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Nel dicembre 2007 ho passato tre settimane in Camerun (con un’appendice in Ciad). Visitando le varie missioni, in città e campagne, ho chiesto ai missionari se è vero, secondo la loro esperienza, quel che si pensa e si dice in Italia che la missione alle genti ormai è finita, perché le giovani Chiese hanno già clero e religiose a sufficienza. Padre Giovanni Malvestìo, rettore del seminario maggiore di Maroua, per le quattro diocesi del Nord Camerun, esprime il pensiero comune e mi dice: “Potrebbero forse essere autosufficienti, qui ci sono la Bibbia e il Vangelo, la Chiesa e i Sacramenti, un certo numero di vocazioni sacerdotali e religiose, molte buone e fervorose comunità cristiane. Però manca la Tradizione di duemila anni di cristianesimo e questo vuol dire molto, moltissimo. Se rimangono soli si isolano”.

    Il Camerun è ritenuto oggi uno dei più evoluti paesi dell’Africa nera. Esteso una volta e mezzo l’Italia, con 16 milioni di abitanti, politicamente stabile, con una forma passabile di democrazia, libertà di stampa e di associazione e un certo sviluppo economico che manca in quasi tutto il resto dell’Africa a sud del Sahara. Basti dire che ha un reddito medio pro capite annuale di circa 800 dollari, mentre nel resto del continente è dai 100 ai 300 dollari. Religiosamente si può definire un paese cristianizzato, specialmente al Sud che è la parte più abitata e importante, dov’è la capitale Yaoundé. I cattolici sono il 40%, i musulmani il 18% (al nord), i protestanti il 15%, gli altri appartengono alla religione tradizionale africana, animismo, cioè il culto degli spiriti.

    La Chiesa cattolica si può dire stabilmente fondata nelle sue strutture e nel suo personale religioso, almeno come numero, 15 diocesi e solo tre con un vescovo straniero. Inoltre, la parte più evoluta della popolazione, quella che ha in mano le leve del potere politico ed economico e, grazie alle scuole delle missioni cristiane, è cristiana, in maggioranza formata da cattolici. Questi dati, letti sulla carta, possono far pensare che questa giovane Chiesa, che ha più o meno un secolo di vita e due guerre mondiali in mezzo, può andare avanti da sola. I missionari dovrebbero stare in patria (Italia, Francia, Spagna, Polonia, Belgio), i camerunesi possono fare a meno di loro.

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     Non è così. Primo non è una Chiesa missionaria, in un paese per più di metà ancora non cristiano. Padre Malvestìo dice: “Ci sono buoni preti africani. Dal 2000, quando sono venuto in seminario, sono stati ordinati circa 60-70 nuovi preti. Vado a visitarli nelle loro parrocchie e vedo che non pochi vivono da soli, senza cuoco, senza soldi, senza luce elettrica e sono fedeli alla loro vocazione, la gente li stima, e vedo che la Provvidenza li aiuta. Fanno una vita povera, non costruiscono certo quel che ha costruito il missionario straniero prima di loro, ma quel che importa è che quel prete, anzi quei preti che rimangono fedeli, diventano veramente i costruttori di una Chiesa africana”.

