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Di personaggi come padre Gheddo se ne ho visto qualcuno non me lo ricordo. Anzi, a dirla tutta, mi pare di non averne mai incontrati. Gheddo, provo a descriverlo, è una specie di inviato speciale. Lo incontri nei luoghi dove Cristo non ha solo gli anni della Chiesa, ma anche quelli della sua vita pubblica, uomo tra gli uomini, cioè dove è ancora in viaggio con la sua tunica, la sua parola, i suoi seguaci, i suoi miracoli, ma anche con chi lo dileggia, lo scredita, lo insidia, lo uccide. Gheddo è lì, a prendere nota di quel perenne Gesù rimasto sulla Terra a farsi largo con una «promessa» che entra nella foresta non col machete, bensì cercando tutti: i cuori puri e le braccia aperte, ma anche quelle ostili e chiuse, se non addirittura pronte a rimetterlo in croce. Gheddo, insomma, è sempre sul fronte dove Cristo continua a giocarsi la vita per una parola misteriosa, che minaccia tutti i totem del mondo: è la Parola di Dio.
Questo prete sorridente e risoluto è instancabile nel testimoniare, in ogni «foresta del mondo», il Gesù che rivive in coloro cui ha detto di andare, nel suo nome, a rinnovare tutte le cose; egli lo fa in qualunque terra di missione, nel nome di colui che è morto per tutti ma più di ogni altro per gli ultimi: gli attardati perché deboli e derelitti, perché ciechi e sordi di fronte alla parola che annunzia non solo la loro liberazione in questa vita, ma il loro primato nell’altra.
Gheddo è tra chi vede con i propri occhi ciò che dai missionari forse non sapremmo mai, o mai abbastanza. Dai suoi viaggi di testimone e al tempo stesso di animatore, di protagonista, ricaviamo una vera e propria storia del più arcano e tuttavia naturale degli eventi, cioè l’ininterrotto trascorrere di Gesù per le vie del mondo: non per convertire a colpi di croce, con l’arma estrema del suo martirio, non per sgominare ogni altra fede con la sua totalità, ma per assumere ogni speranza nella Speranza, in nome di quell’«unum sit» che fa degli uomini l’uomo, degli dei e degli idoli Dio.
Ho rivisto Gheddo, instancabile e sereno nel raccontare le missioni, il giorno in cui presentavamo insieme un libro coraggioso e bellissimo di quello straordinario cardinale che è Joseph Tomko, nella cui giurisdizione, per così dire, operano i missionari di ogni parte del mondo. L’evangelizzazione missionaria, mi dicevo, è davvero la nuova Pentecoste: e in essa viene coinvolto – per primo, con la propria parte di ravvedimento – proprio l’Occidente così a lungo privilegiato dalla Chiesa; un’evangelizzazione, cioè, che parta dai «saperi» e dai «poteri», i primi perché tengono chi non sa nell’ignoranza, i secondi perché lasciano i poveri nella povertà.
Grazie, padre Gheddo, per quello che fai e documenti. Non c’è fede in una verità rivelata cui la storia non aggiunga qualcosa. La profezia, certo, resta intatta e sovrana, ma il credente in Cristo lo è anche perché sa che qui, sui nostri passi, Lui c’è già stato e a suo modo ritorna. Il comunicare la tua esperienza agli increduli e agli indifferenti è un segno di speranza, il tuo giornalismo missionario è una ricchezza data a tutti.
Ascoltandoti e leggendoti vie n fatto di chiedersi se noi, così al sicuro, siamo certi di amare gli altri come noi stessi, e lealmente dovremmo risponderei che, non di rado, questa certezza ci manca. In realtà, chi può dirsi capace di amare Cristo al punto da sopportarne l’imitazione? Una risposta inattesa e stupefacente, caro padre Gheddo, sta proprio nei tuoi viaggi, nelle tue scoperte, nelle tue analisi, e sono i martiri. Mille, sono negli ultimi sessant’ anni. Quelle croci, come tanti cippi dell’umanità che si divide e rinnega – ad onta di tutte le globalizzazioni che vorrebbero dimostrarci il contrario -, dicono che il tempo dello Spirito confuso con il sangue non è finito. Facendoci conoscere quei martiri, caro Gheddo, tu fortifichi in noi la volontà di combattere la «buona battaglia», quella di testimoniare, in un mondo sempre più arido ed egoista, che lo Spirito dovrà dominare sul sangue. È la premessa, e insieme la promessa, di tutto il nostro viaggio, per adesso e per dopo.
Ma voglio ringraziarti, soprattutto, per questo volume in cui hai raccolto le lettere di padre Augusto Gianola, straordinario e attualissimo testimone di una battaglia (Dio viene sul fiume) e queste sue lettere, ho pensato: allora, se esistono ancora oggi, sconosciuti ma reali, questi seguaci di Cristo, vuol dire che Egli è ancora qui a cambiare il mondo, l’umanità. Non possiamo essere pessimisti: i missionari sono un segno di speranza per tutti.
In padre Augusto Gianola, eremita delle foreste amazzoniche, la fede non è mai un sentimento staccato dalla vita, anzi è la radice di una umanità autentica.
Esprimo un augurio: che la stampa missionaria non si perda in temi secondari, o marginali, ma sia capace di trasmettere, come Gheddo fa anche in questo volume, lo stupore gioioso per quelli che, come padre Augusto, a otto anni dalla morte, sembrano ancora così vivi da toccarci il cuore; e sia capace altresì di aprirei gli occhi su ciò che la missione – se non fosse per loro, per i Gheddo e i Gianola – ci terrebbe nascosto.

di Sergio Zavoli
prefazione al libro di Padre Gheddo
In missione per cercare Dio. Lettere dal Brasile

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