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In Italia se ne parla poco, ma è una delle più gravi tragedie africane, esemplare per capire come e perché molti paesi africani non riescono a bastare a se stessi. Nel 1979 sono stato in Rhodesia, che era chiamata “il granaio dell’Africa”: oggi gran parte del popolo è alla fame. Un missionario incontrato in Italia mi dice: “Il governo è preoccupato di conservare il potere e di reprimere le manifestazioni di protesta che aumentano e si teme che il paese precipiti nel caos. In Zimbabwe ci sono ancora 20-22.000 residenti inglesi (290.000 nel 1980), il cui governo ha preparato per loro un piano di evacuazione. La scintilla che potrebbe innescare la rivolta popolare sono le elezioni presidenziali del marzo 2008, le opposizioni si rifiutano di parteciparvi fin che non cambiano le regole elettorali. Mugabe sarà rieletto per la sesta volta consecutiva, dopo che ha portato lo Zimbabwe allo sfascio”.
Mugabe attribuisce il fallimento della sua politica a un “complotto internazionale contro lo Zimbabwe” ordito da Tony Blair, ma le vere cause sono altre. Mugabe è battezzato ed educato nelle scuole missionarie compreso il liceo dei gesuiti di Salisbury (la capitale che oggi si chiama Harare). Durante gli anni dell’apartheid e della guerriglia si sperava che avrebbe fatto superare il clima di odio e violenza che avvelenava l’atmosfera. Era una pia illusione. Mentre era studente all’università per neri di Fort Hare in Sud Africa, si iscrisse al partito comunista. Così, sia nella “guerra di liberazione” che dopo il 1980, dimostra di aver adottato la tattica marzista-leninista della conquista del potere: violenza e dittatura del suo partito-guida, lo ZANU. Mugabe partecipa alle cerimonie solenni nella cattedrale di Harare: cattolico, ma rivoluzionario marxista-leninista. Questa la radice dei due indirizzi errati di Mugabe che hanno condotto il paese allo sfascio: l’eliminazione della democrazia e la cacciata dei bianchi che facevano funzionare le strutture moderne dello stato, trasporti, banche, scuole superiori, industrie e soprattutto l’agricoltura moderna, le cui esportazioni erano la ricchezza del paese.
Salito al potere nel marzo 1980, Mugabe vara ambiziosi progetti sanitari e scolastici e istituisce un governo di coalizione col partito di opposizione ZAPU, il cui capo è Joshua Nkomo. Ma l’esecutivo dura solo due anni ed è sciolto nel 1982. La dittatura diventa assoluta nel 1987 quando il parlamento abolisce il ruolo di primo ministro e riunisce tutti i poteri nel presidente della repubblica, naturalmente Robert Mugabe. Da allora non si può più parlare di elezioni nello Zimbabwe, Mugabe è sempre rieletto presidente.
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La riforma agraria è del 1991. Le fattorie con estese proprietà coltivate industrialmente sono consegnate ai guerriglieri della libertà, senza preoccuparsi di educarli e sostenerli, dato che la loro unica esperienza era l’agricoltura di sussistenza, limitata ai bisogni della famiglia e al mercato di villaggio. Oggi lo Zimbabwe produce un terzo del grano che produceva nel 1999, quando c’era la guerra e gli abitanti erano 6 milioni; non esporta più, anzi importa cibo, come succede a molti altri paesi africani. La FAO dice che oggi l’Africa nera produce il 30% in meno del cibo che le sue popolazioni consumano, il resto lo importa o lo riceve in dono. In Zimbabwe, la riforma agraria ha causato la fuga di gran parte dei 290.000 bianchi e indiani.
Nel 1999 il sindacalista Norman Tsvangirai ha fondato il “Movimento per il cambiamento democratico” (MDC), scegliendo l’opposizione non violenta al governo: oggi è in ospedale con il cranio fratturato dalle bastonate della polizia, assieme a molti altri manifestanti. Negli ultimi anni le proteste popolari sono cresciute di numero e di peso, nonostante le feroci repressioni. Il dollaro dello Zimbabwe sta raggiugendo un’inflazione del 5000% l’anno! Le suore italiane di Maria Bambina in Zimbabwe vanno a fare la spesa al mercato con una carriola piena di pacchi di carta moneta statale inflazionata!
Lo Zimbabwe, che ancora trent’anni fa era un modello di dinamismo economico per l’intera Africa, è oggi afflitto da una decadenza tale da innescare il degrado dei più elementari servizi sociali. Il tasso di abbandono scolastico si è impennato e raggiunge il 50%, il governo non finanzia più le vaccinazioni, la malnutrizione cronica riguarda un bambino su quattro, la malaria è fuori controllo. Nelle città governo distrugge le baraccopoli, per mandare la gente in campagna a coltivare la terra: circa 700.000 baraccati sono dispersi nel paese.
A pagare il prezzo più alto sono le fasce sociali maggiormente vulnerabili, primi fra tutti i bambini delle famiglie più povere e soprattutto i tantissimi – un quinto della popolazione infantile – resi orfani di uno o entrambi i genitori dall’AIDS. Spesso i più poveri mangiano radici ed erbe bollite! L’agricoltura è disastrata, le interruzioni di elettricità costanti, la distribuzione di acqua potabile non più garantita e quella di carburante completamente assente. Alimenti come la carne e il latte sono ormai introvabili se non al mercato nero, sempre più protagonista dell’economia nazionale. Il paese continua a soffrire per la mancanza di acqua e cibo, l’aspettativa di vita non supera i 37 anni per gli uomini e i 35 per le donne, mentre malattie come l’AIDS colpiscono il 20% della popolazione maschile adulta.
A detta dei residenti, la situazione peggiora di giorno in giorno e l’unica possibilità di sopravvivenza per molti cittadini è di espatriare in Sudafrica o in Zambia o in Mozambico, in cerca di un pur basso ma stabile stipendio. La crisi si è acutizzata nei primi mesi del 2007, la maggioranza della popolazione non può più disporre dei beni di consumo primario.
Tre milioni di zimbabueani – circa un quarto della popolazione – vivono in campi profughi all’estero. L’Onu ha condannato più volte lo Zimbabwe, il Commonwealth l’ha espulso dai suoi membri, la Comunità europea e gli Stati Uniti hanno decretato negli ultimi tempi varie forme di embargo economico.
Piero Gheddo
Avvenire – agosto 2007
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