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Uno dei testi di Paolo VI che più amo è l’Esortazione apostolica “Rallegratevi nel Signore” (9 maggio 1975). Un opuscoletto di 36 pagine su “La gioia cristiana”: chi ha ricevuto il dono della fede deve essere sereno, sorridente, pieno di speranza, “perché il Signore è vicino a quanti lo invocano con cuore sincero”. Quante volte noi cristiani non diamo questa testimonianza! Ci sono persone che non ringraziano mai, che sono incapaci di lodare un fratello o una sorella, incapaci di sorridere, di essere gentili, cordiali, di interessarsi dei problemi dell’altro. Gesù era un modello di amabilità, si interessava del suo prossimo perché gli voleva bene.

C’è una riflessione importante da fare. L’immagine che una persona si fa di Dio orienta tutta la sua vita spirituale e psico-somatica. Se io immagino Dio lontano, inconoscibile, muto, freddo, che non s’interessa di me; se lo immagino giudice severo, sempre pronto a punire, a castigare, allora la mia vita sarà dominata dal timore, dalla paura, dall’incertezza, dalle superstizioni. Ho conosciuto molti, anche giornalisti famosi, che hanno di Dio un concetto pagano. Lo immaginano giudice inflessibile, non padre amoroso; colui che punisce, non che perdona e consola. Mi chiedo: quanto di questa immagine negativa di Dio viene dal nostro modo di rappresentarlo nella nostra vita?

Noi preti, noi religiosi, noi credenti in Cristo, dovremmo dare di Dio l’immagine giusta: è mio padre e mia madre, che mi segue, mi ama, mi perdona, mi protegge, mi coccola se sono triste. Se faccio questa esperienza di Dio, la mia vita sarà trasformata, acquisterò quella pace e serenità di spirito di cui ho bisogno per vivere bene, anche nelle inevitabili difficoltà e sofferenze. Se io prete sono sempre scontento, brontolone, facile alla critica e al pessimismo, che immagine posso dare di Dio e di Gesù Cristo?

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Mi viene in mente una celebre battuta del cattolico irlandese George Bernard Shaw, premio Nobel per la letteratura nel 1925. Un intervistatore gli chiede:

– Lei è cattolico?

– Certo, credente e praticante.

– Quindi crede nel Paradiso e nell’Inferno.

– Senza dubbio sì.

– Mi dica: lei dove preferisce andare dopo la morte?

– Mi lasci pensare… Se è per il clima, preferisco il Paradiso; ma per la compagnia è meglio l’Inferno, visto come sono la maggioranza dei preti e dei cattolici che conosco!

Molti si fanno l’idea di Dio dal rapporto che hanno col prete o con la suora o con il “cattolico praticante” che conoscono. Pensate che bell’immagine di Dio dava il nostro padre Clemente!

Guardate l’immaginetta di Clemente! Impressiona la serenità dello sguardo, la bellezza del sorriso, la gioia di vivere che emerge dal suo volto. Quella foto l’ho fatta io in Birmania nel febbraio 1983, quando Clemente aveva 86 anni! Viveva in situazioni tragiche: guerriglia, briganti per le strade, villaggi bruciati, sparatorie, profughi, gente che moriva di fame e di malattie, 250 orfani e orfane in casa da nutrire, curare, educare; il primo problema era trovare il riso per mangiare tutti i giorni, il medico più vicino era a circa 80 chilometri con quelle strade!

Eppure Clemente aveva quel sorriso e nelle sue lettere scriveva: “Stia bene, sia buono e non faccia mai la faccia scura, perché la vita è la fiaba più bella, anche se si è vecchi come lei” (21 novembre 1955 al superiore generale del Pime): “Se non stiamo allegri noi in questo mondo, chi mai può stare allegro?” (7 gennaio 1975). Suor Battistina ha testimoniato che Clemente era sempre allegro, ma quando aveva problemi veramente grossi, cantava; allora la suora sapeva che i pericoli erano gravi e bisognava portare in chiesa bambini e bambine per pregare.

P. Piero Gheddo,

marzo 2003 – Notiziario di Padre Clemente

Pubblicato con il permesso del Pime
(18/7 R. Perin – Direttrice dell’Ufficio Storico del Pime)

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