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LA FONDAZIONE DEL «SEMINARIO LOMBARDO PER LE MISSIONI ESTERE»
(1850-1851)

a fondazione dell’Istituto missionario di Milano è uno dei segni più belli del risveglio missionario che caratterizza la vita cristiana nel secolo scorso. Nel 1700, l’orgoglioso «secolo dei lumi», la missione ai non cristiani era in totale decadenza. In Europa, i contrasti fra i governi e la S. Sede, l’illuminismo e le filosofie razionaliste avevano mortificato la Chiesa, diffuso idee e costumi pagani; la soppressione dei gesuiti e la Rivoluzione francese (che spogliava gli ordini religiosi dei loro beni) avevano portato ad un blocco quasi totale delle partenze per le missioni.
Nel 1773 Voltaire aveva previsto che «nella cultura nuova non ci sarà futuro per la superstizione cristiana: io vi dico che fra vent’anni il Galileo sarà spacciato». D’altra parte, nei paesi asiatici, dove in prevalenza si dirigevano i missionari, la famosa «questione dei riti cinesi» (come pure indiani e vietnamiti), i contrasti fra gli ordini religiosi e le persecuzioni ebbero l’effetto di inaridire lo spirito missionario dell’Europa cristiana, che aveva caratterizzato i secoli XVI-XVII, ai tempi di s. Francesco Saverio, Ricci, De Nobili e De Rhodes, per ricordare solo i missionari più rappresentativi.
Basti dire che l’istituto delle missioni estere di Parigi, braccio destro di Propaganda Fide (1) in Asia, negli undici anni dell’impero napoleonico (1804-1815) era riuscito a mandare solo due missionari in oriente! Per più d’un secolo, le piccole comunità cristiane in Cina, Giappone, Vietnam, India, Birmania, Thailandia, Sri Lanka, vennero quasi abbandonate a se stesse.

Il popolo cristiano protagonista della ripresa missionaria

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Nei primi decenni del 1800, dopo la Rivoluzione francese e le guerre napoleoniche, si determinano condizioni favorevoli ad una ripresa dell’attività missionaria: le nuove scoperte geografiche,la rinascita dei gesuiti, dei missionari di Parigi e di altri istituti soprattutto francesi, la restituzione dei beni a Propaganda e lo spirito missionario dei Papi, che appare rinvigorito rispetto al secolo precedente. Nell’800 la Chiesa perde in Europa i privilegi di cui godeva quando era alleata delle corti reali e della nobiltà; non solo, ma viene combattuta dai governi della «restaurazione» e dalle scuole di pensiero che rappresentavano allora lo «spirito moderno» (liberalismo, mazzinianesismo, socialismo, marxismo, razionalismo scientifico, nazionalismo). Ma, nello stesso tempo, l’800 è un secolo di vigorosa rinascita cristiana che parte dal popolo con la forza di nuovi carismi, fino a far saltare tutti gli schemi teologico-giuridico-pastorali, che parevano immutabili.
Lo Spirito ringiovanisce la Chiesa in ogni epoca storica, per vie che Lui solo conosce. Mentre Papato, diocesi, parrocchie, corporazioni religiose soffrono per le persecuzioni aperte o nascoste di cui erano vittima, sorgono nel popolo numerosi movimenti spirituali, sociali, caritativi, missionari, che rinnovano radicalmente la vita cristiana. È da notare questo fatto: nel secolo scorso, alla crisi di fede dell’intelligenza europea e delle monarchie fa da contrappeso la rinascita cristiana tra il popolo, con il fiorire di iniziative nuove in due campi soprattutto: caritativo-educativo-sociale (Cottolengo e don Bosco, per fare solo due nomi) e missionario. Il popolo cristiano diventa protagonista nella Chiesa, che non si appoggia più alle potenze politiche, come nei secoli precedenti, ma trova il suo sostegno nella gente più umile.
Nell’800 sono fondate circa 90 congregazioni religiose maschili e femminili, ciascuna col suo carisma profetico di rinnovamento ecclesiale. Lo storico Giacomo Martina scrive che in questo secolo «nasce una Chiesa più pura e più giovane», che ha «perso la forza politica di prima, ma ha intensificato la sua azione spirituale» (2).
La Francia si rivela «figlia primogenita della Chiesa», perché in lei sorge e si fortifica il movimento carismatico che accende in tutta l’Europa il fuoco della missione universale:  l’«Opera della propagazione della fede», fondata nel 1822 a Lione da Paolina Jaricot. Tre le novità rivoluzionarie della «Propagazione della fede»:
1) In un tempo di crisi della vita cristiana, richiama con forza la missione universale ai pagani. Si pensi che quando il beato Gaspare Del Bufalo, sotto il pontificato di Leone XII (1823-1829), fonda i missionari del Preziosissimo Sangue per le missioni al popolo, negli stati pontifici più di metà del clero non sapeva nemmeno leggere il latino e ignorava la formula dell’assoluzione nel sacramento della riconciliazione. Del Bufalo riteneva, in base alla sua esperienza, che i due terzi del clero vivessero apertamente «more uxorio» con una donna, senza nemmeno scandalizzare i loro fedeli. Una Chiesa di questo tipo viene rivoluzionata e purificata, fra l’altro, dall’ideale missionario. «La fede si rafforza donandola!» scrive Giovanni Paolo II (nella «Redemptoris missio», n. 2).
2) La Propagazione della fede è fondata da una giovane laica (quante difficoltà per essere accettata in diocesi e parrocchie proprio per questo!) e si rivolge non solo ai vescovi e al clero, ma a «tutti i fedeli per tutti gli infedeli». I battezzati diventano protagonisti della missione, solo in forza del proprio battesimo. Era un messaggio assolutamente nuovo, davvero rivoluzionario per una Chiesa quanto mai «clericale» e «maschilista», con un popolo credente abituato ad essere passivo esecutore di ordini e orientamenti che venivano dall’alto. Anche nel secolo scorso (come nel nostro) le missioni e i missionari attiravano la simpatia di personalità che si dichiaravano laiche e magari si comportavano da anti-clericali! Proprio per questo la «Propagazione della fede» ebbe un impatto eccezionale tra i credenti e nella società civile dell’ottocento: in Italia ebbe fra i suoi primi iscritti il re Carlo Alberto di Savoia, il conte di Cavour, Silvio Pellico, Massimo D’Azeglio, i duchi di Modena, Parma e Lucca, la granduchessa di Toscana, ecc.
3) Mentre il Papato e Propaganda Fide, così come i grandi ordini religiosi protagonisti della missione nei secoli precedenti, erano ridotti ad una reale povertà di mezzi per le spogliazioni napoleoniche e dei governi massonici, quindi impossibilitati a reggere le spese di invio e di sostegno dei missionari, la «Propagazione della fede» lancia un’idea geniale che darà il necessario alla ripresa missionaria: tutti i fedeli sono invitati a versare «il soldino settimanale» per «propagare la fede fino agli ultimi confini della terra». Così, mentre in precedenza le missioni erano finanziate dai governi e dalle case regnanti «cristianissime» (si pensi al «Patronato» spagnolo e portoghese), Paolina Jaricot dimostra, fra lo stupore generale, che i «soldini settimanali» versati da tanta piccola gente in ogni parte del mondo cristiano possono sostenere quasi da soli l’evangelizzazione del mondo non cristiano.
La Propagazione della fede si diffonde rapidamente in Italia, suscitando nel popolo e nel clero la conoscenza e l’entusiasmo per le «missioni estere». In Italia, gli «Annali della propagazione della fede» hanno larga diffusione soprattutto in Piemonte (3): alla metà del secolo, quando nasce a Torino la prima rivista missionaria italiana («Il Museo delle missioni cattoliche», fondato nel 1857 dal canonico Ortalda), la Chiesa nello stato dei Savoia poteva vantare 600 missionari piemontesi, liguri e sardi! Mancava ancora nel nostro paese un istituto esclusivamente missionario di clero diocesano, come in Francia esisteva dal 1660: le «Missioni Estere di Parigi» (4). L’opera era quanto mai urgente anche in Italia, dato l’entusiasmo per l’ideale missionario nei seminari diocesani e fra il giovane clero.  Chi voleva partire per le missioni doveva necessariamente entrare in un ordine o in una congregazione religiosa.

