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“Lo sviluppo dell’uomo viene da Dio”
Anche il mondo cattolico è stato influenzato da questa “lettura materialista”, non errata ma incompleta: il motore della storia non sono l’economia o la tecnica, ma le idee, le motivazioni profonde anche religiose che guidano i popoli nel loro cammino storico. I Papi hanno sempre affermato che “lo sviluppo dell’uomo viene da Dio, dal modello di Gesù uomo-Dio e deve portare a Dio” ([1]). Ma negli studi e nella pubblicistica anche cattolica (eppure i missionari sperimentano proprio quanto dicono i Papi) queste indicazioni sono in genere ignorate: quando si parla di “sottosviluppo”, si tratta quasi solo di finanze, scambi commerciali, tecnologie, debito estero, ecc.
Si ignorano o si mettono tra parentesi (come ininfluenti) i valori culturali e religiosi, l’educazione, le mentalità, i costumi. La gravità della spaccatura fra Nord e Sud dell’umanità sta nel fatto che non è solo fra chi ha molto e chi ha poco. Se davvero fosse così, basterebbe trasferire in modo massiccio finanze e tecnologie (il che è stato fatto almeno in alcuni casi, e parlo soprattutto dell’Africa nera e dei “paesi del petrolio”, con risultati deludenti). Si tratta invece di un abisso culturale e religioso fra popoli che appartengono a mondi diversi, vivono in epoche storiche diverse, sono separati da cultura, religione, mentalità, lingua, costumi, strutture sociali (famiglia monogamica o poligamica), visione dell’uomo (e della donna), della storia, della natura, dello stato.
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La ricchezza non è una torta già fatta da distribuire equamente, ma una torta da produrre. Se non si produce, si rimane poveri. Noi del Nord, ormai, produciamo troppo di tutto: troppo cibo, troppi oggetti di uso comune, troppe informazioni e divertimenti, ecc. Il Sud produce troppo poco. Se vogliamo capire perchè il mondo si divide in Nord sviluppato e Sud sottosviluppato (debbo semplificare il discorso), bisogna risalire alle cause storico-culturali-religiose. L’interrogativo fondamentale a cui dare una risposta è questo: perchè l’Occidente ha innescato il cammino verso il mondo moderno, inventando lo sviluppo in tutte le forme che conosciamo, che poi ha esportato nel resto del mondo?
Il biologo americano Jared Diamond ha vissuto a lungo in Papua Nuova Guinea e da trent’anni studia come rispondere a questa domanda, che i suoi amici papua gli rivolgevano spesso. Il suo volume ([2]) è interessante: ricostruisce la storia dell’umanità dalla preistoria all’inizio della colonizzazione europea. Per capire le diversità tra i popoli, egli afferma, non serve esaminare il periodo coloniale, perchè allora era già evidente il livello superiore di sviluppo dell’Occidente; occorre invece andare indietro nel tempo, alle radici preistoriche dei popoli.
Per Diamond le cause sono geografiche e climatiche, mentre vanno decisamente scartate le cause razziali, cioè la superiorità genetica di una razza umana sulle altre. Nell’evoluzione storica, i popoli euro-asiatici sono stati privilegiati rispetto ad altri dalla presenza di “grandi spazi” che hanno favorito l’agricoltura e di animali di grossa taglia facilmente addomesticabili (i bovini e i cavalli). Tre i momenti di crescita dei gruppi umani, alcuni dei quali giunti prima degli altri al “mondo moderno”:
a) il passaggio dal nomadismo e dalla caccia-pesca all’agricoltura stanziale;
b) la domesticazione di piante e di animali, che liberò alcuni popoli dai lavori più pesanti e permise di vivere non più solo per la sussistenza, ma di impegnarsi in attività utili alla comunità;
c) l’invenzione della scrittura e delle tecnologie che hanno permesso il più rapido cammino di alcuni popoli rispetto agli altri. La colonizzazione europea è dovuta ad alcuni fattori ricordati nel titolo del libro: armi (più efficaci), acciaio (utensili per aumentare la produttività di beni), malattie (infettive che hanno sterminato i nativi nelle Americhe).
