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Cari amici di Radio Maria, questa sera vi parlo della “Nuova Evangelizzazione” dei popoli cristiani, tema che sarà dibattuto nel Sinodo episcopale che si terra in Vaticano dal 2 al 28 ottobre. La Chiesa si interroga su come annunziare di nuovo Gesù Cristo ai popoli già battezzati, ma la cui fede vacilla o non esiste più, oppure esiste ma non pochi che si dichiarano cattolici vivono “come se Dio non esistesse”. E questo riguarda soprattutto i popoli occidentali di antica civiltà cristiana e oggi scristianizzati, appunto come la nostra Italia.

La scristianizzazione della nostra società ci porta verso un modo di vivere sempre più disumano, nel quale i rapporti umani sono sempre più aridi, egoisti. Non rimpiangiamo i “tempi passati”, ma è certo che l’evoluzione del mondo moderno, anche vista dal piccolo osservatorio della nostra esperienza, rende la vita dell’uomo, e di conseguenza la società, sempre più disumana.

Superfluo accennare a situazioni che tutti viviamo e soffriamo: lo sfascio delle famiglie, la precarietà del lavoro (per quelli che ne hanno uno), la fragilità psicologica dei giovani che sono disorientati, l’aridità dei rapporti umani, la mancanza di bambini e di giovani, che sono la speranza di una famiglia, di una società. Il popolo italiano è certamente molto più ricco e benestante di mezzo secolo fa, più istruito e più democratico, eppure oggi l’atmosfera che respiriamo porta al pessimismo, perchè senza speranza. A quelli che si lamentano del nostro tempo dobbiamo dire che tutto viene da questo fatto: abbiamo abbandonato Dio e Dio abbandona noi. E l’uomo, da solo, non se la cava.

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La mia catechesi sulla nuova evangelizzazione dell’Italia e si svolge in tre punti:

  1. Perché il popolo italiano dev’essere rievangelizzato.
  2. Come annunziare credibilmente Cristo nel nostro tempo.
  3. La nuova evangelizzazione parte dalla mia conversione personale a Cristo.

I) Perché il popolo italiano dev’essere rievangelizzato

I popoli cristiani d’Europa stanno perdendo la fede in Cristo, fino al punto che le radici cistiane della nostra storia e cultura non sono più ufficialmente riconosciute nella Costituzione della Comunità Europea. Un dato di fatto molto grave può sintetizzare la situazione dei popoli europei. La Francia è stata per secoli il paese che ha dato molto alla Chiesa in tutti i settori della vita cristiana, soprattutto nel pensiero teologico e nei movimenti di vita spirituale. Ebbene, oggi i francesi si dichiarano cattolici solo per il 64,3%, e il 27% si dichiarano atei o agnostici, cioè senza alcuna religione. In Germania i protestanti sono il 43% e il cattolici il 32% del popolo tedesco; ma il 23% sono atei o senza alcuna religione. Secondo gli ultimi censimenti si dichiarano atei il 32% degli inglesi e degli spagnoli, l’11% degli svizzeri, il 10% degli italiani, l’8% dei polacchi e il 7% dei portoghesi, il 4% degli irlandesi.

Nella nostra Italia i cattolici sono ancora sopra l’80%, ma noi sappiamo che non pochi degli italiani che ufficialmente si dichiarano cattolici, sono poi come Indro Montanelli che diverse volte mi diceva: “Io sono cattolico, ma non credente e soprattutto non praticante”. Voleva dire che si riconosceva cattolico poichè la storia, la cultura, l’arte e l’identità nazionale sono state in gran parte plasmate dal cristianesimo. E poi aveva una certa nostalgia della fede, era alla ricerca del senso della vita, parlava volentieri dei temi della fede. Ma in pratica non credeva.

In Italia, nel 1978 i sacerdoti diocesani italiani erano 41.627, oggi sono circa 31.000: in 25 anni dono diminuiti del 25%; i preti religiosi italiani erano 21.500 nel 1978, oggi circa 13.000 (diminuiti del 40%). Circa 2.000 sacerdoti stranieri, dalle missioni o Europa dell’est, sono a servizio della Chiesa italiana (2012).

In Italia più dell’80% si dichiarano cattolici, ma la frequenza alla Messa domenicale e ai Sacramenti è in calo. Negli anni cinquanta, quando sono diventato sacerdote, la stima delle frequenze alle Messa domenicali era sul 35-40% degli italiani; oggi siamo sul 18-20%. Oggi il maggio segno negativo è il crollo dei matrimoni e delle nascite. Noi italiani diminuiamo di più di 100.000 unità all’anno!