Un Istituto per mandare in missione il clero diocesano

La necessità di un istituto missionario italiano era stata avvertita anche da Papa Gregorio XVI (1831-1846), ma senza alcun risultato pratico. Mons. Ludovico de’ Conti Besi (che fu poi missionario in Cina), contemporaneo di Papa Gregorio, dopo la nascita del «Seminario per le missioni estere» di Milano testimoniò che «questo era il continuo voto di Papa Gregorio, il quale a me giovanetto spesso soleva dire molto meravigliarsi come all’Italia mancasse tale seminario» (5).
In Piemonte, il vescovo di Mondovì, il domenicano Mons. Giovanni Tommaso Ghilardi, per ricordare solo il tentativo più vicino a quello che poi diede origine al Seminario lombardo per le missioni estere, aveva varato nel 1843 il progetto di un «Collegio di preti secolari per le estere missioni» per l’invio di preti diocesani in missione, dandone notizia al ministro degli esteri di re Carlo Alberto e a Gregorio XVI. Il progetto aveva tutte le carte in regola per riuscire: invece quel «Collegio di preti secolari» nacque solo nel 1867 e poi subito si chiuse (due dei suoi sacerdoti passarono all’Istituto di Milano). Negli anni 1846-1850 anche Antonio Rosmini aveva progettato di aprire a Susa un «Seminario per le missioni estere».
L’idea si realizza a Milano nel 1850 non per il carisma di un solo fondatore (come in genere avviene per le congregazioni religiose), ma per il convergere di varie espressioni ecclesiali che manifestano una forte coscienza missionaria: il Papa, i vescovi e le diocesi della Lombardia, i giovani sacerdoti e gli alunni dei seminari diocesani milanesi, infiammati dalle letture delle riviste missionarie che giungevano dalla Francia. Padre Angelo Ramazzotti, oblato di Rho, è il Fondatore del «Seminario lombardo per le missioni estere», che però ha realizzato un progetto non esclusivamente suo.
L’impulso concreto alla fondazione dell’Istituto missionario di Milano lo dà Pio IX nel 1847. Per la Chiesa e per lo stato pontificio quelli erano tempi burrascosi, tali da non invogliare ad intraprendere nuove opere. Ma Pio IX aveva da tempo l’intenzione di erigere in Italia un istituto per le missioni estere, progetto ricevuto in eredità dal suo predecessore Gregorio XVI: un istituto di clero secolare, che inviasse nelle missioni non religiosi come facevano già molti ordini e congregazioni, ma sacerdoti delle diocesi, a quel tempo in Italia abbondantemente rifornite di clero (6). Il modello erano le «Missioni Estere» di Parigi, che avevano l’unico scopo di fondare la Chiesa locale dove ancora non esisteva, dipendevano unicamente da Propaganda Fide e quindi erano più malleabili, in mano alla S. Sede, di quanto non lo fossero le corporazioni religiose non totalmente dedicate all’apostolato missionario e spesso compromesse col potere politico (specie il «Patronato» spagnolo-portoghese).
Nel 1847 il Papa incarica il suo legato mons. Giovanni Luquet, delle missioni estere di Parigi e già missionario in India, di comunicare al nuovo arcivescovo di Milano, mons. Bartolomeo Carlo Romilli, e a tutto l’episcopato lombardo «il desiderio del S. Padre di aprire un «Seminario di missioni straniere, fiducioso nel concorso dei vescovi» (7). Al colloquio del legato pontificio con l’arcivescovo, svoltosi nella casa dei padri oblati di Rho, è presente il superiore degli oblati, padre Angelo Ramazzotti, il quale già da tempo coltivava per conto suo lo stesso progetto, in accordo con altri sacerdoti milanesi. L’apprendere il desiderio del Papa è per p. Ramazzotti come un’ispirazione dall’alto che mette in fuga tutte le incertezze: da allora si impegna totalmente in quest’opera, parlandone subito al clero milanese e ai giovani chierici dei seminari.
Ramazzotti, visitando la diocesi ambrosiana ed essendo in contatto con molti sacerdoti giovani e i seminaristi dei seminari diocesani, aveva toccato con mano che fra di loro c’erano numerose vocazioni alle missioni estere. Dal 1845, i giovani sacerdoti e seminaristi animati da spirito missionario (di Milano e di Lodi) facevano riferimento ad un monaco della Certosa di Pavia, p. Taddeo Supriès, che era stato missionario in India come membro delle missioni estere di Parigi (8), il quale manteneva vivo in loro il desiderio della missione. Supriès e i suoi giovani amici avevano maturato il progetto di «fare opera durevole, continuativa, e quindi unirsi in una congregazione intitolata a san Francesco Saverio, aprendo così la porta ai molti giovani preti lombardi oggi mancanti di una opportunità per realizzare il loro ideale missionario» (9).

Paolo Reina, che sarà il superiore della missione in Oceania, aveva scritto ad un vescovo francese (il beato Eugenio de Mazenod fondatore nel 1816 degli oblati di Maria Immacolata) chiedendo di essere aggregato ai sacerdoti che partivano per le missioni. Ramazzotti era il confessore e il confidente di parecchi di questi giovani. Così nasce in lui l’idea di iniziare anche in Italia un seminario missionario come esisteva in Francia, progetto che condivide con l’amico e confratello p.Angelo Taglioretti (10), in seguito provvidenziale aiuto del primo direttore, mons.Giuseppe Marinoni (11). Padre Scurati nota che «fin dalla giovinezza… Ramazzotti aveva sentito viva l’inclinazione alle missioni tra gli infedeli».

