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Considero una grazia di Dio la richiesta che l’amico fratel Albino Vezzoli mi ha fatto, di scrivere la Prefazione alla presentazione dei “Fratelli della Sacra Famiglia”. Il volume racconta l’origine e il cammino della sua Congregazione religiosa e riprende, a distanza di duemila anni, la narrazione degli “Atti degli Apostoli”, dove si legge quanto Luca scrisse dopo il primo viaggio di Paolo e Barnaba: “Riunirono la comunità e raccontarono tutto quello che Dio aveva fatto per mezzo loro e come aveva aperto ai pagani la porta della fede”. La “Storia sacra”, iniziata da Cristo e continuata dagli Apostoli, è ancora attiva anche oggi per mezzo dei Fratelli della Sacra Famiglia. Non solo da loro, naturalmente, ma anche da loro e da tutti quelli che lavorano per il Regno di Dio e la Chiesa di Cristo.

Il fondatore di questa Congregazione, il Venerabile Gabriele Taborin (1799-1864), nasce alla fine del Settecento, il secolo dell’Illuminismo e della Rivoluzione francese, quando la Chiesa cattolica toccava uno dei punti più bassi della sua storia millenaria, con due Papi, Pio VI e Pio VII, presi in ostaggio da Napoleone. Tanto che Voltaire, punta di diamante dell’Illuminismo, avversario di ogni religione rivelata e specialmente polemico contro i cristiani (“Schiacciate l’infame!” diceva di Gesù Cristo), prevedeva l’estinzione della Chiesa cattolica nel tempo della sua generazione. Da Roma gli rispondeva il cardinale Rospigliosi, anche lui amante della
battuta urticante: “Se in duemila anni Papi, vescovi e preti non sono riusciti a estinguere la Chiesa, non ci riuscirà nessun altro”.
L’Ottocento è il secolo della vigorosa ripresa della Chiesa, che dimostra una vitalità impensabile, come già nel Duecento e nel Cinquecento. Dal Popolo di Dio nascono fermenti di rinnovamento, rappresentati soprattutto dalle Congregazioni religiose fondate: 37 sotto il Pontificato di Gregorio XVI (1831-1846) e 40 sotto quello di Pio IX (1846-1878). Congregazioni che avevano due caratteristiche innovatrici: l’educazione dei giovani e lo zelo missionario. Alla morte di Pio IX la Chiesa, nonostante la perdita dello Stato Pontificio (anzi, forse proprio grazie a quello), si ritrova libera dai compromessi con i governi “protettori” e pronta per affrontare i tempi e i problemi nuovi del secolo XX.
Gabriele Taborin e i suoi “Fratelli della Sacra Famiglia” fanno parte di questa vigorosa “rinascita” della Chiesa. Nati nel 1838 con i primi sei membri, e subito riconosciuti dal loro vescovo di Belley, i Fratelli sono approvati da Gregorio XVI nel 1841, in occasione del primo viaggio a Roma di Taborin, che riceve dal Papa il titolo di “catechista apostolico”. La nuova Congregazione conosce in pochi anni un’accelerazione insolita e si può dire prodigiosa. Entrano in Savoia e sono approvati dal Re Carlo Alberto di Sardegna nel 1842, che li dispensa dal servizio militare. Nel 1850, l’incontro di Gabriele con Pio IX, che gli dà il decreto dell’approvazione pontificia, e poco dopo col Curato d’Ars, sono due fatti che aiutano i Fratelli ad acquisire (in quei tempi!) una dimensione internazionale: già nel 1854 aprono la loro prima casa negli Stati Uniti!
Gabriele Taborin muore nella casa di Belley nel 1864. Dopo 127 anni, il 14 maggio 1991 Giovanni Paolo II lo dichiara ”Venerabile”. Cioè, la Chiesa, dopo severo processo canonico, riconosce che Gabriele “ha praticato le virtù evangeliche in modo eroico”. Si spalanca così la via per la beatificazione, se un autentico “miracolo”, cioè una guarigione non spiegabile dalla scienza umana, verrà a testificare la sua santità e potenza di intercessione presso Dio. Le cause che giungono a questo punto richiedono molta preghiera personale e comunitaria e far pregare le persone amiche per ottenere guarigioni difficili da ottenere con mezzi umani.