Diamond si rende conto che queste spiegazioni non chiariscono perchè, a parità di condizioni geografiche e climatiche, gli europei hanno reagito meglio degli asiatici (infatti i primi hanno colonizzato i secondi e non viceversa); ammette che “le cause remote della disparità restano incerte… (questo) è un vero e proprio vuoto intellettuale, perchè significa che non siamo in grado di comprendere il corso più generale della storia… Le differenze sono sotto gli occhi di tutti; ci viene spiegato che la giustificazione di queste differenze basate sulla razza – che sembra così semplice – è sbagliata, ma non ci viene fornita un’alternativa credibile” (pagg. 12-13).
Diamond esclude dalla sua ricerca – e non si capisce perchè – gli aspetti culturali-religiosi. Al contrario, gli studiosi delle civiltà (Toynbee, Weber, Dawson, ecc.) affermano che la radice dei diversi cammini storici dei popoli non sta essenzialmente nelle cause esterne (clima, situazioni geografiche, disponibilità di materie prime), ma nelle rispettive culture e religioni: cioè nelle spinte interne, nelle motivazioni culturali e religiose al progresso. Infatti distinguono fra “civiltà cicliche” o statiche (l’ideale è il ritorno ad un passato mitico) e “civiltà progressiste” o dinamiche, che guardano al futuro. L’uomo non è fatto solo di materia, ma anche di intelletto, di anima; come scriveva Jacques Maritain, “la cultura di un popolo viene primariamente dall’immagine che quel popolo si fa di Dio” ([3]), da cui derivano il senso della vita e i rapporti con gli altri uomini, con la natura, con la storia. Maritain aggiunge: “Poichè lo sviluppo umano non è solo materiale ma anche e principalmente morale, è logico che l’elemento religioso giochi il ruolo principale”.
Per tornare alla teoria di Diamond, un credente in Cristo può chiedersi: ma allora, se il cammino dei popoli è condizionato solo da fattori geografico-climatici, che senso ha la Parola di Dio e l’Incarnazione del Figlio di Dio? Non è anche per migliorare le condizioni di vita dell’uomo (fatto “ad immagine di Dio”), per creare almeno un inizio del “Regno di Dio” su questa terra? Può un credente in Dio Creatore e Salvatore, pensare che la storia dell’umanità è lasciata al caso? Ecco il tema che si dovrebbe studiare e volgarizzare (da parte di università, centri studi, mass media).
Perchè il Vangelo produce sviluppo?
Il tema è complesso, difficile e risulta nuovo alla maggior parte dei lettori. La domanda se la pongono anche studiosi indiani e giapponesi: perchè il mondo moderno è nato nell’Occidente cristiano e non, ad esempio, nell’Oriente buddhista o indù? Christopher Dawson afferma che “la religione è la chiave della storia”: l’emergere e l’affermarsi della civiltà occidentale non trova altra spiegazione (se non vogliamo cadere nel razzismo) che nella visione messianica e ottimista della storia propria dell’ebraismo e del cristianesimo ([4]). Il concetto che la storia è orientata da Dio verso un fine positivo è uno dei contributi più decisivi che la Bibbia (la “Parola di Dio”) porta ai popoli, al progresso dell’umanità ([5]). Padre Silvano Zoccarato, che lavora fra i Tupurì (nord del Camerun) dal 1971, scrive ([6]): “Il tempo in cui si muove l’africano è più una ripetizione del passato che novità del presente. Il futuro è la fedeltà al suo passato”.
Visitando i missionari, mi capita spesso di sentir raccontare, in termini molto concreti, come e perchè il Vangelo sviluppa l’uomo e i popoli: è la loro esperienza quotidiana, ignorata in Occidente. Il Papa ha scritto nella “Redemptoris Missio” (n. 58): “Oggi i missionari, più che in passato, sono riconosciuti anche come promotori di sviluppo da governi ed esperti internazionali, i quali restano ammirati del fatto che si ottengano notevoli risultati con scarsi mezzi… La Chiesa non ha soluzioni tecniche da offrire al sottosviluppo in quanto tale, ma dà il primo contributo alla soluzione dell’urgente problema del sottosviluppo, quando proclama la verità su Cristo, su se stessa e sull’uomo” ([7]). Ecco in sintesi alcuni punti di riflessione.