Diventato sacerdote ne parlò col suo direttore spirituale che gli disse: «Le tue Indie e la tua Cina sono qui». A Ramazzotti non restava che pregare e, assicura Scurati, fin dal 1844 egli pregava perché sorgesse in Italia un seminario per le missioni.
L’invito di Pio IX cade quindi in un terreno fertile, ma la pratica realizzazione del disegno è rimandata di tre anni a causa dei torbidi politici e delle guerre che si susseguono a ritmo incalzante. All’inizio del 1850 Ramazzotti invia a Pio IX, all’arcivescovo di Milano e ai vescovi della Lombardia, un progetto particolareggiato dell’Istituto, discusso con Taglioretti, Supriè se alcuni dei giovani che volevano farne parte, offrendo anche la casa di sua proprietà a Saronno per la prima sede. Giunta nei mesi seguenti l’approvazione del Papa e dei vescovi lombardi, l’Istituto si apre nella casa del Fondatore il 31 luglio 1850 con i primi quattro sacerdoti milanesi (ai quali poco dopo si uniscono due laici «catechisti»). Ma essendo stato p.Ramazzotti consacrato vescovo di Pavia il 30 giugno precedente, il primo direttore dell’Istituto è il sacerdote milanese mons.Giuseppe Marinoni.

La nascita del Seminario missionario lombardo (31 luglio 1850)

Il Fondatore dell’Istituto missionario milanese, di cui è in corso la causa di canonizzazione, merita un breve profilo (12). Pur non avendo influito molto sull’evoluzione del Seminario dopo i primi anni (dal 30 giugno 1850 è vescovo di Pavia, dal 1858 patriarca di Venezia, muore il 24 settembre 1861), Ramazzotti gli ha però trasmesso alcune caratteristiche che vanno rilevate.
Nato a Milano il 3 agosto 1800 da famiglia agiata e profondamente cristiana, Angelo Ramazzotti si laurea in diritto civile ed ecclesiastico a Pavia nel 1823 e per due anni esercita la professione di avvocato presso uno studio legale a Milano. Di grande bontà d’animo e vita cristiana, sente fin da ragazzo la vocazione sacerdotale: nel 1825 entra nel seminario diocesano, è ordinato sacerdote il 13 giugno 1829 e il giorno stesso accettato fra i missionari oblati di Rho, sacerdoti diocesani per la predicazione al clero e al popolo.
Appassionato predicatore, nei vent’anni dal 1830 al 1850 tiene 179 corsi di otto giorni e 35 corsi di 15 giorni ciascuno, fra missioni al popolo ed esercizi spirituali! Nel 1836 inizia un oratorio festivo nella sua casa patrimoniale di Saronno (dieci anni prima che don Bosco aprisse il primo oratorio a Valdocco); la stessa casa è anche orfanotrofio per gli orfani del colera del 1835-36, ai quali si aggiungono nel 1848 i figli dei militari austriaci costretti a fuggire da Milano durante le famose «Cinque giornate» dell’insurrezione popolare. L’arcivescovo di Milano si serviva di lui per missioni particolarmente delicate, per sedare malcontenti e comporre litigi: la sua opera di mediazione era gradita a tutti. Più avanti, da vescovo e da patriarca, mantiene i rapporti dell’episcopato italiano col governo austriaco, è nominato consigliere privato della Corona d’Austria e membro del consiglio della Corona imperiale a Vienna (parlava bene il tedesco).
Ramazzotti coltivava il desiderio di dedicarsi alle missioni estere, ma non esisteva ancora in Italia un istituto apposito per i sacerdoti diocesani. Un concorrere di situazioni favorevoli, come s’è detto, lo portano a realizzare il progetto: il 30 luglio 1850 accompagna i primi alunni del «Seminario lombardo per le missioni estere», don Giovanni Mazzucconi e don Carlo Salerio, dalla sede degli oblati di Rho alla sua casa di Saronno.

«Lungo il viaggio — scrive Scurati — l’ottimo Pastore li intratteneva con pensieri di fede e li consolava dicendo: ‘‘Noi andiamo ora a Saronno in un misero calesse, e forse ci precedono a schiere gli angioli…’’».

Giunti a Saronno sul far della sera, si fermano prima al santuario della Madonna:

«e dopo avervi pregato alquanto — è sempre Scurati che racconta — invocata la benedizione della Regina degli Apostoli e dei martiri, andarono insieme alla casa di monsignore, detta di s. Francesco, per la chiesa annessavi dedicata a questo santo».

Qui trovano ad attenderli il direttore mons. Giuseppe Marinoni, alcuni sacerdoti dei dintorni e gli altri aspiranti missionari già sacerdoti: Alessandro Ripamonti (che rimase a Milano procuratore delle missioni), Paolo Reina (prefetto apostolico della Melanesia) e due giovani chierici che diventeranno ambedue vescovi in Bengala: Francesco Pozzi e Antonio Marietti. Nell’ottobre 1850 saranno pure ammessi don Timoleone Raimondi (vicario apostolico di Hong Kong), don Angelo Ambrosoli (morto in Australia nel 1891) e il «catechista» Giuseppe Corti (nel 1851 viene ammesso Luigi Tacchini), ambedue missionari in Oceania.
La cerimonia ufficiale di apertura del Seminario missionario avviene il giorno seguente, 31 luglio 1850, con la messa celebrata non dal vescovo Ramazzotti e nemmeno dal direttore Marinoni, ma dal sacerdote più giovane, Giovanni Battista Mazzucconi, nella cappella interna della casa di Ramazzotti. Secondo il rito ambrosiano che la comunità seguiva, si celebrava la festa di s. Calimero (vescovo di Milano) e il Vangelo del giorno portava le parole di Cristo: «Chi ama suo padre e sua madre più di me non è degno di me… Chi tiene conto della sua vita la perderà e chi avrà perduto la sua vita per amore mio la salverà». Mazzucconi, leggendo
queste parole,

«applicando quanto leggeva a sé, fu preso da tanta commozione che diede in pianto; e per quanto cercasse di frenarlo, non poté impedire che tutti se ne accorgessero».

La nascita del Seminario lombardo per le missioni estere e il suo battesimo con una Eucarestia privata e senza solennità, è avvalorata da questo brano del Vangelo e dalle lacrime di un martire e beato.

Il servo di Dio mons. Angelo Ramazzotti (1800-1861)

Ramazzotti, lasciando l’Istituto alla saggia guida di mons. Giuseppe Marinoni, non lo abbandona, ma lo segue col consiglio e l’aiuto concreto quando è necessario per i rapporti con la Santa Sede e i vescovi lombardi. Ma soprattutto lascia ai giovani missionari l’esempio della sua santa vita e il modello del suo episcopato. La dott.sa Francesca Consolini, che ha composto la biografia documentata («Positio») per la causa di canonizzazione, testimonia (13):

«Da quanto ho studiato anche di altri personaggi e santi di quel tempo, Ramazzotti è uno dei più grandi vescovi italiani prima dell’unità d’Italia… Era un santo vescovo, vissuto in un tempo difficile per il Lombardo-Veneto… Un uomo molto intelligente ed equilibrato, amato e venerato dal suo popolo perché veniva incontro alle necessità più concrete della sua gente».

