni per conoscere e avvicinare Gesù Cristo. E’ l’insegnamento della “fantasia pastorale”, di cui noi abbiamo estremo bisogno. Annunziare il Vangelo è un’arte, l’arte di comunicare la “Buona Notizia”, sempre uguale a se stessa ma anche sempre nuova. A volte visitando le giovani Chiese, le trovo, anche in uno stesso paese, diverse una dall’altra, pur essendo molto unite nella fede in Cristo, nell’amore alla Chiesa, al Papa, nell’obbedienza ai rispettivi vescovi.

d) La Chiesa che nasce è missionaria. Nel 1986 ho visitato la Chiesa di Corea, che è fondata sull’impegno dei laici e sull’integrazione di parrocchie e movimenti. Non è concepibile che un laico battezzato sia passivo nella Chiesa. Prima di dare il battesimo ai laici adulti che si convertono, nei due-tre anni di catecumenato il catecumeno deve già entrare a far parte di un gruppo parrocchiale, di un “movimento” e promettere di continuare in quell’impegno.

Anche in America Latina e in Africa si sono fatti grandi passi in questa direzione. E’ tutti in Africa ricordano l’appello di Paolo VI a Kampala, in Uganda (1969): “Africani! Siate missionari di voi stessi!). Giovanni Paolo II non ha per insistere su questo concetto, specialmente nella “Redemptoris Missio”: “Ogni Chiesa, anche quella formata da neoconvertiti, è per sua natura missionaria” (n. 49); “Mi rivolgo ai battezzati delle giovani comunità e delle giovani Chiese. Siete voi, oggi, la speranza di questa nostra Chiesa, che ha duemila anni…. E sarete anche fermento di spirito missionari per le Chiese più antiche” (n. 91). Lo spirito missionario è il fattore essenziale per la rievangelizzazione del nostro popolo. Bisogna fare discorsi di apertura e di irradiazione della verità e della fede cristiana, non di lamento e di difesa del “piccolo gregge” che ancora rimane!

Padre Gheddo su Sacerdos (2008)

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