1) Anzitutto il missionario entra in un popolo nuovo con l’intenzione di spendervi la vita: si inserisce imparando lingua, cultura, costumi, adattandosi al clima e alle situazioni più difficili; è animato da una motivazione religiosa, che gli permette di entrare in sintonia profonda con quel popolo: non esistono popoli atei e quanto più i popoli sono “primitivi” e “sottosviluppati”, tanto più sono religiosi! Nel febbraio 2003 nell’isola di Sumatra (Indonesia), ho incontrato missionari saveriani italiani che lavorano da quaranta e più anni inseriti in gruppi tribali da poco usciti dalla preistoria, in condizioni quasi impossibili: clima, cibo, isolamento, ecc. Sono mossi dall’amore a quei popoli ai quali sono stati mandati, che neppure conoscevano. E’ chiaro perchè questi missionari creano ponti di comprensione, di scambio, di solidarietà autentica, di educazione vicendevole: cioè producono promozione umana e anche sviluppo economico e sociale!
2) Il Vangelo porta ai popoli il valore assoluto della persona, che fonda la “Carta dei diritti dell’uomo” dell’Onu (1948). Da questo concetto: l’uomo al centro e prima di tutto (della politica, dell’economia, dello stato, della scienza), assente nelle altre culture e religioni, scendono i valori della civiltà occidentale: l’eguaglianza di tutti gli uomini e donne, la democrazia, la giustizia sociale, l’abolizione della tortura e della pena di morte, il diritto alla libertà (di pensiero, religiosa, economica, politica), ecc. L’assoluta dignità della singola persona umana si capisce a partire da Dio Creatore, che ha fatto tutti gli uomini e le donne “a sua immagine e somiglianza”.
3) Il valore del lavoro, che nella civiltà antica (e anche per Marx ed Engels) era concepito come una schiavitù. Ancor oggi nel mondo musulmano tradizionale (naturalmente non nelle città occidentalizzate e nell’economia moderna), l’uomo adulto che ha moglie e figli non lavora. Padre Clemente Vismara (1897-1988), missionario in Birmania per 65 anni, scrive che uno dei compiti più importanti del missionario è di educare “i cristiani ad essere amanti del lavoro, in modo da assicurare loro il sufficiente per vivere. Chi nobilitò il lavoro fu il cristianesimo. Fra i pagani, chi può vivere senza lavorare è un privilegiato, un protetto dagli dei. Gli antichi romani riservavano il lavoro unicamente agli schiavi. Noi cristiani ci vantiamo di avere come fondatore un Uomo-Dio dalle mani incallite nella botteguccia di Nazareth!”.
4) Il valore della materia, cioè l’abolizione del dualismo tra un aspetto nobile e uno ignobile della vita, della natura. La frase forse più rivoluzionaria della Bibbia è quella di San Paolo: “Tutto ciò che è stato creato da Dio è buono e nulla è da scartare” (I Tim. 4, 4). Per cui Romano Guardini ha potuto scrivere che il cristianesimo è “la religione più materialista della storia” ([8]) e unisce utopia e realismo: da un lato il modello divino-umano di Gesù (la tensione verso la santità, l’imitazione di Cristo); dall’altro la coscienza del peccato originale, la tendenza all’egoismo che è in ogni uomo: da qui deriva anche la distinzione fra Chiesa e governo della cosa pubblica, la laicità dello stato sconosciuta nell’islam.
5) Il messianismo biblico di “cieli nuovi e terra nuova” ha innescato nella civiltà occidentale il fenomeno delle continue “rivoluzioni”, che portano avanti l’umanità: altre civiltà, pur nobili e antiche, sono rimaste bloccate per secoli e millenni.
Nella sua “Autobiografia” (1946) Nehru si interroga perchè l’India, con una civiltà di 5000 e più anni, ha dovuto attendere il secolo XIX per ricevere tutto dall’Inghiterra: il concetto di persona, l’uguaglianza di tutti gli uomini, i diritti dell’uomo e della donna, la democrazia, le macchine a vapore, la medicina moderna, le scienze e tecniche per il dominio della natura, la giustizia sociale, ecc. Nehru rispondeva: l’India è rimasta bloccata per migliaia di anni nella struttura sociale delle caste, nella predeterminazione del “karma” e nella ripetitività delle rinascite (metempsicosi), senza nessun cambiamento né miglioramento; al contrario, l’Occidente cristiano, animato da continue rivoluzioni, è giunto a dominare la natura e ad innescare nella storia dell’uomo la spinta verso il progresso.