Nell’episcopato a Pavia e Venezia si distingue per un infaticabile ardore apostolico ed un inesauribile spirito di carità: visita spesso ospedali e carceri, istituisce opere per la gioventù abbandonata e per i poveri, scuole regolari e serali, ecc. Ramazzotti voleva un clero diocesano di spirito missionario: esorta i sacerdoti a vivere in piccole comunità e lui stesso ne prende alcuni con sé in episcopio, che inviava come sostituti di sacerdoti ammalati o per le missioni al popolo. Nella prima lettera al clero veneziano lamenta che nelle zone più povere e abbandonate della diocesi (ad esempio l’Estuario di Venezia) ci sono pochi preti e chiede ai suoi di offrirsi volontari per andarci a vivere: il prete, scrive, dovrebbe pretendere di essere mandato in quelle situazioni di povertà, non rifiutare di andarci! Aggiunge che i preti debbono essere come soldati di prima linea: dove nessuno vuole andare, voi dovete essere quelli che chiedono di essere mandati. Questa lettera è un documento missionario di grande forza, valido anche oggi!
Metropolita della regione triveneta, Ramazzotti convoca diverse volte i vescovi e celebra il primo concilio provinciale del Triveneto, svoltosi nel seminario patriarcale di Venezia nell’ottobre 1859. Per la prima volta da moltissimo tempo, nei soli tre anni e mezzo di permanenza a Venezia riesce a realizzare la visita pastorale delle parrocchie del patriarcato. Ramazzotti ha mandato le prime suore italiane in missione: nel 1860 partono da Venezia, per diretto suo interessamento, le canossiane per Hong Kong (14) e le suore di Maria Bambina per il Bengala indiano, in aiuto ai missionari dell’Istituto da lui fondato.
Muore poverissimo (aveva venduto tutto per i poveri) a Crespano del Grappa il 24 settembre 1861, tre giorni prima di ricevere la berretta cardinalizia da Pio IX. Quando viene a sapere, mesi prima, che il Papa vuol farlo cardinale, scrive al card. Antonelli, segretario di stato: «Dica al Santo Padre che per piacere non mi faccia cardinale, il denaro mi serve per altro». Gli serviva per i poveri. Un episodio della sua vita merita di essere ricordato (15):

«Non è raro che ci sia tra il cassiere e un buon Vescovo controversia per le spese: perché il cassiere misura i bisogni altrui con la propria cassa, il Vescovo li misura col proprio cuore. Così succedeva anche a s. Carlo col suo cassiere. Il cassiere di mons. Ramazzotti, uomo d’altronde di specchiatissima probità, raccomandava spesso al vescovo di andare adagio con le spese. Mons. Ramazzotti leggeva un giorno un manoscritto di un Vescovo di Pavia, nel quale si parlava dei doveri dei Vescovi e, tra gli altri, inculcandosi quello della elemosina affermava che un buon Vescovo non deve conservare denari in cassa. Non appena ebbe letto questa sentenza, fu di subito al suo cassiere e ‘‘leggete, gli disse, leggete su questo libro, voi che mi raccomandate di andare adagio; guardate cosa dice un Vescovo riguardo alle elemosine che debbono fare i Vescovi’’».

Nel 1961, il vescovo di Pavia mons. Carlo Allorio, in un discorso commemorativo del suo predecessore tenuto in cattedrale, ha detto:

«Specialissima cura ebbe del seminario che era diventato quasi il centro del giansenismo lombardo. Mons. Ramazzotti vi riattivò la vita soprannaturale, rinnovò il corpo insegnante e si riservò personalmente l’ufficio di rettore, tanta era l’importanza che attribuiva all’educazione dei futuri sacerdoti. La sua linea direttiva riguardo all’ammissione agli ordini sacri è stata molto chiara a tutti coloro che l’hanno conosciuto: pochi ma buoni! Si preoccupava più della qualità che della quantità… L’opera episcopale di mons. Ramazzotti, sia a Pavia che a Venezia, fu veramente grande e sta a dimostrarlo questo semplice fatto che, nonostante la brevità della sua permanenza in ambedue le città, egli fondò tali e tante opere, ebbe un tal numero di felici iniziative, da stupire ancor oggi chi si accosta anche solo superficialmente al racconto della sua vita».

A Venezia, dopo la sua morte, il popolo subito lo acclama santo:

«Questa acclamazione a voce di popolo — ha scritto il suo successore card. Angelo Giuseppe Roncalli 16 — tocca il punto più luminoso di questa grande anima: e io debbo confessare che da quando in questi anni del mio umile ministero pastorale a Venezia, ricercando nel solco lavorato da lui e dai miei predecessori le tracce della sua attività personale, ho potuto renderla familiare al mio spirito, da allora anche in me si è fatta profonda e schietta la convinzione che davvero il titolo di Santo gli convenga e … di Santo da altare… Volesse il cielo che uno studio più profondo delle virtù e dei meriti di mons. Ramazzotti, e la devozione accresciuta alla sua memoria, determinassero anche per lui le circostanze più propizie per l’introduzione (della causa di canonizzazione), per una glorificazione corrispondente al voto dei suoi contemporanei — vox populi, vox Dei — ed a quel riconoscimento delle sue virtù che in occasione della morte il santo Pontefice Pio IX volle solennemente esprimere con pubblico documento, che confermava l’imminente creazione del patriarca di Venezia a cardinale della Chiesa romana (Breve di Pio IX, 7 ottobre 1861)».

I vescovi lombardi e la missionarietà della Chiesa locale

L’atto di fondazione del «Seminario lombardo per le missioni estere» è firmato il 1o dicembre 1850 da tutti i vescovi lombardi, compreso mons. Ramazzotti vescovo di Pavia, riuniti a Milano in consiglio provinciale (quello di Bergamo, non presente alla riunione, lo firmò in seguito). In esso si legge che i vescovi,

«mossi da sincero desiderio di veder dilatato il Regno ss. di Gesù Cristo nelle regioni infedeli, hanno risolto di istituire, come di fatto istituiscono col presente atto, il detto Seminario delle estere missioni… Essi intendono di dare al detto Seminario tutto l’appoggio della loro autorità ed assicurano quelli ecclesiastici che si sentono chiamati ad entrarvi della loro benevolenza e protezione».

Queste idee, che sono alla base dell’atto di fondazione, le troviamo più ampiamente esposte nel primo testo dell’Istituto (17), alla cui stesura concorsero i primi missionari durante i mesi di agosto-settembre 1850 a Saronno: testo approvato dai vescovi lombardi nell’atto di fondazione del 1o dicembre 1850, in attesa del giudizio di Propaganda Fide (18). Mons. Marinoni, dopo l’approvazione dei vescovi, parte il 6 dicembre da Saronno e va a Roma, dove rimane fino al 30 gennaio 1851. Il 16 gennaio ottiene dal card. Fransoni, prefetto di Propaganda Fide, una lettera (19)

«con cui questi, indirizzandosi all’Arcivescovo Romilli, dopo aver accusato ricevuta della documentazione riguardante il Seminario missionario, l’informava del favore con cui il Santo Padre — cui aveva subito consegnato la lettera di Ramazzotti, informandolo di ogni cosa — aveva accolto la notizia di ‘‘essersi già dato principio ad una sì pia ed utile fondazione, che ardentemente bramava veder effettuata’’; perciò, per dare ‘‘un attestato del paterno Suo animo a favore del medesimo Seminario’’, accogliendo la proposta fattagli, ordinò subito di scrivere al Nunzio di Parigi perché ‘‘con la massima efficacia’’ si impegnasse ad ottenere dalla Pia Opera della Propagazione della Fede ‘‘almeno per qualche anno al nascente Seminario di Saronno un regolare copioso soccorso’’».

