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Nel maggio 1983 il superiore generale del Pime, padre Fedele Giannini, mi ha chiesto di scrivere la mia prima biografia, quella del padre Giovanni Mazzucconi (1826-1855), il primo martire del Pime ucciso nell’isoletta di Woodlark in Oceania e beatificato da Giovanni Paolo II il 19 febbraio 1984. Durante l’estate l’ho scritta a Rancio di Lecco dove Mazzucconi era nato. Mi sono immerso nella lettura delle sue lettere e delle testimonianze sul suo martirio e la sua santità. Meditando quei documenti che venivano dall’inizio del mio istituto, ho passato giorni di commozione e di preghiera intensa. Un mio antenato, ucciso a soli 29 anni, che prima di subire il martirio per la fede aveva una tale sete di conoscere Dio, uno spirito di preghiera e di mortificazione, una bontà, generosità, umiltà e tante altre virtù da provocarmi in modo positivo.

   Per lui il martirio era un premio meritato: è passato in un attimo dalla vita di giovane prete al Paradiso, massacrato dalla pesante mazza ferrata di un indigeno che con un solo colpo gli fa scoppiare il cranio! Dopo aver letto la sua biografia, il beato Clemente Vismara mi ha scritto da Mong Ping (28 aprile 1984): “Ho terminato or ora di leggere il tuo libro: “Mazzucconi di Woodlark” e ti ringrazio. Mi è piaciuto. Forse a te non sembrerà, ma è più facile e più comodo morir martire con un sol colpo alla testa che il viver sfinito dopo lunghi anni di fatica e solitudine. A Francesco Saverio la medaglia d’oro, a Mazzucconi la medaglia d’argento. Io mi accontenterei (speriamo) anche della medaglia di ottone. Che è pur sempre una medaglia. A 87 anni la pretendo nonostante la mia troppa pochezza”. Caro Clemente, non immaginava certo che avrebbe avuto anche lui la medaglia d’argento di Mazzucconi, anche senza il martirio!

     Ecco la mia risposta da Milano a quella lettera il 3 giugno 1984, con parole…. profetiche: “Carissimo padre Clemente, grazie della sua ultima del 28 aprile scorso. Sono contento che il libro su Mazzucconi le sia piaciuto: l’ho scritto con tanta passione perché la vita del nuovo Beato è davvero appassionante, come certamente lo sarà anche quella di padre Vismara, quando il Signore mi concederà la grazia di scriverla…. magari fra una trentina d’anni, visto che lei ha intenzione di resistere e superare i 90 e poi i 100….”. Morì a Mong Ping il 15 giugno 1988 a 91 anni.

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      Poi ho continuato a scrivere altre biografie di missionari, quasi tutti avviati alla santità riconosciuta dalla Chiesa: Marcello Candia, Lorenzo Bianchi[1], Clemente Vismara (beato nel 2011), Augusto Gianola[2], Felice Tantardini, Alfredo Cremonesi, Carlo Salerio, Daniele Sipione, Paolo Manna (beato nel 2001), Marcello Zago, Leopoldo Pastori, Rosetta e Giovanni Gheddo, Aristide Pirovano, Augusto Colombo. Spero che Dio mi conceda ancora il tempo di scrivere almeno altre due biografie che mi sono già state richieste. Studiando a fondo dei cristiani autentici e, se Dio vuole, beati o anche santi, ho capito alcune verità, cioè realtà che le testimonianze e i documenti di una vita confermano.

      1) Il santo è un uomo felice, nonostante le sofferenze che deve patire, le croci che deve portare. Nel nostro mondo “super sviluppato”, siamo tutti alla ricerca della felicità e spesso seguiamo vie che portano alla disperazione e alla morte. Il santo indica la via giusta, l’amore e l’imitazione di Cristo. Perchè Dio è Amore e la fonte della vera gioia e chi vive di Dio non può non ricevere anche questo dono

     2) I santi sono esempi meravigliosi di promozione umana veramente ben riuscita. Insomma, la santità, cioè tentare di diventare, con l’aiuto di Dio, simili a Gesù, il Figlio di Dio fatto Uomo, rende l’uomo più uomo, la donna più donna. Come diceva Paolo VI, “Non c’è vero umanesimo al di fuori di Cristo”, il vero “uomo nuovo” della storia, perché ha portato all’umanità l’unica e autentica “rivoluzione” che, nei secoli e millenni, ha migliorato e sta continuando a migliorare gli uomini non con la violenza ma con l’amore. E Papa Benedetto ha scritto: “Senza Dio, l’uomo non sa dove andare e non riesce nemmeno a comprendere chi egli sia… L’umanesimo che esclude Dio è un umanesimo disumano” (“Caritas in Veritate”, 78).