6) Il Vangelo ha portato l’unica vera rivoluzione positiva per l’uomo, la “conversione” al modello di Gesù Uomo-Dio. Le altre rivoluzioni cambiano l’economia, i sistemi di governo, le leggi, i modi di produzione: ma se l’uomo non cambia nella sua coscienza, non c’è speranza di miglioramento.
“La vera rivoluzione culturale è cambiare il cuore dell’uomo” ha scritto Mao Tze Tung nel suo “Libretto Rosso”, ma pensava di raggiungere questo scopo con le leggi e la violenza di un sistema totalitario. Gesù Cristo è venuto a cambiare l’uomo: con l’aiuto della grazia di Dio, a renderlo da egoista altruista, da chiuso in se stesso ad aperto agli altri, da aggressivo pacifico, da menzognero verace, da pigro buon lavoratore. Questo l’ideale del credente in Cristo (che certo non tutti i cristiani vivono!).
“La povertà africana ha radici culturali”
L’esperienza dei missionari conferma quanto scrive Giovanni Paolo II nella “Redemptoris missio” (n. 58): “Lo sviluppo di un popolo non deriva primariamente né dal denaro, né dagli aiuti materiali, né dalle strutture tecniche, bensì dalla formazione delle coscienze, dalla maturazione delle mentalità e dei costumi. E’ l’uomo il protagonista dello sviluppo, non il denaro o la tecnica”. E aggiunge: “La Chiesa educa le coscienze rivelando ai popoli quel Dio che cercano e non conoscono… Col messaggio evangelico la Chiesa offre una forza liberante e fautrice dello sviluppo, proprio perchè porta alla conversione del cuore e della mentalità, fa riconoscere la dignità di ciascuna persona, dispone alla solidarietà, all’impegno, al servizio dei fratelli…”.
Ecco come un missionario gesuita, padre Gino Manzone (in Madagascar dal 1959), concretizza questi concetti ([9]): “Secondo la mia esperienza, la povertà africana ha essenzialmente radici culturali… La visione del mondo, della natura, dell’uomo, della storia che viene dalla Bibbia è de-sacralizzante. Cioè il mondo e la natura non sono Dio, ma creati da Dio per servire all’uomo, a sua volta creato ad immagine di Dio. L’uomo è il signore dell’universo e deve lavorare per esplorare e sottomettere la natura, in modo da avere una vita più consona alla sua dignità di figlio di Dio. Questa secondo me è una visione ‘progressista’ che supera tutte le visioni ‘sacrali’ della natura proprie del mondo africano, le quali ostacolano il progresso dell’uomo o almeno non ispirano il suo sforzo per migliorare e sottomettere la natura.
“In Africa mancano gli stimoli interni allo sviluppo, manca una preparazione di idee progressiste, per cui l’accelerazione del progresso in tutte le sue espressioni non è possibile. Voler imporre questa accelerazione con metodi brutali, come fanno diversi governi africani, è una violenza fatta all’uomo che produce frutti negativi. Prima bisogna educare l’uomo, cambiare le mentalità. Porto un esempio: prendiamo la tecnica che noi portiamo in Africa, la meccanica e molte altre tecniche, compresi i nostri metodi di produzione agricola o industriale. L’africano impara facilmente, ha un’intelligenza viva e pronta, ma anche quando fa quello che vede fare dall’europeo la sua mentalità è diversa: questo vale per il contadino, il meccanico, il lavoratore dell’industria, come pure per il voto politico secondo schemi democratici europei.
“I risultati – afferma p. Manzone – sono necessariamente diversi: ecco perchè certi progetti di sviluppo dopo un po’ decadono, sono lasciati andare, le macchine si rompono e non si riparano ([10]). Il Madagascar è grande due volte l’Italia. Se fosse coltivato da contadini italiani o francesi, anche con mezzi rudimentali, potrebbe mantenere 100 milioni di abitanti. Invece non mantiene nemmeno dieci milioni di malgasci, perchè la produzione agricola è insufficiente. E questo non certo per colpa del colonialismo o delle multinazionali. Il progresso, in tutte le sue espressioni, è opera dell’uomo e quindi della cultura, della mentalità e delle credenze dell’uomo: non è solo una crescita materiale, economica, ma culturale, spirituale.