Il card. Carlo Maria Martini scrive (20) che

«è interessante il testo dell’atto di costituzione del Pime, firmato nel 1850 da tutti i Vescovi lombardi, dove si esprime la teologia della Chiesa locale e la sua missionarietà in termini che precorrono il Vaticano II».

Ecco alcuni passaggi dell’«Avvertenza preliminare sulla natura e l’ordinamento dell’Istituto» con cui inizia la «Proposta» (approvata e fatta propria dai vescovi lombardi nel documento del 1° dicembre 1850):

«L’Arcivescovo di Milano e i Vescovi comprovinciali, non trattenuti dal timore di perdere qualche soggetto ai bisogni della Diocesi; considerando il compenso che devono attendere le loro Chiese dal Signore;
considerando che gli splendidi esempi di distaccamento e di sacrificio sono atti più che altro a svegliare la fede e possono rendere fruttuoso alla diocesi non meno il missionario, il quale parte per un altro emisfero, che il sacerdote rimasto ad operare fra i suoi;
che, anzi spingendo in alcuni individui la vocazione ecclesiastica al suo pieno sviluppo, viensi a suscitarla e meglio maturarla in altri;
ma più che tutto considerando che è interesse di ogni Chiesa particolare la dilatazione della Chiesa universale, e che ciascuna delle diocesi è in qualche modo tenuta a fornire per questo intento il suo contingente di milizia apostolica, pensarono di dover favorire e tener cura delle vocazioni al ministero delle estere missioni con non minor zelo di quello che usino per la buona educazione del clero destinato alla diocesi.
Interprete di questo pio pensiero dei Vescovi ed esecutrice di esso, in nome loro e per conto loro, dovrebbe essere la casa iniziata in Saronno per le missioni; aspira cioè a costituirsi in un piccolo Seminario provinciale per le missioni straniere».

Il testo prosegue tirando le conseguenze di questa «missionarietà della Chiesa particolare» (o «locale»): i vescovi lombardi affermano infatti che il loro seminario missionario si dice «provinciale» perché vuol raccogliere le vocazioni missionarie di sacerdoti e chierici delle diocesi lombarde. Ma esprimono

«il voto che anche altrove, e massime dove abbonda il clero, aprano i Vescovi ai loro giovani ecclesiastici con favore questa carriera, e convenendo nel medesimo intento nobilissimo le intere provincie ecclesiastiche, formino di siffatti Istituti provinciali, per la prova, l’educazione, l’assistenza degli aspiranti alle missioni straniere…»
«In questo modo — continuano i Vescovi lombardi — ciascuna Diocesi avrebbe un espediente regolare ed opportuno a pagare il proprio tributo per l’ampliazione della Chiesa universale, e il supremo di lei capo troverebbe in questa attiva cooperazione dei Vescovi alla propagazione del Vangelo un aiuto in più, oltre a quello delle corporazioni religiose, e questo aiuto gli verrebbe da quelli che sono con lui e sotto di lui per divina istituzione più direttamente incaricati di continuare l’opera affidata agli Apostoli, di istruire nella fede e convertire le nazioni. Di più queste spedizioni diocesane e provinciali stabilirebbero un vincolo fra le Chiese native dei missionari e quelle che il loro zelo benedetto da Dio verrebbe a formare nelle popolazioni convertite, e dovrebbe risultarne un impegno delle nostre Diocesi e provincie a proteggere gli interessi di quelle Chiese, le quali si raccomanderebbero a noi coi dolci titoli di una quasi parentela spirituale» (21).
I Vescovi poi avanzano la «proposta» di «stabilire fisso e immutabile questo principio, che è la conseguenza e il riassunto delle cose accennate: che cioè, sotto gli auspici e per mano dei Vescovi, anzi per commissione loro e loro autorità, intende l’Istituto offrire umilmente (se Dio lo farà crescere e prosperare) i suoi servigi al Sommo Pontefice e alla sacra congregazione di Propaganda Fide. Su questo principio è basato l’ordinamento interno ed esterno dell’Istituto che viene qui appresso ad esporsi».

Un testo del genere, a parte la lingua che ne rivela la data, farebbe onore a qualsiasi conferenza episcopale del nostro tempo, dopo il Concilio Vaticano II: eppure l’hanno adottato i vescovi lombardi, prima del Vaticano I. Questa formula profetica di invio in missione di sacerdoti diocesani viene presto dimenticata, disattesa dai vescovi stessi che l’hanno firmata e dai loro successori e infine abolita dal Codice di diritto canonico (1917): è poi ripresa da Pio XII con la «Fidei donum» (1957).
Nel consiglio provinciale dei vescovi lombardi (Milano, 1° dicembre 1850), in cui è approvato e firmato l’atto di fondazione del Seminario lombardo per le missioni estere, i vescovi approvano «per acclamazione» la proposta di mons. Giovanni Corti di Mantova, milanese e amicissimo dei missionari:

«Gli anni spesi dai missionari nel servizio delle missioni, quando essi ritornino per giusta causa, e con l’assenso dei loro superiori, siano contati come anni di ministero spesi nella diocesi, talché il vescovo possa provvederli di qualche posto».

Un ultimo testo importante per capire lo spirito da cui è nato il «Seminario lombardo per le missioni estere» è la lettera che mons. Giuseppe Marinoni manda ai vescovi lombardi il 26 novembre 1850 (in forma di «Supplica», per chiedere l’approvazione formale del Seminario), per la loro conferenza episcopale lombarda (27 novembre – 1o dicembre 1850). In questa Supplica si legge fra l’altro (22):

«I nostri alunni supplicano caldamente Vostra Ecc.za (l’arcivescovo di Milano, n.d.r.) e i Vescovi con lei riuniti a conservare sempre verso questo Collegio da essi creato quella paterna benevolenza e quell’amorosa sollecitudine di cui gli hanno già dato sì belle prove, ed a considerare gli alunni in esso raccolti o da qui spediti in lontane regioni come loro sudditi devoti ed ossequiosissimi figli. Nell’obbedire agli impulsi della divina vocazione i missionari non intendono separarsi se non materialmente dai loro venerabili Pastori, né interrompere giammai quella dolce corrispondenza di affetto e di spirituale parentela, che nella sacra Ordinazione hanno con essi contratta.
Come essi non entrano in questa Casa se non col consenso scritto dei loro Vescovi, come non partono in nome proprio né di proprio talento, ma dopo aver maturate le prove dell’ispirazione divina in un Seminario, sotto una regola e con consiglio di Direttori dal loro Ordinario approvati; così confidano che non verranno mai meno per essi la premura e l’amore dei loro Pastori, dei quali si riguardano sempre come inviati, riportandone in pegno all’atto di loro partenza la Pastorale Benedizione».

