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Mons. Pedro Zilli è un missionario del Pime, nato nel 1954 in Brasile (Paranà), sacerdote e missionario in Guinea Bissau dal 1985, poi superiore regionale del Pime e primo vescovo di Bafatà dal 2001 quando è stata costituita questa seconda diocesi della Guinea Bissau. Lo intervisto a Bafatà nella sua piccola e modesta casa episcopale.

     Dimmi un po’ quali sono i problemi del vescovo di  Bafatà.

     Sono tanti e potrei enumerarli uno per uno. Ne ricordo uno che a volte è dimenticato: l’economia. La missione costa e costa molto. L’idea è di rendere a poco a poco ogni diocesi e parrocchia autonoma anche in senso economico. Ma com’è possibile in un paese poverissimo come la Guinea Bissau?

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    A volte si discute e vengono fuori idee già sperimentate impossibili o molto difficili da realizzare: ad esempio, allevamento di maiali e di galline. Sarebbe una cosa ottima, ma chi lo fa andare avanti? Qui manca il materiale umano che sappia gestire un’azienda del genere. I migliori e più formati, in genere vivono all’estero. Qui sarebbe anche difficile per un locale emergere sugli altri.

    Noi due vescovi della Guinea abbiamo preparato un piccolo manuale per una maggior autonomia economica delle nostre diocesi. L’idea è che le comunità locali debbono proporsi di tirar fuori delle risorse locali.

    Ma qui, la povertà estrema della gente, che in grandissima maggioranza non ha nemmeno il necessario per vivere, non ti dà niente. Nelle feste portano qualche dono in  natura, ma non soldi che non hanno nemmeno loro. Nella mia parrocchia di Ibiporà in Brasile (Paranà), la gente locale sovveziona la Chiesa in modo adeguato, ma la distanza in campo economico fra Ibiporà e Bafatà è immensa, abissale.

     Per adesso in Guinea abbiamo tante parrocchie affidate a sacerdoti stranieri, missionari, che hanno amici all’estero. Ma i missionari diminuiscono e le parrocchie diocesane con clero locale non possono sopravvivere senza aiuti dall’estero. D’altra parte, il governo stesso vive sugli aiuti esterni.

    Noi dobbiamo ringraziare il Signore e tanti benefattori per quello che ci danno. Ci vuole certo una sempre maggior povertà, ma ci sono strumenti indispensabili per un lavoro pastorale adeguato. Ad esempio, l’auto. Per visitare i villaggi e le comunità disperse ci vuole l’auto, ma l’auto costa molto in tutti i sensi, anche per la manutenzione, con queste strade!

    Le gente è buona e generosa, quando ci sono le feste ti mandano tanti doni in natura, tutta roba da mangiare.

    Tu ricevi qualcosa dal Brasile?

    Sì, soprattutto dalla mia parrocchia di Ibiporà, dove il Pime lavora da più di 50 anni e ha creato questa mentalità di aiutare la Chiesa e il parroco, ma anche in altre parrocchie si sta creando questa mentalità e debbo dire che da quando sono in Africa, il Brasile ha dato personale alla Chiesa guineana, specialmente suore, che hanno portato la mistica della comunione, del coinvolgimento del popolo nelle opere della Chiesa. Il Brasile si sta aprendo molto bene alla missione in Africa. Nel 2001, quando sono stato consacrato vescovo a Ibiporà, poco dopo mi telefona l’arcivescovo di Londrina, mons. Cavallin che dice di aver trovato una congregazione femminile brasiliana pronta a venire in Guinea con me. Ne ho ringraziato il Signore, adesso sono qui in  quattro, hanno avuto difficoltà di adattamento all’inizio, ma adesso sono contente e lavorano bene a Gabù. E’ la prima volta che quella congregazione ha aperto una missione in Africa.

     Sempre da Londrina è venuto proprio in questi giorni padre Cesar, diocesano di Londrina, un bel tipo giovane e intelligente, che va ad insegnare diritto canonico nel nostro seminario maggiore della Guinea a Bissau. E’ interessante notare che il suo arcivescovo di Londrina, dom Albano, l’ha lasciato venire in Africa all’inizio di dicembre, prima che qui iniziasse l’anno scolastico, dicendogli: “Non preoccuparti, per Natale vado io nella tua parrocchia a sostituirti”. Questo dimostra che il Pime in Brasile e la mia nomina a primo vescovo brasiliano in Africa, stanno animando bene quella Chiesa, anche con le riviste Missào Jovem e Mundo e Missào.

    Anche con la CNBB (Conferenza episcopale brasiliana) ho un buon rapporto, mi aiuta e tra l’altro si è assunta l’impegno di pagare i viaggi dei padri brasiliani che vengono in Guinea. Io considero un mio dovere di cercare di creare questi rapporti con la Chiesa brasiliana, per aiutare la mia Chiesa d’origine a crescere nella missionarietà e per aiutare il Pime che è in Brasile.

     Cosa pensi della proposta che il Pime ha ricevuto da un vescovo dell’Angola, che è italiano, di mandare missionari del Pime in Angola?

