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Cari amici di padre Clemente, come già sapete, da quest’anno non sono più il postulatore della Causa di Beatificazione di padre Clemente. Avendo compiuto 80 anni nel 2009, sono scaduto dall’incarico e oggi la postulazione è in buone mani, quelle della dott.sa Francesca Consolini, molto più pratica di me di queste Cause, alla quale auguro buon lavoro. Naturalmente, fin che il Signore vorrà, sono a Milano e sempre disponibile per interventi su padre Clemente.

Vorrei brevemente ricordare come ho vissuto questa avventura della sua beatificazione, che per me è stata un’immersione nello spirito missionario del Pime ben rappresentato dalla figura poetica e avventurosa del missionario di Agrate Brianza. L’ho conosciuto da giovane studente del seminario diocesano di Vercelli a Moncrivello (VC), quando avevo 14-15 anni. In quegli anni di guerra, di odio e di violenze, i suoi racconti su “Italia Missionaria” facevano sognare, ispiravano la fantasia, riscaldavano il cuore. Nel settembre 1945 sono entrato in prima liceo al Pime, immaginando di poter andare anch’io nelle foreste birmane a tener compagnia al mitico Clemente. Poi ho dovuto accontentarmi di pubblicare molti suoi scritti sulla stampa missionaria e godermi le sue lettere sempre nuove e geniali, pur raccontando fatti già ben noti. Come ha scritto Giorgio Torelli: “Le lettere di Clemente sono un corso di esercizi spirituali con parole di fede e di coraggio”.

La santità di Clemente mi è apparsa chiara quando nel 1983 sono andato a trovarlo. Ci siamo abbracciati, mi dice che leggeva i miei articoli e libri, ma poi mi chiede: “Ma tu, cosa fai nella vita?”. Rispondo che visito i missionari e poi scrivo e pubblico quel che vedo per farli conoscere, suscitare vocazioni e aiuti alla missione. Riprende: “D’accordo, tu scrivi quel che fanno gli altri, ma tu cosa fai di tuo?”. Battuta scherzosa, ma capace di spiazzare e quasi ridimensionare il missionario giornalista che non è mai stato missionario sul campo. Clemente entrava nel cuore dei suoi amici provocandoli con amore paterno, da “Patriarca della Birmania” com’era stato definito dalla Conferenza episcopale birmana nel suo cinquantesimo di sacerdozio. Poi l’ho visto da vicino e mi sono commosso più volte sentendolo parlare dei suoi orfani e dei tribali con i quali viveva, da poco usciti dalla preistoria, nei quali vedeva tanta umanità e virtù naturali che un visitatore non immaginava nemmeno. Era un uomo pienamente integrato in quella misera e sventurata realtà quotidiana: capanne di fango e paglia, cibo povero a volte ributtante, isolamento quasi assoluto, medico a 80 chilometri con quelle strade, guerriglia e briganti, lebbra e carestie, una umanità degradata. Eppure, là il nostro Clemente si realizzava pienamente come uomo e come prete. Non è possibile vivere felici in queste situazioni per 65 anni continui, senza una profonda fede e amore a Gesù Cristo che ha detto: “Tutto quello che fate ad uno di questi vostri fratelli più piccoli, l’avete fatto a me”.

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La sua Causa di Beatificazione, iniziata nel 1996 ma preparata dal giorno della sua morte il 15 giugno 1988, l’ho subito sentita come chiamata di Dio che mi ha toccato il cuore e l’ho vissuta con passione. La stessa intuizione l’hanno avuta il vescovo di Kengtung mons. Abramo Than e gli amici del “Gruppo missionario” parrocchiale di Agrate. Poi l’avventura appassionante di cercare le lettere di Clemente presso parenti, amici, benefattori, riviste varie. Un solo dato. Nel 1988 l’Archivio generale del Pime a Roma aveva 320 sue lettere, oggi sono circa 2.300, un patrimonio di spirito missionario, di amore al prossimo più povero, una fiducia assoluta nella Provvidenza che rendeva Clemente capace di trasfigurare la realtà con i suoi racconti e di conservare una gioia e una giovinezza dello spirito invidiabili. Alcuni suoi confratelli hanno testimoniato: “E’ morto a 91 anni senza mai essere invecchiato!”. Cosa significa questo se non che in Clemente era forte e ben radicato lo Spirito di Dio? L’età non è un fatto cronologico, ma trascendente, soprannaturale, spirituale

Quando ci siamo visti per cinque-sei giorni nel 1983 aveva 86 anni e mi stupiva la sua gioia di vivere, la serenità e la voglia di scherzare. Avendogli chiesto di raccontarmi la sua vita di missione risponde: “L’ho raccontata in tanti articoli e lettere. Parliamo invece del mio futuro”. E ricordava i villaggi che l’avevano invitato, le cappelle e scuole da costruire, i bambini abbandonati a cui offrire un nido di vita e di amore. Aveva 86 anni ed era ancora parroco, visitava i villaggi sui monti a piedi e facendosi portare in una lettiga da quattro uomini o quattro donne (“Che vergogna essere portato dalle donne!” mi diceva).

Le difficoltà per la Causa di Beatificazione non sono mancate e debbo dire che le prime sono venute proprio da alcuni missionari che giudicavano non opportuna questa iniziativa. Poi ne sono venute tante altre, ma queste soprattutto mi ferivano. Tutti stimavano Clemente, ma non tutti capivano il significato di una beatificazione e canonizzazione che è di portare alla ribalta della Chiesa universale un modello di vita evangelica, senza escludere tutti gli altri. Ogni Santo o Beato è il Vangelo vissuto oggi. Il Vangelo non tutti lo leggono o lo capiscono, il Santo tutti lo possono vedere e capire. Un missionario della Birmania mi diceva: “Se fanno Beato Clemente dovranno fare Beati anche tutti noi che abbiamo fatto la sua stessa vita”. Il Pime aveva solo due Beati, Crescitelli e Mazzucconi, ambedue martiri. Altri dicevano: “Vismara era un buon uomo e un buon missionario. Ma non aveva nulla di straordinario”. Il Santo non è chi fa cose straordinarie come miracoli o visioni, ma chi vive la vita ordinaria in modo straordinario, cioè con amore, pazienza, perdono, purezza, spirito di sacrificio e di preghiera, insomma esercita le virtù in modo eroico. Anche la Causa di padre Paolo Manna (1872-1952, beatificato nel 2001) era contestata per vari motivi fra i quali il suo carattere forte e alcune decisioni prese come superiore generale dell’Istituto.

Finora il Signore ha concesso di superare tutte le difficoltà. Oggi siamo di fronte a quella finale e decisiva. L’approvazione di un supposto “miracolo” sui sei presentati nel 2003 da mons. Ennio Apeciti, presidente del “Processo diocesano” andato due volte in Birmania in compagnia del medico dott. Franco Mattavelli di Agrate, per raccogliere documenti e testimonianze sulla guarigione improvvisa e totale di un bambino in coma per quattro giorni per la caduta da una pianta, dopo le preghiere a Clemente. Anche le tormentate e faticose vicende di questo avvenimento straordinario, che dev’essere riconosciuto come segno di intervento divino, possono giungere a buon fine e far sorgere l’alba del giorno in cui il caro e grande padre Clemente Vismara sarà beatificato. A noi resta il compito di pregare e imitare le sue virtù eroiche (Clemente è già Venerabile), nella convinzione che il missionario di Agrate è davvero una folgorante e clamorosa icona dei missionari che danno la vita per Gesù e affinchè il Regno di Dio che si estenda a tutti i popoli.

Padre Gheddo su Padre Clemente racconta (2010)

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