Seminario missionario nato per fondare la Chiesa locale

Padre Tragella scrive (23):

«Se il 31 luglio fu il giorno natalizio del Seminario delle missioni estere, il 1° dicembre fu il giorno del battesimo solenne per mano dei Vescovi di tutta una provincia ecclesiastica. Si tratta di un avvenimento unico, fino allora, nel suo genere: unico come seminario di missioni, unico come provinciale… I Vescovi riconoscevano i loro sacerdoti missionari come diocesani, ritenendoli incardinati, e ciò non tanto per motivazioni più o meno giuridiche, quanto per un motivo sentimentale, che fa loro grandissimo onore. Essi stimavano così altamente l’apostolato tra gli infedeli, che si reputavano onoratissimi che dei loro sacerdoti vi prendessero parte; e volendo mostrare la loro ammirazione e il loro compiacimento si offrivano a considerarli sempre come loro diocesani e a calcolare gli anni passati in missione — qualora giusti motivi li avessero obbligati al ritorno — come anni passati al servizio della Diocesi stessa. Cosa certamente magnifica!».

Un altro storico del Pime, p. Costanzo Donegana, scrive (24):

«Volendo tradurre in termini attuali queste idee, si potrebbe dire che esse evidenziano una realtà di Chiesa, nella quale la missione era concepita e vissuta in forma di comunione. Lo testimoniano fra l’altro le lettere che i primi missionari partiti inviavano — oltre che ai loro parenti — all’Arcivescovo di Milano e agli altri Vescovi, ai sacerdoti e agli amici… in modo da coinvolgere il maggior numero possibile di persone, con l’evidente convinzione che la missione interessava tutti i cristiani. Non erano certamente quelli tempi in cui fosse sviluppata una teologia del laicato e della sua corresponsabilità nella Chiesa: tuttavia qualche germe qui lo si vede affiorare. L’espressione più esplicita la si trova nel ‘‘Saluto ai concittadini’’ che il beato Mazzucconi scrisse a nome dei compagni in occasione della loro partenza per l’Oceania (marzo 1852): ‘‘E se un giorno quei popoli nuovi, dopo aver ascoltato le parole del Signore (…) ci verranno intorno e ci domanderanno di quelli che abbiamo abbandonati per essi, noi parleremo di voi, noi racconteremo l’amore e l’interesse col quale ci inviaste in mezzo a loro, le preghiere e i voti coi quali ci accompagnaste nel nostro viaggio’’ (25). È chiara in queste parole la convinzione che i missionari sono mandati dalla Chiesa nel suo assieme, compresi i laici».

Il valore profetico del documento che è all’origine del Seminario lombardo per le missioni estere risulta anche da un altro fatto: 130 anni dopo, la S. Sede pubblica la «Postquam apostoli» (1980) che sembra parafrasare le espressioni usate dalla «Proposta» del 1850 (26). Questa ad esempio:

«La Chiesa particolare non può chiudersi in se stessa, ma, come parte viva della Chiesa universale, deve aprirsi alle necessità delle altre Chiese. Pertanto la sua partecipazione alla missione evangelizzatrice universale non è lasciata al suo arbitrio, anche se generoso, ma deve considerarsi come una fondamentale legge di vita. Diminuirebbe infatti il suo slancio vitale se essa, concentrandosi unicamente sui suoi problemi, si chiudesse alle necessità delle altre Chiese. Riprende invece nuovo vigore tutte le volte che si allargano i suoi orizzonti verso gli altri» (n. 14).

Tornando alla fondazione del Seminario lombardo per le missioni estere, la doppia dipendenza dell’Istituto dai vescovi lombardi e da Propaganda Fide è così delineata nell’atto costituzionale (27):

«1) L’Istituto dipende in primo luogo, e di sua natura dev’essere interamente ed assolutamente subordinato al Sommo Pontefice ed alla Sacra Congregazione di Propaganda; di là ha ricevuto e riceverà le facoltà opportune, di là aspetta l’ultima e definitiva sanzione di un regolamento, di là la designazione di una missione particolare e la patente per ciascuno dei missionari.
2) Queste relazioni col Sommo Pontefice e con la Sacra Congregazione la nostra Casa delle Missioni le manterrà, come finora ha fatto, per mezzo dell’Arcivescovo di Milano e dei suoi suffraganei da lui rappresentati.
3) Nessun soggetto sarà ammesso nella Casa delle Missioni estere, il quale non presenti documento scritto dell’assenso del proprio vescovo e non abbia riportata la sua benedizione.
4) Il superiore di questo seminario, scelto ordinariamente tra i missionari già provati nell’esercizio delle funzioni apostoliche, sarà pure nominato dall’Arcivescovo di Milano di concerto con i Vescovi della provincia.
5) L’Arcivescovo e i Vescovi comprovinciali saranno accuratamente informati con un rapporto che si presenterà loro ogni anno dell’andamento della casa, degli studi e in genere di tutto ciò che si riferisce al successo delle missioni.
6) L’Arcivescovo e i Vescovi, avendo per la casa quell’affezione che hanno per i loro seminari diocesani, si spera che si degneranno di onorare questo Seminario provinciale di qualche loro visita, per vedere sul posto lo stato delle cose e il loro progresso».

La dipendenza totale dal Papa e da Propaganda (sull’esempio delle missioni estere di Parigi) aveva un grande significato per le missioni del tempo. L’attività missionaria era svolta da ordini e congregazioni religiose, che anche nelle missioni portavano il carisma del fondatore, formavano sacerdoti e tenevano parrocchie e opere per la propria famiglia religiosa: la Chiesa locale aveva difficoltà a nascere.
Nel secolo XVII, la nascente congregazione di Propaganda Fide (fondata da Gregorio XV nel 1622) non aveva forze missionarie proprie e totalmente disponibili alla volontà della S. Sede, ma doveva dipendere da ordini e congregazioni, in parte anche compromessi con le potenze coloniali del tempo, Spagna e Portogallo. Ecco perché poco dopo (28) nasce a Parigi l’istituto delle missioni estere con tre caratteristiche ben precise: totale dipendenza dal Papa e da Propaganda Fide, fondazione della Chiesa locale nelle missioni, invio in missione di sacerdoti diocesani senza voti religiosi. Sono le stesse caratteristiche ereditate dal Pime di Milano e poi da una ventina di istituti nati nel nostro secolo (29).