     3) La santità non è fuori della nostra portata di persone comuni. Noi cristiani siamo tutti chiamati ad amare e imitare Cristo, perché questo è il cristianesimo. Il battesimo è il seme di santità che tutti abbiamo ricevuto, bisogna coltivarlo perché produca i suoi frutti di bontà, di amore a Dio e al prossimo. Santo non è colui che compie miracoli e ha visioni e nemmeno chi fa grandi opere ed è diventato famoso. Ma colui che nella sua vita ama e imita Cristo e diffonde con la sua stessa persona i valori del Vangelo e del cristianesimo.

   4) A volte sento dire: “Perché tutti questi nuovi Beati e Santi? Ce ne sono già tanti e non li conosciamo nemmeno, perché farne sempre dei nuovi? Obiezione un po’ ingenua alla novità che hanno portato gli ultimi Papi nella Chiesa (Paolo VI, Giovanni Paolo II e Benedetto XVI), facilitando l’inizio e i costi del cammino verso la santità riconosciuta da Dio. “L’uomo contemporaneo – scriveva Paolo VI nella “Evangelii nuntiandi” (n. 41) – ascolta più volentieri i testimoni che i maestri, o, se ascolta i maestri lo fa perché sono anche testimoni”. Papa Francesco ha ripetuto più volte che tutti noi, credenti in Cristo, siamo chiamati alla santità, perchè una vita secondo il Vangelo evangelizza più che la spiegazione del Vangelo, se non è accompagnata dall’esempio della vita di chi lo insegna. I santi sono appunto “il Vangelo vissuto oggi” ed è bene che ce ne siano tanti, preti, suore e soprattutto laici, di ogni etnia, età, professione, classe sociale, per dimostrare concretamente che il Vangelo può essere vissuto in ogni situazione umana e in ogni tempo.

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   I santi hanno un grande significato nella storia della Chiesa, sono il Vangelo vissuto nei loro tempi. Dio suscita i Santi per servire la Chiesa e sostenerla con le loro fatiche, i loro meriti, i loro esempi. Fino a diventare, qualcuno di essi, un santo che a volte rappresenta un’epoca della storia ecclesiale.

   Come San Francesco Saverio, che rappresenta l’inizio delle missioni moderne in Asia nei secoli 1500-1600, credo che il Beato Clemente rappresenti bene l’epoca della “missione alle genti” nei tempi moderni, cioè nei due secoli 1800 e 1900, quando nasceva e tramontava la colonizzazione europea in Asia, Africa e Oceania. Padre Vismara ha la statura di santità, di carisma e di carattere per questa rappresentazione e ha lasciato una tale mole di scritti e di documenti da formare un tesoro archivistico che si presta ad ogni ricerca e studi particolari.

     Fino ad oggi, i documenti originali di padre Clemente sono ancora in grande maggioranza non archiviati e schedati come si deve. Si trovano ancora a Milano e non nell’Archivio generale del Pime a Roma, dove prima o poi finiranno.

     Le lettere e gli articoli di padre Clemente sono una miniera inesauribile di Vangelo e di missione alle genti vissuta, proprio perché ha amato molto il Signore Gesù, l’ha pregato e ha dedicato la sua vita ad amaro, pregarlo e imitarlo. E Gesù è Dio, quindi fonte infinita di santità, di umanità, di bontà, di saggezza. Non cessa mai di insegnarci qualcosa. Gia adesso, ma specialmente quando l’Archivio generale del Pime sarà pronto ad offrire questo materiale agli studiosi, agli studenti che vogliono fare una tesi sulla missione alle genti, si potranno avere altri studi e far conoscere più a fondo la vita-modello di Clemente per i missionari di Cristo anche del nostro tempo, cosiddetto post-moderno.