Le tre opere della Chiesa per evangelizzare

Giovanni Paolo II ha inventato l’espressione “Nuova evangelizzazione”. Nell’enciclica missionaria “Redemptoris Missio” (1990) Giovanni Paolo II dice che la Chiesa ha un’unica missione, convertire e portare tutti i popoli a Cristo, ma distingue tre situazioni diverse (n. 33):

  1. La missione alle genti (missio ad gentes) che si rivolge ai popoli che ancora non hanno ricevuto il primo annunzio di Cristo e presso i quali la Chiesa non è ancora presente o non è ancora “matura” per essere a sua volta missionaria;
  2. La “cura pastorale”, che si rivolge a “comunità cristiane che hanno adeguate e solide strutture ecclesiali, sono ferventi di fede e di vita, irradiano la testimonianza del Vangelo nel loro ambiente e sentono l’impegno della missione universale”;
  3. La “nuova evangelizzazione”, quando “interi gruppi di battezzati hanno perso il senso vivo ella fede, o addirittura non si conoscono più come membri della Chiesa, conducendo un’esistenza lontana da Cristo e dal suo Vangelo”.

Il 28 giugno 2010, poco più di due anni fa, Papa Benedetto istituiva il “Pontificio Consiglio per la promozione della Nuova Evangelizzazione” e nel settembre 2010 pubblicava la Lettera apostolica “Ubicumque et semper”, con la quale spiegava perchè il nuovo organismo della Santa Sede: per “offrire delle risposte adeguate affinchè la Chiesa intera, lasciandosi rigenerare dalla forza dello Spirito Santo, si presenti al mondo contemporaneo con uno slancio missionario in grado di promuovere una nuova evangelizzazione”; e ne nominava il Presidente, mons. Rino Fisichella. Nel settembre 2010, Benedetto XVI compiva due atti che andavano in questa stessa direzione:

  1. Proclamava un “Anno della Fede” (11 ottobre 2012 – Festa di Cristo Re del novembre 2013) e pubblicava la Lettera apostolica “La Porta della Fede”, per invitare le Chiese locali e i battezzati a riflettere sul dono della fede ricevuto da Dio, ritrovando l’entusiasmo della fede che rende il battezzato missionario:
  2. Convocava, per l’ottobre 2012, il Sinodo episcopale per riflettere sul tema “Nuova evangelizzazione e trasmissione della fede cristiana”.

Questo, cari amici di Radio Maria, lo scenario ecclesiale in cui ci troviamo a vivere. Abbiamo un Papa di 85 anni che governa la Chiesa in tempi difficilissimi e con poche certezze (oltre a quelle della fede), fatto bersaglio di attacchi e amareggiato dai peccati commessi dagli uomini di Chiesa, che vengono alla ribalta e sono reclamizzati dai media. Mi stupisce sempre, quando penso e prego per Benedetto XVI, del fatto che questo caro e grande Papa continua a sfornare idee nuove, proposte nuove, a visitare popoli e continenti, a pubblicare addirittura una “Vita di Cristo” in vari volumi, opera scientifica di studio sulla persone del Messia.

Anche in lui oggi, come in altri Papi del passato, si rivela la potenza dello Spirito Santo, che c’è davvero, non dorme mai, non va mai in pensione, non invecchia mai! Proprio questo fatto di cui siamo testimoni, aumenta la nostra fede, ci fa, come dire, toccare con mano che Cristo è veramente risorto! Questo deve renderci sereni e gioiosi di fronte alle difficoltà della nostra vita e del mondo. “Non abbiate paura – ha detto Gesù – io ho vinto il mondo!”.

La sfida del mondo moderno alla Chiesa

Il Sinodo si propone di dare orientamenti e direttive alle Chiese dei paesi di antica cristianità, per riportare Cristo nelle nostre società evolute, composte in buona parte da battezzati. Il tema del Sinodo è stato discusso per due anni nelle Chiese locali (in diocesi, parrocchie, ecc.) e ha prodotto i cosiddetti “Lineamenta” che propongono sette “scenari” del nostro mondo da rievangelizzare .

Questi scenari dicono che il mondo in cui viviamo è cambiato rapidamente e anche radicalmente nell’ultimo mezzo secolo. Quasi nulla è rimasto come prima. Noi che viviamo giorno per giorno la nostra esistenza, quasi non ce ne accorgiamo, ma guardando l’Italia in una prospettiva storica, cioè se pensiamo al 1960 e agli anni del Concilio Vaticano II (1962-1965), avvertiamo subito che la società oggi è profondamente cambiata e si è gravemente allontanata dal Vangelo, dalla morale evangelica, dalla cultura cristiana diffusa che c’erano ancora 50 anni fa.

Richiamo brevemente questi “scenari”, cioè questi cambiamenti della società italiana, che sono alla radice della scristianizzazione del nostro popolo.