“Il cammino dell’Africa verso il progresso sarà ancora lungo. Il vero problema è quello della cultura africana: l’Africa non deve perdere la sua identità, pur assumendo i valori universali dell’Occidente, che vengono dalla Bibbia e dal Vangelo. Non è semplice: da un lato deve rifiutare i modelli di sviluppo capitalista o comunista che l’Occidente vuole imporle, per trovare un suo cammino di progresso, secondo la sua originalità; dall’altro, non è possibile per l’Africa fare a meno dei valori universali di cui l’Occidente è portatore, così come non può fare a meno degli aiuti allo sviluppo, se dati in spirito di fraternità e non per imporre qualsiasi soggezione. Io sono convinto – conclude padre Manzone – che l’evangelizzazione è il massimo contributo che noi possiamo dare all’Africa. Gli africani accolgono il Vangelo non come un qualcosa di estraneo, ma come un completamento della cultura tradizionale, un criterio di giudizio che permette loro di capire quali sono i valori umanizzanti della tradizione africana da conservare e potenziare e quali quelli disumanizzanti da eliminare. Anche la cultura africana infatti ha bisogno di essere giudicata dal Vangelo, ha bisogno di purificazione e di conversione”.
“Chi va con i preti non fa più la guerra”
Ecco l’esperienza della missione di Suzana tra i Felupe, in Guinea-Bissau, dove dal 1952 ad oggi due padri missionari del P.I.M.E. (Pontificio istituto missioni estere), Spartaco Marmugi (1952-1973) e Giuseppe Fumagalli (1968-2003), sono rimasti sul posto (Fumagalli è tuttora parroco). La missione di Suzana è in una regione isolata e in una etnia di religione tradizionale. La situazione che i missionari trovarono a Suzana nel 1952 era “preistorica”: il “mondo moderno” non era ancora arrivato. Padre Fumagalli racconta ([11]) che i Felupe non vengono alla missione per avere aiuti materiali, ma perchè vogliono “conoscere Gesù”:
“Hanno sentito parlare della religione cristiana e vogliono saperne di più. Hanno fame e sete di conoscere ‘il Dio dei cristiani’. Allora combiniamo un incontro con il villaggio. Ci sediamo per terra, sotto un albero, e incomincio col chiedere che mi parlino del loro Dio. Parlano volentieri e mi raccontano cosa pensano di Dio, come lo pregano. Poi chiedono a me cosa penso e io dico: ‘Ho il massimo rispetto delle credenze che vi hanno lasciato i vostri antenati; essi hanno cercato Dio nell’oscurità, come quando si cammina nella notte con la lanterna. Ma io vi porto una novità: Dio ha parlato, Dio si è fatto uomo in Gesù Cristo…’. Questo discorso li interessa profondamente. Racconto la storia di Gesù, figlio di Dio morto e risorto per liberarci dal peccato e dalla morte. Ai non cristiani io non porto altro che la Bibbia e Gesù Cristo”.
Il “primo annunzio” di Cristo ai Felupe ha un forte impatto sociale-culturale-economico, come ho visto nelle due visite fatte a questa missione (1988 e 1997): quando i Felupe si convertono a Cristo e al suo Vangelo, acquistano una mentalità nuova che libera le loro potenzialità umane e li sviluppa. Scrive p. Giuseppe Fumagalli ([12]):
“L’ostacolo maggiore allo sviluppo in Africa è la mentalità conservatrice, per la quale conta solo la tradizione che non deve cambiare in nulla. L’anziano della famiglia e il capo villaggio hanno questo compito: di consegnare ai figli il villaggio così come l’hanno ricevuto dai padri. Ora, la cultura e la tradizione sono elementi positivi se dinamici, ma negativi se statici. La cultura dei Felupe (e più in genere delle tribù africane) è statica per natura sua, perchè, non conoscendo Dio che si è rivelato in Gesù Cristo, non ha sbocchi verso il futuro: è una cultura tradizionalista, non progressista. Manca il concetto stesso di ‘progresso’. Io tocco con mano che il ‘primo annunzio del Vangelo’, la conversione a Cristo e l’inserimento in una comunità cristiana sono fattori di progresso per tutti gli aspetti della vita africana.