    Conosco questo vescovo italiano, di Verona, e la sua proposta è interessante, perché la  Chiesa angolana è lusofona e noi della Guinea abbiamo già buoni rapporti con la Chiesa dell’Angola, dove i cattolici sono piu del 40%. Abbiamo già qui un bel gruppo di suore e alcuni sacerdoti angolani. L’Angola manda missionari in Africa, perché ha tante vocazioni. Se il Pime va in Angola io sono contento, avrebbe senza dubbio vocazioni e aiuterebbe ancora di più la Chiesa locale ad andare in missione.

    Io penso che non poche Chiese in cui il Pime ha lavorato, come quella del Brasile, sono strutturate e l’Istituto deve aiutarle ad andare in missione. Se sono qui in Guinea, debbo ringraziare il Pime, dopo che il buon Dio. Sono anche convinto che la Chiesa del Brasile potrà fare molto di più per la missione alle genti. L’Angola è in contatto col Brasile e se ci fosse il Pime si creerebbe una triade di paesi di lingua portoghese che servirebbero anche la crescita dell’Istituto in campo internazionale.

     Qui nella tua diocesi di Bafatà, siete ancora al primo annunzio? Siete proprio ad gentes o no?

     Assolutamente sì, nella capitale Bissau forse meno, ma qui vai in molti villaggi in cui non c’è assolutamente nessun segno cristiano, nessuna impronta di cristianesimo.  Moltissimi non hanno mai avuto nessun annunzio cristiano, nessuna possibilità di avvicinare una chiesa, un prete cristiano. Anche qui in Guinea, se avessimo il personale e i mezzi economici relativi, il lavoro sarebbe immenso fra i non cristiani ben disposti ad ascoltare e ad entrare  nella Chiesa.

    Dammi le cifre della tua diocesi di Bafatà

    Gli abitanti penso siano 300-400.000, i cattolici parlano di 30.000. La Diocesi di Bissau, molto più piccola della nostra, ha però più di 700.000 abitanti, a causa di Bissau molto popolata (dicono 350.000) con più di 100.000 cattolici. La diocesi di Bafatà è 24.000 kmq., Bissau 12.000. Bafatà sento parlare di 40 o 50.000 abitanti, ma credo sia più vera la prima che la seconda cifra.

     I miei preti diocesani sono sette, religiosi o missionari pure sette: due del Pime, due della diocesi di Verona, un francescano, un Giuseppino del Murialdo e due Spiritani a Gabù, un angolano e un francese. Quest’anno abbiamo aperto due parrocchie, una qui a Bafatà, dedicata a san Daniele Comboni con i due preti veronesi, e una a Gabù, santa Isabel, quest’ultima preparata a lungo dal Pime. Oggi Gabù ha una bella comunità, ma non c’era mai stato né prete né suore residenti.

     Le suore in diocesi sono circa 35, anch’esse di varie nazionalità. Abbiamoquattro seminaristi in filosofia e teologia e diversi nel seminario minore, sempre a Bissau.

     Ci sono conversioni nella tua diocesi? I cristiani da dove vengono?

     Abbiamo fatto un incontro a Bissau in novembre, fra le diocesi di Bissau e di Bafatà, studiando assieme la proposta del catecumenato. Abbiamo visto che i cristiani sono battezzati ma poi mancano di un minimo di convinzioni cristiane. Si sono fatti molti battesimi, ma probabilmente era meglio aspettare ancora un po’. Abbiamo dato delle direttive per il pre-catecumenato, abbiamo sperimentato che, se non si cerca di migliorare la pre-evangelizzazione, facciamo un mucchio di cristiani, ma poi di cristiani veri ne abbiamo pochi. Mons. Camnate, vescovo di Bissau, ha fatto una predica famosa in cui diceva tra l’altro: abbiamo molti battesimi in un anno a Bissau, ma quanti matrimoni? Pochissimi.

    Un altro punto che vogliamo affrontare è quello dei catechisti. Alcuni sono catechisti solo per modo di dire, sanno poco di cristianesimo e non sono regolari nel matrimonio, non danno buon esempio.

     Ma anche così come sono, formati male, noi diciamo spesso in Italia che nelle vostre giovani Chiese avete dei cristiani entusiasti nella fede: magari sanno poco di dottrina e rimangono peccatori, però quando incontrano Cristo capiscono che Cristo cambia la loro vita, la umanizza, come umanizza la famiglia, il villaggio; quindi sono entusiasti nella fede e ne parlano spontaneamente. E’ vero questo?

    Sì, in parte è vero, però manca una tradizione cristiana e la tradizione arriverà col tempo.  Qui da noi i cristiani devono vivere in un contesto avverso, un po’ sono presi in giro, un po’ sono trascurati, un po’ sono senza lavoro e hanno il problema prioritario della sopravvivenza. Quindi vivere da cristiani qui richiede un vero eroismo.

    Contesto non favorevole in che senso?