In attesa di partire per l’Oceania (1850-1852)

Prima di partire per l’Oceania, i giovani aspiranti alle missioni trascorrono assieme un anno e mezzo di formazione (agosto 1850 – marzo 1852), sotto la direzione di mons. Giuseppe Marinoni: prima nella casa del Fondatore a Saronno e dal 1°giugno 1851 nel piccolo santuario di san Calocero a Milano (30).
Mons. Marinoni dà ai primi missionari una formazione severa e orientata ad una scelta radicale per Dio, in un ambiente familiare e di condivisione delle responsabilità. Si incomincia con la discussione e la stesura dell’orario giornaliero che comprendeva, oltre alle pratiche di pietà abituali per i sacerdoti (s. messa, rosario, visita al ss. sacramento, preghiere del mattino, di mezzogiorno e sera, recita del s. uffizio), due meditazioni al giorno: un’ora al mattino e mezz’ora la sera. E poi, studio delle scienze sacre, dopo cena la discussione di un «caso di morale» (una volta la settimana), lo studio dell’inglese e del francese, l’assistenza e l’istruzione catechistica dei ragazzi dell’oratorio e dell’orfanotrofio annessi alla casa del Fondatore; infine, il ministero sacerdotale nella chiesa di s. Francesco (e più tardi di s. Calocero).
Il suono della campana era alle 4,30 in estate, alle 5 in autunno e primavera, alle 5,30 in inverno. Alle nove di sera, dopo le preghiere e l’esame di coscienza, ci si chiudeva in stanza. Questo tirocinio di preghiera-studio-lavoro-vita comunitaria era svolto in un ambiente di povertà che allenava ai ben più pesanti sacrifici della vita missionaria, come vedremo.
Il Seminario lombardo per le missioni estere nasce da una radice evangelica autentica. I primi erano dei santi, a partire da Ramazzotti e Marinoni. Bisogna leggere gli appunti e le osservazioni che i giovani missionari fanno nei mesi in cui preparano la «Proposta» da presentare ai vescovi lombardi (agosto-ottobre 1850), per capire come la loro passione missionaria veniva non dal senso di avventura o di evasione, ma da un profondo e appassionato amore a Gesù Cristo, a cui consacravano con entusiasmo le loro giovani vite.
Fra gli aspiranti missionari e il direttore si stabilisce una «vita di famiglia», che consisteva non solo nel vivere sotto lo stesso tetto, nel dire le preghiere e nel prendere assieme i pasti, ma nel «mettere tutto in comune»: studio, discussioni, progetti di vita, affetti, amicizia. Lo spirito era quello di una «famiglia»: quando c’era un problema o una difficoltà, si pregava, si discuteva e si decideva in comune. Nei casi più importanti tutti dovevano esprimere il loro parere per iscritto.
C’era il senso vivo di appartenere ad una comunità di missionari: quei primi alunni andavano in missione come comunità, come Istituto, non come singoli missionari e tutto dipendeva dalla comunità, dai superiori. In una lettera ad un amico sacerdote, Giovanni Mazzucconi, dopo aver parlato della vita di comunità («si prega, si studia, si ride»), scrive:

«La grazia che Dio ci fece radunandoci assieme tanti d’un sol pensiero e con un solo desiderio, è una grazia grande che impone un dovere di gratitudine e di corrispondenza».

Questa vita comunitaria, con l’abitudine di mettere tutto in comune, continuerà nelle isole dell’Oceania e farà evitare lo scoraggiamento nell’ambiente difficilissimo che quei missionari dovranno affrontare.
In quei mesi di attesa prima della partenza, gli alunni lavorano, dopo la bozza già preparata da mons. Ramazzotti, alla stesura del primo testo base del giovane Istituto, in collaborazione con mons. Giuseppe Marinoni, p. Angelo Taglioretti e p. Taddeo Supriès. Così nasce la «Proposta di alcune massime e norme per l’Istituto delle missioni estere» che i vescovi di Lombardia approvano come progetto provvisorio di norme nel documento di erezione (1°dicembre 1850) e Propaganda approva nella stessa forma il 16 gennaio 1851.
Il secondo problema di cui discutono è la scelta della missione, ma di questo si dirà al capitolo II. Il tema però è strettamente collegato con la fondazione dell’Istituto, perché proprio nel travaglio per la scelta collegiale della prima missione risaltano le caratteristiche del Seminario lombardo per le missioni estere, com’era inteso all’inizio dal Fondatore e dai suoi primi alunni:
1) i missionari volevano avere una loro missione propria per rimanere uniti;
2) volevano andare «fra le popolazioni più derelitte e più barbare»;
3) ci andavano per fondare la Chiesa e non l’Istituto;
4) dimostrano obbedienza totale e cordiale al Papa, anche quando sembra orientarli ad un altro compito nella Chiesa, diverso da quello scelto fin dall’inizio, cioè la missione fra i non cristiani; oppure disperderli (come farà dal 1854 in avanti) in tante missioni a servizio di ordinari non propri;
5) infine, i primi missionari realizzano in Oceania una vita comunitaria esemplare: non vanno a fare ciascuno una propria missione, ma affermano con la loro vita che la missione affidata dalla Santa Sede è responsabilità del Seminario missionario a cui appartengono.