Il seme che Silvestro ha gettato era un seme di Vangelo e continua a produrre frutti. I suoi “Fratelli della Sacra Famiglia” sono presenti in 15 paesi di quattro continenti (esclusa solo, per il momento, l’Oceania): una sessantina di comunità in Europa (Francia, Spagna, Italia), Africa (Burkina Faso, Costa d’Avorio, Benin), America (Argentina, Brasile, Colombia, Ecuador, Messico, Uruguay) e Asia (Filippine, India e Indonesia).
Una storia tormentata, come quella di tutte le Congregazioni religiose. Basti dire che in Francia, dal 1838 ad oggi, i fratelli hanno aperto circa duecento case che poi, per la crisi religiosa della Francia, si sono ridotte a cinque, fra le quali è rimasta la prima a Belley e quella di Ars, il paese del santo Curato che aveva chiamato il fondatore Gabriele Taborin a costruirvi una scuola e aiutare nella pastorale parrocchiale. Francia e Italia (8 case) costituiscono oggi un’unica provincia religiosa, compresa la direzione generale a Roma. Interessante anche notare che il paese dell’America Latina che ospita il maggior numero di comunità dei Fratelli è l’Uruguay (nove), il primo dell’America Latina nel quale sono arrivati (1889) e il più laicizzato. Sono stato in Uruguay nel 1992 e i missionari che mi ospitavano mi dicevano che le scuole (fino alla pre-università) dei Fratelli sono molto stimate.

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Nel 1985, l’anno della grande siccità nel Sahel, alcuni giornali mi avevano mandato a visitare quei posti come giornalista. Sono capitato in Burkina Faso e mi hanno portato a visitare le due comunità dei Fratelli della Sacra Famiglia, Gundì e Nanorò, che avevano formato i giovani africani a trattenere l’acqua, costruire piccole dighe, scavare canali e pozzi, coltivare il deserto, che avevano fertilizzato con letame e terra buona, addirittura l’uva e verdure ancora sconosciute (pomodori, carote, coste, zucche, zucchini, melanzane, ecc.). Ma quel viaggio l’ho ricordato volentieri perché ho ammirato lo spirito delle due comunità di Fratelli, la cordialità nei rapporti, la dedizione al loro lavoro, il senso di ottimismo fattivo che si sentiva nei loro discorsi: la situazione del popolo burkinabé era misera, ma con l’aiuto di Dio, si poteva migliorarla.
In questo volume si parla ampiamente di fratel Silvestro Pia (1920-2003) e della sua fattoria-scuola di Gundi. La sua testimonianza mi è parsa subito eccezionale, oltre che per l‘intelligenza e la dedizione nel lavoro, per il grande amore alla preghiera e all’adorazione eucaristica e la predilezione che manifestava per i più piccoli e poveri. Silvestro era un uomo di fede e con grande carisma personale. Non era un tecnico dello sviluppo e nemmeno un agronomo, ma un contadino piemontese che aveva consacrato la sua vita a Dio e al popolo fra il quale era stato mandato. La Francia l’aveva nominato “Commendatore della Legione d’Onore”, ma lui non lo diceva a nessuno; in Burkina, ai posti di blocco, bastava dire che si andava da fratel Silvestro che tutte le sbarre si alzavano senza pagare mance. Ripensandoci, credo che la sua persona, la sua figura è l’immagine concreta di chi sono i Fratelli della Sacra Famiglia. Oggi naturalmente lavorano con maggior professionalità, ma ho visto con piacere, anche nelle due volte che sono stato da loro a Chieri, che hanno mantenuto lo spirito di Silvestro e del fondatore Gabriele Taborin.