Chiedo a padre Fumagalli cosa significa Gesù Cristo per chi si converte ([13]). Risponde: “Chi segue la religione tradizionale è dominato dalla paura. Crede in Dio creatore, ma non lo conosce e lo immagina talmente lontano dall’uomo e inaccessibile, che sua la vita dipende dalle forze della natura e dagli ‘spiriti’ buoni o cattivi. Il cristianesimo libera dalla paura. Il cristiano sa che Dio è Padre che vuole bene all’uomo e perdona. La malattia e la morte non sono “punizioni” di Dio, ma fatti naturali. Quando l’africano entra in questa logica dell’amore, allora si rasserena anche nel dolore, non pensa a ‘difendersi’ dagli spiriti e dal malocchio, ma ad amare il Padre che è nei cieli.
“L’annunzio di Cristo e la conversione a Cristo sono i primi passi per lo sviluppo di una personalità equilibrata e serena, che affronta la vita con ottimismo e speranza nel futuro. Il paganesimo è senza speranza, è rivolto all’indietro verso i tempi mitici degli antenati. In tutta l’Africa si nota questo: i villaggi cristiani progrediscono più in fretta di quelli non cristiani. Non perchè ricevono più aiuti, dato che noi aiutiamo tutti, ma perchè cambiano mentalità: la loro cultura tradizionale, a contatto col Vangelo, evolve in senso positivo (basta pensare a come cambia radicalmente la situazione della donna!). Gesù Cristo è la vera rivoluzione di cui i popoli africani hanno bisogno, perchè rivela loro il vero volto di Dio che è amore, è libertà, è ottimismo, dà senso alla vita, e speranza nel un futuro”.
Oggi in Guinea-Bissau ci sono 1.200-1.300 Felupe battezzati, su un popolo che conta circa 20-25.000 individui. Chiedo a padre Giuseppe Fumagalli quali frutti positivi il cristianesimo ha portato ai suoi Felupe. Mi risponde con un esempio: in passato fra i villaggi di questa tribù c’era un perenne stato di inimicizia e di guerra. Si combattevano con archi, frecce e coltellacci, imboscate nelle campagne, si ammazzavano per nulla. I villaggi erano difesi, si viveva nel terrore di assalti notturni. In un’inchiesta fatta nel 1996 sul tema “Chiesa-famiglia”, la gente ha discusso ed ha dato risposte. Tutti concordano nel dire che uno dei migliori risultati del cristianesimo è questo: ha fatto superare le antiche inimicizie tra i villaggi e le famiglie. Un’anziana dice che quando lei era bambina, i suoi genitori non la portavano nel villaggio vicino, perchè era considerato nemico. “Oggi, dice, i bambini giocano assieme e questo è grazie a Gesù”.
Un uomo ha testimoniato che nel 1979 e 1981 doveva esserci la guerra tra Edgin e Katòn per problemi di terre e proprietà di palmizi. In passato tra questi due grossi villaggi è corso molto sangue. I cristiani ed i catecumeni dei due villaggi nemici si sono intesi e hanno evitato la guerra. La gente lo sa e dice apertamente che sono stati i cristiani a fare la pace. La cappella di Kassolòl è stata costruita sul campo di battaglia tradizionale. Il terreno è stato concesso perchè, hanno detto i capi (non cristiani), “chi va con i preti non fa più la guerra, siamo tutti fratelli”.