NOTE

[1] La congregazione di Propaganda Fide fu fondata da Gregorio XV nel 1622 per dirigere le missioni cattoliche fra i non cristiani. Oggi si chiama «Congregazione per l’evangelizzazione dei popoli».
[2] GIACOMO MARTINA, «Una Chiesa più pura e più giovane», nel volume «Storia della Chiesa», Centro «Ut unum sint»,Roma 1980, pagg. 417segg.
[3] Si veda: «Piemonte missionario», fascicolo redatto da Silvio Beltrami ed edito a cura degli uffici missionari diocesani del Piemonte, Torino 1959.
[4] Nel 1646 a Napoli don Sansone Carnevale fondò la «Congregazione delle apostoliche missioni» per le missioni agli infedeli: venivano accettati sacerdoti diocesani e studenti di teologia e filosofia. Una decina di missionari vennero offerti a Propaganda Fide, ma la terribile peste del 1656, che fece 250.000 vittime a Napoli, colpì anche il fondatore e alcuni missionari che si preparavano alla partenza. In seguito la congregazione si orientò alle «missioni al popolo», anche se continuò a mandare alcuni missionari all’estero. Vedi: FERDINANDO GERMANI, «Un primato missionario del clero secolare napoletano», «Venga il Tuo Regno», novembre 1961.
[5] GIOVANNI BATTISTA TRAGELLA, «Le Missioni Estere di Milano nel quadro degli avvenimenti contemporanei», vol. I (1850-1861), Milano 1950, pag. 26.
[6] Nel 1870 l’Italia aveva circa 25 milioni di abitanti e 100.000 sacerdoti!
[7] CARLO SUIGO, «Pio IX e la fondazione del primo Istituto missionario italiano», Pime, Roma 1976 (estratto da vari fascicoli del 1975 e 1976 della rivista «Pio IX»), pagg. 148 (pagg. 47-51).
[8] Prima e dopo la fondazione del Seminario missionario da parte di Ramazzotti, Supriès è suo ascoltato consigliere.
[9] G.B. TRAGELLA, op. cit., vol. I, pag. 20.
[10] Angelo Taglioretti era nato a Milano nel 1811, sacerdote nel 1834 e poi oblato di Rho, predicatore efficace, direttore di coscienze e personalità di primo piano nella diocesi ambrosiana. Era amicissimo di Ramazzotti e suo principale consigliere: fu Taglioretti a consigliare Ramazzotti a chiedere al card. Tosti Marinoni e poi a convincere questo ad accettare la proposta. Si dedicò con passione alla fondazione del Seminario missionario e continuò ad aiutare il primo direttore mons. Giuseppe Marinoni. Morì nel 1899. Mons. Giacomo Scurati, primo storico dell’Istituto ambrosiano, definisce Taglioretti «coistitutore del Seminario per le missioni estere» («Memorie dell’Istituto», manoscritto, pag. 455); secondo p. Tragella ha avuto «una parte di primissimo piano nella fondazione e direzione dell’Istituto delle missioni estere, che senza di lui non sarebbe concepibile» («Le Missioni Estere di Milano», Vol. I, Pime, Milano 1950, pag. 24).
[11] Per i cenni biografici di Marinoni vedi il capitolo III (nota 1).
[12] Si veda la «Positio» per la sua causa di canonizzazione scritta da FRANCESCA CONSOLINI, Roma 1999, pagg. 610. Inoltre: PIETRO CAGLIAROLI, «Mons. Angelo Ramazzotti», Rovigo 1862, pagg. 334; ALFONSO BASSAN, «Da avvocato a patriarca, Cenni biografici di mons. Angelo Ramazzotti», Pime, Milano 1961, pagg. 208; ALBERTO MORELLI, «La spiritualità missionaria del Patriarca Ramazzotti, fondatore del Pime», Pime, Milano 1961, pagg. 40; «Numero speciale per il centenario di mons. Angelo Ramazzotti», «Le Missioni Cattoliche», dicembre 1961, pagg. 361-436. È in preparazione una nuova biografia ad opera di Angelo Montonati.
[13] FRANCESCA CONSOLINI, «Mons. Angelo Ramazzotti, Fondatore del Pime», «Il Vincolo», aprile 1997, pagg. 39-48.
[14] Per diretto interessamento di Ramazzotti vennero modificate le regole delle canossiane, per aprirle alle missioni, e aperto un noviziato missionario a Pavia.
[15] PIETRO CAGLIAROLI, op. cit., pag. 104.
[16] «Mons. Angelo Ramazzotti Fondatore del Pime, nel ricordo del cardinale Angelo Giuseppe Roncalli», Pime, Milano 1960, pagg. 36 (citaz. a pag. 21). Il 3 marzo 1958 il card. Roncalli patriarca di Venezia, porta la salma di mons. Ramazzotti a Milano, dove viene tumulata nella chiesa di s. Francesco Saverio in via Monterosa.
[17] «Proposta di alcune massime e norme per l’Istituto delle Missioni Estere», Milano, settembre 1851. Questo documento era stato presentato ai vescovi lombardi nell’ottobre 1850 come «Proposta» (lettera di Marinoni all’arcivescovo di Milano del 4 ottobre), da essi approvato con alcune piccole modifiche il 1° dicembre 1850 e stampato nel settembre 1851.
[18] Nel documento firmato dai vescovi il 1° dicembre 1850 si legge che, nella «Pia Casa» (di Saronno) «si osserverà quel progetto di regole che già ora è in corso e che è stato assentito dall’Autorità civile e da noi pure temporaneamente approvato, finché emani sul medesimo il giudizio della S. Congregazione di Propaganda».
[19] G.B. TRAGELLA, op. cit., vol. I, pag. 70.
[20] Nella prefazione al volume di PIERO GHEDDO: «Mazzucconi di Woodlark», Emi, Bologna 1984, pagg. 277.
[21] Partendo dal centenario della «Proposta», nel 1951 p. Paolo Manna pubblica «Le nostre Chiese e la propagazione del Vangelo» (la seconda ediz. più ampia nel 1952): riprende l’idea centrale della «Proposta», che ogni diocesi e ogni provincia ecclesiastica abbia il suo «seminario missionario di clero diocesano». Questo testo di p. Manna è all’origine della «Fidei donum» di Pio XII (1957) e della «Postquam Apostoli» (congregazione per il clero, 1980).
[22] AME, vol. III, pagg. 167-169.
[23] G.B. TRAGELLA, op. cit., vol. I, pagg. 67-68.
[24] COSTANZO DONEGANA, «Una nuova concezione della missione: il Pime», «Humanitas», Brescia 1984, n. 2, pagg 282-291. GIANNI COLZANI, «La nascita del Pime e la Chiesa italiana: un fatto, un auspicio», «Mondo e Missione», gennaio 1984, pagg. 27-30.
[25] «Scritti del servo di Dio p. Giovanni Mazzucconi», a cura di Carlo Suigo, Milano, Pime 1965, pag. 191.
[26] La «Postquam apostoli» è un documento della congregazione per il clero (25 marzo1980) dal titolo significativo: «Norme direttive per la collaborazione delle Chiese particolari fra di loro e specialmente per una migliore distribuzione del clero nel mondo». Si veda l’ampio commento di COSTANZO DONEGANA, «Comunione e missionarietà delle Chiese», «Mondo e Missione» 1982, pagg. 389-415.
[27] «Proposta e alcune massime di norme per l’Istituto delle missioni estere», ristampa del settembre 1961 (Roma, direzione generale del Pime) del testo stampato a Milano nel settembre 1851, citaz. alle pagg. 19-20.
[28] Le «Missions Etrangères» di Parigi nascono nel 1659 su iniziativa dei vescovi francesi per l’invio di clero diocesano in missione, in totale dipendenza da Propaganda Fide, con lo scopo di fondare Chiese locali.
[29] Gli «Istituti esclusivamente missionari senza voti» (cioè non religiosi, definiti «Società di vita apostolica» dal nuovo Codice di diritto canonico del 1983), di diritto pontificio dipendenti da Propaganda Fide sono 15: dopo gli istituti di Parigi e di Milano, vengono la Società per le Missioni Africane (SMA, Lione 1856), i missionari di Mill Hill (Inghilterra 1866), i Padri Bianchi (Algeri 1868), l’istituto di Burgos (Spagna 1899), di Maryknoll (USA 1911), di San Colombano (Irlanda 1917), di Scarboro (Canada 1918), di Quebec (Canada 1921), di Bethlehem (Svizzera 1921), di Yarumal (Colombia 1927), di Saint Patrick (Irlanda 1930), di Cucujàes (Portogallo 1930), di Guadalupe (Messico 1939).
Nel dopo-Concilio sono nati altri istituti missionari di clero secolare, ancora di diritto diocesano: in Brasile, India (due), Vietnam del Sud, Corea del Sud, Thailandia, Filippine, Argentina.
[30] Il 26 aprile 1851 l’arcivescovo Romilli aveva staccato il santuario di san Calocero dalla parrocchia della Basilica di Sant’Ambrogio per affidarlo ai missionari. Il santuario venne distrutto dalle bombe nell’ultima guerra mondiale: rimane ancora la via San Calocero. Lunghe e laboriose le trattative di Marinoni per ottenere il santuario di s. Calocero, per le difficoltà che opponeva la fabbriceria di s. Ambrogio e i sospetti degli austriaci (si veda la documentazione in «Inizi del Seminario lombardo per le missioni estere, Documenti d’archivio, voll. I e II», Ufficio storico del Pime, Roma 1995). La casa di Saronno venne abbandonata solo il 20 marzo 1856 e la sede di Milano ottenuta gradualmente: prima la chiesa di s. Calocero il 1°giugno 1851; poi, dopo lunghe trattative, la casa e l’orto; infine, dopo l’acquisto di un altro orto e la costruzione del nuovo fabbricato per il seminario, terminata nel 1856, la proprietà definitiva e l’abbandono di Saronno.

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