   Le difficoltà però ci sono, anzi alcuni pensano che uno dei compiti principali dei missionari stranieri è di sostenere e aiutare i sacerdoti locali, creando la tradizione di vivere in comunità, come appunto fanno i missionari. I vescovi dovrebbero visitare e tenere uniti i loro preti, ma spesso non ce la fanno anche perchè le diocesi sono in genere molto vaste. In Italia abbiamo 230 diocesi, in Camerun solo 15, con un territorio molto più esteso di quello italiano!  Per un vescovo fare 100 chilometri in auto per visitare un prete è un’impresa non facile, non ci sono le strade italiane. Posso dire che da Garoua a Maroua, sulla strada nazionale più importante del paese, per fare in auto 230 chilometri ci si mette 5-6 ore, se va bene, su altre strade i viaggi sono ancora più lunghi e difficili. Padre Malvestìo mi dice: “Noi missionari siamo ancora necessari perchè, con umiltà e senza apparire, senza voler imporre nulla, facciamo un cammino con i preti locali, fraternizziamo, creiamo amicizia, in modo da crescere insieme. Per me l’importanza fondamentale dei missionari, che rimangono qui una vita e sono ben conosciuti e amati, è proprio questa, di essere utili ai preti locali: ripeto, umilmente e senza apparire, ma di sentirsi proprio al loro servizio, visitarli, parlare con loro, assisterli, aiutarli. L’esempio del missionario è utile ai preti per staccarli a poco a poco da una cultura che frena, che immobilizza, e consacrarsi totalmente a Cristo. Ci sono buoni preti africani in questo senso, che commuovono per la loro fedeltà e costanza”.

     Il Pime ha fondato diverse missioni e parrocchie al sud e al nord. Nel contratto che l’Istituto firma con i vescovi locali, per passare la missione fondata e funzionante ad un sacerdote locale, c’è la clausola che il giovane sacerdote indigeno passi un anno come vice-parroco con il missionario che ha esperienza di quel posto. Può sembrare un’esagerazione, ma occorre creare una tradizione nel giovane clero locale, che non ha ancora molti modelli a cui ispirarsi,  Ci vuol tempo e buona volontà.

    Ma l’aspetto più importante per la presenza dei missionari stranieri sta nel fatto che, fondata la Chiesa locale, occorre darle uno spirito missionario, proiettandola verso i lontani, i non cristiani, mentre la tendenza del prete che è arrivato a dirigere una parrocchia è di chiudersi nella cura delle poche o tante pecorelle del suo gregge. Se il prete ha spirito missionario, lo sperimentiamo anche in Italia, anche i cristiani lo sono e la Chiesa si diffonde. Altrimenti diventa un circolo chiuso, una casta. Inoltre occorre dotarla di mezzi e strumenti di apostolato, che non è facile preparare. Ad esempio nel Nord Camerun quattro missionari del Pime, oltre al lavoro pastorale, sono impegnati a preparare dizionari, grammatiche e testi lirurgici e biblici in lingue locali molto diffuse; tupurì, giziga e fulfuldé. Opera che, è facile capirlo, richiede una specifica preparazione in campo biblico e linguistico! E, oltre al resto, anche notevoli aiuti finanziari per sostenere le spese di preparazione, con consulenti di lingue locali, e di stampa. A Yaoundé, due missionari sono impegnati nel Centro Edimar, sorto per educare i ragazzi di strada e introdurli in una vita normale di lavoro e di famiglia. Il Centro, intitolato alla principessa Grace di Monaco (il Principato di Monaco ha pagato le spese di costruzione), è pubblicamente lodato dalle autorità civili e dall’arcivescovo.

      Infine, c’è anche un problema di aiuti economici. Le Chiese africane, in genere, ricevono poche offerte dalla loro gente, troppo povera. I parroci del Camerun, non potrebbero avere e mantenere l’auto, se non ricevessero aiuti dalle Chiese sorelle più ricche e l’auto, specie nelle zone rurali, è indispensabile per visitare decine di villaggi dispersi in vasti territori. Ho chiesto al decano dei missionari del Pime in Camerun, padre Carlo Scapin, cosa dice della missione alle genti in Africa. Ecco la sua risposta: “Penso che stiamo vivendo un momento di grazia per l’Africa e in particolare per il Camerun. Dobbiamo sostenerlo con la stima per cio’ che viene fatto e l’incoraggiamento con la presenza, la preghiera e l’aiuto: si sa, quando si cresce c’è sempre un po’ di confusione, che bisogna mettere nel conto. Ma lo Spirito Santo qui sta suscitando una nuova Chiesa e noi, Chiesa italiana, non possiamo aver mandato tanti missionari e aiuti per fondarla e poi abbandonarla proprio adesso!”.

Padre Gheddo su Il Timone (2008)

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