Il “terzo mondo” ha bisogno di una “rivoluzione delle idee”
I missionari promotori di sviluppo: gli esempi sono innumerevoli. Ricordo un viaggio in Burkina Faso nel gennaio 1985, durante il tempo della grande siccità che devastava i paesi del Sahel. Nel nord del Burkina la gente scappava da città e campagne, con pozzi e letti di fiumi senz’acqua: emigravano verso il sud del paese dov’erano i campi profughi allestiti dall’Onu e da vari organismi internazionali. Ho visto grandi progetti realizzati anche dal governo italiano, dighe, canali, pozzi, rimboschimento, abbandonati per mancanza di acqua e di manutenzione. Invece, nel predeserto a Nord del paese, tutto era verde, c’erano coltivazioni, canali e laghetti pieni d’acqua. Come mai? Da trent’anni le due fattorie-scuole di Gundì e Nanorò dei Fratelli della Sacra Famiglia di Chieri (Torino) educavano giovani e ragazze a trattenere l’acqua piovana (piove anche nel deserto!), a riparare le pompe dei pozzi, a scavare canali e laghetti, ecc. Inoltre, li avevano uniti in cooperative per l’acquisto di sementi, di macchine, per lo smercio dei loro prodotti…
Il Ministro dell’agricoltura del Burkina, che ho poi intervistato a Ouagadougou, mi diceva: “Padre, se nel nord del nostro paese, invece di due “fattorie-scuola” ne avessimo avute cinquanta o sessanta, non ci sarebbe il flagello della siccità…”. Lo sviluppo viene dall’educazione: ma chi va ad educare i giovani dei popoli poveri? Il mondo ricco manda soldi e macchine, ma non educatori! E i governi locali privilegiano le città, le élites, i militari, trascurando le campagne e la formazione del popolo. La Chiesa e i missionari (con i volontari laici) non possono naturalmente risolvere il problema del sottosviluppo: non è il loro compito. Essi danno al Nord del mondo un modello di approccio e di azione, finalizzando la loro presenza soprattutto all’educazione: la chiave del “progresso” è l’educazione dell’uomo! Purtroppo bisogna dire che missionari e volontari sono ammirati, applauditi, ma non studiati, né imitati.
E’ da poco terminato il “Decennio mondiale per lo sviluppo culturale” (1988-1997), lanciato dall’Unesco allo scopo di orientare studi e dibattiti alla scoperta “della dimensione culturale del progresso: è necessario trovare un legame tra la produzione e la creatività e capire che l’economia affonda le sue radici nella cultura” ([14]). Ma l’iniziativa dell’Unesco ha avuto scarso seguito fra gli studiosi e nell’opinione pubblica: la cultura dominante non consente di andar fuori degli schemi consueti. Chi parla di “radici culturali e religiose del sottosviluppo” (come capita al sottoscritto, [15]), viene accusato di “spiritualismo” ininfluente nelle vicende storiche.
Dobbiamo renderci conto del fatto che i popoli vivono in epoche diverse: noi nel 2003 dopo Cristo, gli africani sono usciti dalla preistoria 100-150 anni fa (non avevano la scrittura). Sono entrati nel mondo moderno con stati democratici, che il popolo non è preparato a gestire; pochi vaccini hanno debellato epidemie e scatenato l’aumento della popolazione, ma la produzione agricola non è aumentata in proporzione: oggi l’Africa nera importa in media il 30% del cibo che consuma. Lo sviluppo di un popolo è opera di educazione, di formazione, di apertura a idee e metodi nuovi. La scuola è il motore dello sviluppo, molto più del denaro, anche per un motivo molto concreto: la trasmissione del sapere tecnico-scientifico non è indolore nelle società e culture tradizionali; causa rifiuto e fenomeni di dissoluzione in quelle società non preparate a riceverlo. Occorre perciò educazione e dialogo culturale-religioso.
A Kipengere sull’altopiano meridionale della Tanzania, il missionario della Consolata Camillo Calliari ha realizzato, con la collaborazione degli Alpini di Trento e di altre città, un “polo di sviluppo” che le autorità propongono a modello, perchè ha coinvolto la gente che lo segue con passione (lo chiamano con affetto “Baba – padre – Camillo”) ([16]).
In trent’anni di lavoro, le realizzazioni sono impressionanti: ospedale con 78 letti (400 parti l’anno); farmacie di villaggio; costruzione e riparazione di strade con mezzi propri di seconda mano, quasi tutti venuti dall’Italia; acquedotto che serve 10.000 persone nei villaggi; opera di rimboschimento, ogni anno vengono piantati 70.000 pini, cipressi, eucaliptus, con l’aiuto dei ragazzi delle scuole; fattoria di 200 ettari coltivata con metodi moderni: per la prima volta si produce frumento a 2.000 metri; allevamento di vacche da latte (le vacche africane producono un litro di latte al giorno) e diffusione del latte nelle famiglie; caseificio-scuola, produzione di vino con uva locale, mulino che lavora a tempo pieno per la gente; scuola di falegnameria con 30 giovani residenti e molti altri esterni; officina-scuola meccanica per la riparazione di macchine d’ogni tipo; lago artificiale per la piscicoltura; vari tipi di scuole che dipendono dalla missione, per bambini e analfabeti adulti, per la promozione della donna, ecc.