A Gundì, nel 1985, i Fratelli che erano con Silvestro mi parlavano della fama che si era acquistato in quasi trent’anni da che era sul posto (dal 1958) e di come la sua opera era apprezzata anche a livello governativo nel Burkina. Mi dicevano:
“Quando vengono personalità straniere, anche per dare aiuti, a visitare il Burkina in questi tempi di grande siccità, il governo manda questi ospiti in elicottero nelle nostre due fattorie-scuola di Gundì e di Nanorò. Fin dove arriva il nostro insegnamento e influsso, anche se non piove c’è acqua e si continua a coltivare. Abbiamo insegnato a trattenere l’acqua che cade nei brevi periodi di piogge torrenziali, a fare laghetti artificiali, canali, piantare alberi contro la sabbia del deserto; e poi a mantenere funzionanti i pozzi che tirano su l’acqua anche da più di 50 metri. Nel Burkina quasi ogni villaggio ha il suo pozzo, spesso donato da governi o Ong stranieri. Il dramma è che, scavato il pozzo e insegnato come farlo funzionare, i donatori se ne vanno e la grande maggioranza dei pozzi sono fermi. Non c’è manutenzione e non sanno come riparare quando qualcosa si rompe”.

Ho visitato anche la scuola di Nanorò, dove c’erano 22 volontari e volontarie italiani in un “campo di lavoro”, che rimanevano più d’un mese in Africa per costruire un acquedotto e un centro di promozione femminile. Un’altra cosa che ricordo bene sono le testimonianze raccolte tra questi giovani italiani, venuti in Africa per un mese o più di lavoro gratuito. Ne cito solo alcune, che danno l’idea dello spirito che si respira nella comunità delle fattorie-scuola dei Fratelli.
“Quello che più mi ha colpito – diceva Fabrizio Sperandio di Macerata – è la grande cordialità della gente con la quale lavoriamo. Si salutano sempre, se uno sta male sembra che stiamo male tutti. C’è una solidarietà eccezionale che nella nostra civiltà consumistica in Italia non esiste più. Sono sposato e ho una bambina di quattro anni. Tornerò in Africa e porterò anche mia moglie con la bambina”. “E’la seconda volta che vengo qui – diceva Claudio Girardi di Torino – coltivo fiori a San Mauro torinese, ma qui faccio un po’ di tutto… Sono venuto per un motivo di fede, per aiutare i missionari. E’ un’esperienza che mi ha maturato”.
“Ho chiesto due mesi di aspettativa alla mia ditta – dice Giovanni Galavotti di Soliera (Modena), 29 anni – e mi costa parecchio perchè ci paghiamo il viaggio e sto due mesi senza stipendio. Ma ne vale la pena. Non c’è come il lavoro fatto gratis per gli altri che ti dà soddisfazione. Quel che perdi oggi, il buon Dio te lo fa guadagnare domani. Ho già lavorato al Cottolengo e in altri campi di lavoro in Friuli e in Irpinia dopo i terremoti. Le mie ferie le faccio quasi sempre così”. “Lavoro in un cantiere navale a Monfalcone – diceva Tiziano Vinicio, sposato con un bambino di Udine – ed è la quarta volta che vengo. All’inizio un po’ per curiosità e un po’ per aiutare. Poi
mi ha preso il mal d’Africa e sono rimasto ammirato degli africani. La prima volta, nel 1977, siamo stati organizzati e inviati dalla diocesi di Gorizia per costruire la chiesa di Nanorò. La gente del posto, con tutti i problemi che aveva, come prima costruzione che voleva per il villaggio ha indicato la chiesa”.

Ho citato queste testimonianze, per dire ai giovani d’oggi che quanto hanno sperimentato trent’anni fa altri giovani italiani come loro vale anche per il nostro tempo. La gioia di consacrare la vita a Dio e di lavorare gratuitamente per un popolo povero e cordiale, danno pienezza e serenità di vita anche oggi. In questo volume ci sono alcuni capitoletti che i giovani dovrebbero leggere:

IV – Come si diventa Fratelli, cosa si fa da Fratelli

IX – Il Cam e il Gruppo Missionario

X – I Campi di Lavoro e di Amicizia

XIII – Condividere carisma e spiritualità dei Fratelli… si può!