1) La secolarizzazione che separa la fede dalla vita. La religione è un fatto privato, sentimentale, consolatorio, ma non conta più nulla o quasi nulla. La vita corre su altri binari. Questo fenomeno è nato in tempi lontani, ma per rimanere ai nostri tempi ha una radice che Papa Benedetto nomina spesso: il relativismo, cioè tutto è relativo, non esiste alcuna verità stabile ed immutabile. Cambia la vita e cambiano anche le istituzioni umane. Ad esempio, la Costituzione italiana dice che il matrimonio è tra uomo e donna, ma ormai parecchi stati stabiliscono che ci sono anche matrimoni fra persone dello stesso sesso, poi sarà inevitabile, com’è successo in Gran Breatagna, che venga riconosciuta la poligamia; e poi, altro esempio, tutte le religioni sono eguali, l’una vale l’altra, perchè Dio, se esiste, non si sa chi sia e dov’è e cosa pensa, perchè non si è manifestato a nessuno.

Quindi l’uomo può regolare la sua vita senza riferimento alla trascendenza. Le conseguenze di questa cultura e mentalità molto diffuse sono tragiche. Se manca il riferimento a Dio Creatore dell’uomo, anche l’antropologia umana è precaria e cambia secondo i tempi e le mode culturali. Ecco perché la Chiesa è fortemente impegnata nella bioetica, è l’unica istituzione a livello mondiale che difende la sacralità della vita umana, dal concepimento alla morte: altrimenti diventano leciti l’aborto, l’eutanasia, l’eugenetica, cioè le tecniche per migliorare la razza umana, eliminando con l’aborto i feti (o anche gli uomini e le donne, come facevano inazisti) che presentano qualche grave andicap trasmissibile, oppure anche sterilizzare questi adulti. Sono solo esempi: senza Dio, tutto è precario, tutto è permesso.

2) Le migrazioni di massa, soprattutto dai paesi poveri verso quelli ricchi, dai paesi in guerra o con dittature verso quelli democratici e liberi. La conseguenza è il mescolamento delle culture e delle religioni; e questo potrebbe essere positivo e rappresentare un periodo di crescita per tutta l’umanità, ma in genere produce un clima di estrema fluidità dei valori e delle tradizioni, comprese quella religiosa, e porta ad una perdita di identità nazionale, che finisce per manifestarsi quasi solo negli eventi sportivi (calcio, olimpiadi), mentre si rivela negativo per la fede cristiana, appunto per la mentalità “relativista” e “secolarizzata” oggi dominante.

3) I mezzi di comunicazione, sempre più determinanti nella vita delle persone e nella coscienza collettiva. Anche questo potrebbe essere un fatto positivo (e lo è per alcuni aspetti), ma purtroppo questi mezzi obbediscono non a criteri di verità e di moralità, ma a criteri di profitto economico e di interessi politici. Non migliorano certo la vita dei giovani e della società, perché promuovono la cultura dell’effimero, dell’apparenza, del divertimento, non dell’impegno e della necessità di sacrificarsi fin da giovani per realizzare qualcosa di buono nella vita.

4) L’economia moderna, che, con la globalizzazione dei mercati e la rapidità delle comunicazioni, è diventata sempre più gioco finanziario staccato dalla vita dei popoli, che premia i furbi e i ricchi e calpesta i poveri. E’ riconosciuto da tutti, specie nella presente crisi dell’economia mondiale, che in tutti i paesi (compresa l’Italia) il distacco fra ricchi e poveri continua ad aumentare. Questo è evidente in paesi come Cina e India che hanno tassi di sviluppo annuali sopra il 7-8% ma è vero anche in Italia e nell’Europa comunitaria che sono in recessione.

5) La ricerca scientifica e tecnologica. “La scienza e la tecnica rischiano di diventare i nuovi idoli del presente, una nuova religione, che assume la tecnica come forma di saggezza, alla ricerca di una organizzazione magica della vita che funzioni come sapere e come senso”, così i “Lineamenta” del Sinodo. In altre parole, come diceva un Premio Nobel americano nel 1953 (l’anno in cui sono diventato prete): “Le molte scoperte in campo fisico e della medicina degli ultimi tempi sono rapide e profonde. Si può prevedere che in 30-40 anni tutti i problemi dell’uomo saranno risolti”. E’ vero il contrario. Più aumentano le scoperte scientifiche, più aumentano i problemi dell’uomo. Se togliamo Dio dall’orizzonte dell’umanità, l’uomo non capisce più se stesso. Solo Dio che ha creato l’uomo, lo capisce!

6) La politica. Il crollo dell’ideologia e dei paesi comunisti è stato positivo, ma in Italia ha portato alla decadenza della politica nazionale. La cosiddetta “seconda Repubblica”, nella quale viviamo da vent’anni, non ha prodotto molto di buono e ci ha portati alla situazione attuale. E questo non per colpa di questo o di quell’uomo politico, di questo o quel partito, ma proprio a causa dei troppo numerosi e troppo rapidi cambiamenti della società italiana, di cui si è detto, che una politica senza ideali non è riuscita a governare, ad orientare per il bene pubblico.