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   Nel dicembre 2012 la Emi pubblicava “Fatto per andare lontano – Clemente Vismara (1897-1988), missionario e beato”, un tomo di 478 pagine (+ 32 pagine di fotografie) che qualcuno, senza averlo letto, mi dice: “Troppo grosso, la gente oggi non legge più!”. Ritornello che sento spesso ripetere. Eppure, un anno dopo, le circa 4.000 copie di “Fatto per andare lontano” sono esaurite e, ne sono convinto, non per merito dell’autore, ma del Beato Clemente, che meriterebbe di entrare nella storia della letteratura italiana. Presentando il volume dico sempre che “Fatto per andare lontano” è un romanzo d’avventure, non inventate come quelle di Emilio Salgari e di tanti altri, ma tutte vere e autentiche, come hanno confermato più di cento testimoni della sua vita al Processo canonico di beatificazione.

     Avventure umane affascinanti, tanto che, me l’hanno confermato non pochi lettori, chi incomincia a leggere questo libro, va poi avanti fino alla fine, anche per la curiosità di vedere come si svolge e va a finire la vita di questo sergente maggiore della prima guerra mondiale, con una medaglia al valor militare, che diventa “cacciatore di tigri e di anime”, vive e lavora per 65 anni fra un popolo tribale che sta uscendo dalla preistoria, in un ambiente forestale popolato da animali selvatici e da milioni di insetti, abitando per sei anni in un capannone di fango e paglia (quando pioveva doveva aprire l’ombrello sul suo giaciglio), molte notti passate all’addiaccio in foresta (col fuoco acceso per tener lontani gli animali selvatici), abituarsi a mangiare come i locali (riso con peperoncino, pesciolini di torrente, topi, vermi, e3rbe e radici tritate e bollite), prigionia e dittature persecutorie, briganti di strada e contrabbandieri d’oppio (nel “Triangolo d’oro” dove si produce il 40% dell’oppio mondiale), febbre nera fulminante e lebbra, mesi passati in ospedaletti in legno con topi che saltavano fin sul letto, bambini e bambine che, in quei suoi primi tempi di missione, si vendevano al mercato.

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      Ecco perchè ho scritto questo nuovo volume sul Beato Clemente. “Fatto per andare lontano” è stato scritto come biografia, e penso sia esauriente da questo punto di vista “cronologico”; ma mentre correggevo le bozze non ero del tutto soddisfatto, mancavano parecchi aspetti della sua personalità e spiritualità; tanto più che avevo letto e schedato le sue lettere, articoli e testimonianze su di lui al processo diocesano per la beatificazione (raccolte nella “Positio”) e alla fine mi ritrovavo con parecchie schede inutilizzate.

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Fare felici gli infelici Il segreto della vita lunga e vittoriosa di Clemente Vismara, missionario beato Collana: Storia e vita missionaria – PIME

      Così è nato questo volume (F, che descrive il suo percorso spirituale e di maturità umana secondo le “virtù eroiche” che ha praticato nella sua vita. Questo libro nasce appunto per approfondire il suo percorso umano e spirituale, che ce lo rende ancor più vicino, uomo come noi. Nella biografia, la vita di Clemente presenta aspetti talmente avventurosi ed eroici, da sembrare quasi un santo da nicchia, da ammirare ma lontano dalla nostra esistenza quotidiana e dalla possibilità di ispirarci e da una nostra eventuale imitazione. Studiando invece la sua crescita nell’autentico umanesimo evangelica e nella grazia di Dio, si vede chiaramente che tutto in lui è opera di Dio, che l’ha modellato a poco a poco, limando il suo carattere, le sue passioni e gli spigoli di un carattere non facile (il suo vescovo lo chiamava “il soldataccio”), portandolo alla santità eroica che noi ammiriamo e che suscita devozione e richiesta di grazie. Diceva di se stesso: “Col mio carattere, senza la fede sarei stato un brigante”. Ma la sua fede “rocciosa”, come lui stesso la definiva, era l’unica eredità avuta dai suoi genitori di una famiglia povera con sei figli che lo lasciano presto orfano: la mamma muore che aveva cinque anni, il papà otto.

     Clemente è stato semplicemente docile alla voce dello Spirito, che stimola anche ciascuno di noi sulla stessa sua via. In modo diverso l’uno dall’altro, ma la meta è uguale per tutti. Con le buone opere fatte in vita, ciascuno deve conquistarsi il Paradiso. Dove Clemente era sicuro di arrivarci subito e aggiungeva: “Penso che ci sarà tutta gente per bene”.

[1] Vescovo di Hong Kong (1899-1983), del quale non s’è fatta la Causa di beatificazione, ma era un santo anche lui e non dei minori!

[2] Missionario in Amazzonia (1930-1990), personaggio affascinante, la cui biografia (“Dio viene sul fiume”) è fra i miei volumi più venduti.

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