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WDKrause, CC BY-SA 3.0, via Wikimedia Commons

La risposta del Papa al giornalista tedesco sull’uso del preservativo ha suscitato un’ondata di commenti scandalizzati o trionfanti (“Noi l’avevamo detto!”). Indubbiamente la novità è che Papa Benedetto dice in modo chiaro che l’uso del preservativo in circostanze eccezionali può essere giustificato, sia pure in un’intervista giornalistica e non in un testo magisteriale. Si è parlato di rivoluzione, ma Paolo VI aveva già detto le stesse cose nel 1968. Me lo conferma la Missionaria dell’Immasolata suor Franca Nava, infermiera diplomata in ostetricia, che ha esercitato molti anni in India e Bangladesh. Dice che dopo la pubblicazione della “Humanae Vitae” in una udienza alle ostetriche Paolo VI aveva detto: Non mandate i casi straordinari dal confessore, cercate  voi di metterli a posto col vostro consiglio. Il Papa  consigliava anzitutto il metodo Ogino-Knaus, ma per questo bisogna essere d’accordo in due. Se invece, diceva, ad esempio un uomo si ubriaca e non ragiona più, è giusto che la moglie faccia qualcosa per evitare una gravidanza indesiderata.

    A quel tempo non c’era l’Aids, ma il Papa diceva: se il marito ha una malattia venerea oppure una malattia ereditaria che l’ha portato alla pazzia, è bene che la moglie si preservi; oppure anche il caso in cui la moglie non può sopportare tante gravidanze come vorrebbe il marito, allora è bene che la moglie usi un preservativo. E diceva che quando ci sono casi come questi è normale che la moglie si difenda. Però, con questo, la Humanae Vitae mantiene la sua piena validità, non si può fare di ogni erba un fascio: bisogna saper distinguere e riaffermare la sacralità del matrimonio e dell’atto sessuale.

    Personalmente dico che la Chiesa, in molti aspetti della morale cristiana, mantiene ferma la verità, ma poi capisce anche le situazioni umane e maternamente tollera eccezioni. L’ideale rimane preciso e saldo, ma non sempre si può pretendere dal cristiano l’eroismo. Dio giudicherà con paternità e misericordia.

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      Nelle missioni c’è molta flessibilità su questi temi di morale sessuale. Sono le prime generazioni di cristiani, quasi l’Antico Testamento nella storia della salvezza in quel popolo. Si presenta la verità della Parola di Dio e del matrimonio cristiano, ma si tollera gradualità nell’attuazione di quella dottrina. Esempio il matrimonio in India. Genitori che scelgono il marito e la ragazza non lo vuole ma deve accettarlo. Il matrimonio è un patto valido quando c’è tutta la dote che viene data anche gradualmente; se non viene data il marito sta assieme un po’ di tempo poi ne prende un’altra…Un missionario mi diceva: “Non so quanti matrimoni che noi celebriamo sono validi secondo la morale cristiana e il Codice di diritto canonico. Penso che buona parte sono invalidi, ma questi sono i primi cristiani e la Chiesa va avanti lo stesso”.

      Si dice e si scrive che la Chiesa deve adattarsi al costume moderno. L’espressione non è giusta. La  Chiesa  non può cambiare la verità, deve proclamarla e meno male che in Italia c’è ancora la Chiesa che richiama la sacralità del matrimonio e della sessualità. Nessuno, se non la Chiesa, custodisce i costumi più validi e cristianamente approvabili della tradizione cristiana, condannando tutto quello che banalizza e svilisce il sesso. Chi parla ancora di purezza ai giovani? Chi proclama il valore di giungere al matrimonio puri? Il matrimonio tra uomo e donna ha perso molta dell’attrattiva che aveva quando si conservava gelosamente nelle famiglie e nella cultura corrente il mistero dell’amore e della sessualità. Oggi molti giovani arrivano ai 16-17 anni e sanno tutto, hanno visto tutto e provato tutto. Che idea possono farsi del matrimonio? Poi ci lamentiamo che l’Italia fa pochi figli, ma com’è possibile quando diminuiscono continuamente i matrimoni e aumentano i divorzi e le separazioni? Meno male che c’è in Italia la Chiesa che fa risuonare la Parola di Dio: “Beati i puri di cuore perché vedranno Dio”.

Padre Gheddo (inedito del 2010)

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