Baba Camillo lavora tra i “Wabena”, un tempo abili pastori e guerrieri, di grandi valori umani, ma ancora ai primi passi nel mondo moderno; racconta che la maggior difficoltà incontrata è stata di convincere gli anziani e i capi della tribù, che proibivano ai giovani di cambiare i sistemi antichi di pesca e di agricoltura e non ammettevano la scuola per le donne.
Quando l’Europa unita avrà una valida politica estera, l’Africa sarà il nostro impegno prioritario. Questo il grande ideale che dovrebbe animare i giovani e la nostra società, aiutandoci anche a superare la nostra crisi di civiltà. Ma com’è possibile andare verso un’autentica solidarietà con i popoli africani, se rimaniamo chiusi nel nostro “consumismo” di popoli ricchi, se inseguiamo un modello di sviluppo basato sul denaro, sul superfluo, sullo spreco, sull’avere sempre di più?
[1]. “Redemptoris missio” (1990), n. 59; con le citazioni in nota della “Populorum progressio” (1967), della “Sollicitudo rei socialis” (1987) e della “Evangelii nuntiandi” (1975).
[2]. “Armi, acciaio e malattie – Breve storia del mondo negli ultimi tredicimila anni”, Einaudi, 2002, pagg. 366.
[3]. “Religion et culture”, Desclée de Brouwer, Paris 1946.
[4]. C. Dawson, “Il cristianesimo e la formazione della civiltà occidentale”, Rizzoli 1997, pagg. 19 segg.
[5]. Si veda lo studio del biblista Sandro Sacchi, “La missione cristiana contributo indispensabile allo sviluppo dei popoli”, in “Mondo e Missione”, gennaio 1984, pagg. 56-61.
[6]. S. Zoccarato, “Cosa per saggi, 100 proverbi dei Tupurì del Camerun”, EMI 1988, pag. 89.
[7]. Vedi anche la “Sollicitudo rei socialis” (1987), n. 41; e i Documenti della III Conferenza dell’Episcopato latino-americano (Celam) a Puebla (1979), n. 3760.
[8]. R. Guardini, “Studi su Dante”, Morcelliana 1967, pag 231.
[9]. Si veda l’intervista che gli ho fatto: “Quale progresso per l’uomo africano?”, in “Mondo e Missione”, novembre 1983, pagg. 632-635.
[10]. C’è, nel terzo mondo, una frattura drammatica fra la vita dei popoli e il mondo internazionale degli “esperti”. Questo spiega perchè buona parte dei “grandi progetti”, studiati in Occidente e finanziati con milioni di dollari, quasi sempre non producono sviluppo né aumento di ricchezza (ecco l’origine del debito estero!). Quanti esempi molto concreti potrei raccontare!
[11]. Giuseppe Fumagalli, “Il Vangelo felupe”, “Mondo e Missione”, ottobre 1988, pagg. 531-549. I brani citati alle pagg. 541-547.
[12]. Giuseppe Fumagalli, “Il Vangelo felupe”, “Mondo e Missione”, ottobre 1988, pagg. 531-549.
[13]. Intervistato a Suzana il 21 febbraio 1997.
[14]. “Il Corriere dell’Unesco”, gennaio 1989, pagg. 4-6.
[15]. Specialmente con questi volumi: “Terzo Mondo: perchè povero?” (Emi 1972), “I popoli della fame” (Emi 1982), “Nel nome del Padre: la conquista cristiana, sopruso o missione?” (Bompiani 1992, col giornalista Michele Brambilla), “Davide e Golia – I cattolici e la sfida della globalizzazione” (San Paolo 2002, col giornalista Roberto Beretta).
[16]. Giorgio Torelli, “Baba Camillo”, Istituto De Agostini 1997; Piero Gheddo, “La fattoria modello di Baba Camillo”, “Mondo e Missione, maggio 1995.
Padre Gheddo su Liberal (2003)
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