XIV – Messaggio dei Fratelli ai giovani

Cari amici lettori e lettrici, specialmente voi che avete la vita da spendere e non sapete ancora cosa farete da grandi. Se, dopo aver letto queste pagine il Signore vi chiama, non ditegli di no. Non vi chiede qualcosa, ma vi fa una grande grazia, vuol dare un senso pieno e forte alla vostra vita: la serenità e la gioia di seguire Gesù. Proprio in questo nostro tempo, quando molti non sanno perchè vivono e magari giungono ai 40 e 50 anni, senza aver chiaro lo scopo, la meta del loro vivere. Donare la vita al Signore e al prossimo più bisognoso rappresenta la miglior realizzazione della vostra persona e personalità.
Rispondere alla chiamata di Dio è un atto di fede e di amore. All’origine della vocazione missionaria c’è la fede, il fidarsi di Gesù che ancora chiama il giovane uomo o la giovane donna a seguirlo, per testimoniare e annunziare il Vangelo a tutti gli uomini. Gli Apostoli che seguivano Gesù non avevano ancora chiaro dove li avrebbe portati. Gli volevano bene, credevano in Lui, lo seguono ad occhi chiusi e la loro fede è all’origine ella Chiesa e della liberazione di tutta l’umanità dal peccato e dalla morte.
Noi oggi siamo abituati diversamente. Prima di fare una scelta, specie quella determinante per la nostra vita, vogliamo sapere, conoscere, ragionare se mi conviene o no, insomma avere chiare le idee prima di scegliere. Ma quando Dio chiama, ha già scelto Lui per noi e la sua scelta è per il nostro vero bene, perché Lui ci conosce fin da quando eravamo nel seno materno, come dice a Geremia: “Prima di formarti nel seno materno ti ho conosciuto, prima che tu uscissi alla luce io ti ho scelto” (Ger. 1, 5).

Quando rifletto su tutto questo e lo applico alla mia piccola vita, mi commuovo, il mio cuore è inondato di riconoscenza a Dio e di gioia. Lo dico soprattutto ai ragazzi e ragazze che ancora debbono fare una scelta per la vita: se Dio vi chiama, non ditegli di no. Perché è bello vivere consacrati a Dio, a Gesù Cristo, alla Chiesa, fare il missionario, la missionaria. Chi consacra a Dio la sua vita non ha le preoccupazioni degli altri uomini: la famiglia, i figli, il denaro, il lavoro, la carriera, la casa, il futuro. Deve preoccuparsi di una cosa sola, di amare e imitare Gesù Cristo e poi testimoniarlo agli altri, specialmente attraverso l’amore ai più piccoli e poveri. Non va mai in pensione, non ha problemi di trovare un lavoro o di essere disoccupato, non deve pensare alla sua carriera, ai soldi, alla vecchiaia, nemmeno alla sua salute. Tutta la sua vita è nelle mani di Dio.
Certo, le croci ci sono per tutti, le rinunzie a volte fanno soffrire, ma in tutta la vita ti senti amato, benvoluto, protetto da Dio, coccolato, guidato, confortato, perdonato; e poi amato dalla gente. Pregate e dite al Signore come il profeta Samuele: “Parla, o Signore, il tuo servo ti ascolta” (Sam., 3, 10). E poi seguitelo, perché nel Vangelo si legge: “Chi per amore mio lascia padre, madre, sorelle, fratelli, figli e campi, riceverà il cento per uno in questa vita e nel mondo futuro la vita eterna” (Mar. 10, 29-31). L’ha detto Gesù. Io mi sono fidato e, per grazia di Dio, a 83 anni mi sento un uomo realizzato e felice.

Piero Gheddo

I Fratelli della Sacra Famiglia – Sorsi di Vita”, di Domenico Agasso jr., San Paolo 2012, pagg. 143.

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