    L’ambiente pagano che li circonda fa di tutto per distoglierli dalla vita cristiana. Anche se non sempre direttamente, il tipo di vita che il contesto pagano propone è radicalmente contrario alla vita cristiana: devono prendere una seconda moglie, devono usare il potere che hanno, piccolo o grande che sia, per arricchire loro e le loro famiglie, devono vendicarsi dei torti ricevuti e via dicendo.

    Io vedo che qui a Bafatà, da una settantina d’anni c’è una presenza cristiana, prima i francescani, poi il Pime, si è creata una certa tradizione cristiana che incomincia a cambiare il contesto e le situazioni. Vedi la differenza quando vai in altre parti della diocesi, in altre cittadine o grossi villaggi in cui ci sono cristiani ma battezzati di recente e senza tradizione: si vede la diversità! Questo è bello, perché incontri persone che hanno capito veramente cos’è la Chiesa, cosa vuole la Chiesa, cosa vuol dire essere cristiani. Quell’uomo col quale abbiamo fatto una foto, è un cristiano giovane, uomo intelligente che incomincia a capire il valore della fede e della vita cristiana. Pochi giorni fa ero seduto qui fuori e lui si è seduto accanto a me e mi ha detto: “Vescovo, io vorrei essere più buono e non ci riesco, vorrei essere giusto e non ci riesco”. Quindi ci sono cristiani che capiscono cos’è il cristianesimo e cercano di vivere il Vangelo.

     Sono stato in Mali e padre Arvedo Godina, padre bianco e direttore del catechistato del Mali, mi diceva che tra i catechisti ci sono dei santi autentici, meritevoli di essere beatificati,  anche se in quella Chiesa molto povera nessuno si interessa di fare una causa di beatificazione.

    Io confesso e vedo che ci sono cristiani che sinceramente tentano di vivere il Vangelo e chiedono a Dio questa grazia. Lo Spirito Santo agisce anche al di là dei nostri piani e giudizi. Adesso poi, alle tentazioni del paganesimo antico si aggiungono le tentazioni del mondo moderno, telefonini, internet, televisione. Tutti sognano di avere un telefonino, ma poi bisogna anche mantenerlo, costa molto!

     Tu, dom Pedro, sei contento di essere venuto in Africa e che messaggio dai ai tuoi brasiliani?

    Io sono entrato nel Pime,come tutti noi, avendo davanti i cinque continenti e quando p. Galbiati mi ha detto che sarei venuto in Guinea Bissau, ero contento e sono contento. L’esperienza è stata bella  e giungendo in Guinea ho trovato un ambiente favorevole alla mia vocazione. Non ho trovato una Chiesa addormentata, ma una Chiesa viva che mi ha incoraggiato. Mi sono trovato bene prima qui a Bafatà con padre Clari, poi a Suzana con p. Fumagalli. Poi mi hanno fatto superiore regionale, sono tornato tre anni in  Brasile per il seminario del Pime a Brusque e infine mi hanno fatto vescovo e sono tornato qui a Bafatà come vescovo.

    Tornando ho dovuto riadattarmi, anche al tipo di lavoro da fare. Oggi il mio è spesso un lavoro indiretto, cioè far lavorare gli altri. Programmare, guardare al futuro. Ma sono contento.

     Ai giovani brasiliani, quando ritorno per vacanza in Brasile, dico che ci vuole certo un po’ di coraggio a fare il missionario e soprattutto la fede in Dio e nella Provvidenza. Ma se non hai coraggio quando sei giovane, quando mai ce l’avrai? Ci vuole una fede tosta che ti faccia partire. Il giovane ha la sua vita da spendere. La spende bene se non tiene il freno tirato. Se parti senza freno, la fede ti orienta bene e se Dio ti chiama, digli di sì, nonostante tutte le obiezioni e tentazioni contrarie.

    Mi è piaciuta una pagina bellissima del Consiglio plenario del Pime nel 1999 su “La spiritualità del Pime”, pubblicata sul Vincolo: nel Pime la vocazione è ad vitam, che vuol dire non solo nel tempo, cioè tutta la durata della vita, ma in profondità: donare a Dio e alla missione tutta la tua vita, i tuoi pensieri, desideri, affetti, programmi, previsioni. Non avere altro desiderio che di essere tutto missionario, non solo una parte di te stesso, ma tutto. Bello!

    Ho letto un articolo su “Infor-Pime” dal titolo: “In missione non si va, si sta”: nel senso che uno può andare ed essere in missione fisicamente, ma senza esserci sentimentalmente, intellettualmente; cioè può rimanere nelle realtà dell’Internet o del mondo esterno da cui proviene, senza vivere nella missione in cui è. La tentazione dei collegamenti Internet è un pericolo oggi per i più giovani, che li tira fuori dall’ambiente che devono evangelizzare. E’ un’evasione.

     Quando parlo ai seminaristi, ai giovani, faccio sempre riferimento a queste due direzioni di marcia. Il Pime ha come icona Gesù Cristo evangelizzatore. Andiamo in missione per evangelizzare e se non abbiamo la testa e il cuore nel Vangelo e nella missione non riusciamo ad essere buoni missionari e non ci realizziamo come persone, non siamo contenti.

Intervista di Padre Gheddo al vescovo dom Pedro Zilli (2005)

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