7) Aggiungo un settimo scenario, il crollo della famiglia tradizionale italiana. Conosciamo e lamentiamo tutti la decadenza della famiglia, che è quasi una conseguenza di tutti gli scenari di cui ho detto. I due referendum sul divorzio (12 maggio 1974) e sull’aborto (17 maggio 1981) hanno fortemente contribuito ad allontanare i costumi e la mentalità del popolo italiano dal Vangelo e dal modello di famiglia cristiana che la Chiesa predica e sostiene. In quei due referendum hanno prevalso i diritti individuali rispetto al bene pubblico e purtroppo anche non pochi cattolici hanno votato in modo contrario a quanto indicavano i vescovi.

Il crollo della famiglia si manifesta soprattutto in due aspetti: il moltiplicarsi delle separazioni e dei divorzi, che rendono la famiglia precaria, la quale poi genera figli precari, incerti,insicuri, deboli psicologicamente; e poi la continua diminuzione delle nascite in Italia. Tutti concordano nel dire che la diminuzione delle nascite è causa primaria della crisi economica del nostro paese. Non ci vuole un genio per capire che senza bambini, il popolo italiano volge al peggio. Però i mass media e anche i politici e il capo dello Stato non ne parlano mai o quasi mai.

Per terminare questa prima parte, mi fermo un momento su questi dati dell’Istat (l’Istituto di statistiche italiano). Nel gennaio 2011 gli italiani di 65 e più anni sono il 20% degli italiani, i giovani con meno di 15 anni solo il 14%, rispetto al 18,5% del 1995! Le donne in età fertile dovrebbero avere in media 2,1 figli per equilibrare il numero delle morti, mentre in Italia siamo all’1,33% in media.

Siamo una società di vecchi e di pensionati, il popolo italiano diminuisce di più di 100.000 individui all’anno. Gli stranieri legalmente residenti in Italia, sempre all’inizio del 2011, erano 4 milioni e 563mila, tre volte più di dieci anni prima, nel 2001! Da un milione e 200mila sono aumentati a 4 milioni e 564mila. Dove c’è richiesta di mano d’opera perché mancano i giovani è logico che gli straneri poveri vengono a riempire questi vuoti. E meno male, altrimenti l’Italia si bloccherebbe in ogni senso e settore di vita.

II) Come annunziare credibilmente Cristo nel nostro tempo

Nella prima parte di questa catechesi ho dato un’idea realistica ma anche pessimistica della società italiana oggi. Forse qualcuno di voi può aver nutrito un senso di smarrimento e di sconforto, di fronte alla situazione religiosa così degradata della nostra Italia. E realmente, pensare di riportare il popolo e la società italiana alla fede e alla vita cristiana è una meta che sembra utopica, irraggiungibile. E’ come pensare e programmare di spostare una montagna.

Ma Gesù ha proprio detto che la fede può fare proprio questo. Quando gli Apostoli gli chiedono come mai non sono riusciti a scacciare un demonio, Gesù risponde: “ Perchè non avete fede. Se aveste almeno una fede piccola come un granello di senape, potreste dire a questo monte: “Spostati da qui a là” e il monte si sposterà. Niente sarà impossibile per voi” (Matt. 17,20). E poco prima che abbia inizio la sua Passione, Gesù dice ai suoi apostoli: “Nel mondo avrete dolori. Ma coraggio, io ho vinto il moldo” (Giov. 16, 33).

Fiducia nello Spirito Santo protagonista della missione

Anzitutto, la Chiesa non condanna affatto il mondo moderno preso in blocco, poiché oggi la situazione dell’umanità è molto migliore che in qualsiasi altro tempo della storia. Ad esempio, quando mai in passato, anche nei tempi gloriosi della civiltà greco-romana, l’umanità era giunta a codificare una “Carta dei diritti dell’uomo” (di chiara e diretta derivazione evangelica) come ha fatto l’Onu nel 1948?

In una prospettiva storica, non c’è alcun dubbio che si sono fatti continui passi avanti verso un futuro migliore. Questo miglioramento continuo delle condizioni di vita, che Teilhard de Chardin vedeva come una tensione e un cammino verso il Regno di Dio, si è realizzato grazie alla Rivelazione di Dio Padre e Creatore degli uomini e poi del Figlio di Dio Gesù Cristo, che ci ha dato con l’esempio e il Vangelo le indicazioni per migliorare la vita dell’uomo e dei popoli. Nulla infatti è più umano, cioè più corrispondente alla natura e alle aspirazioni dell’uomo, della verità e della morale evangelica.

Quindi, di fronte alle sfide del nostro tempo, il nostro primo atteggiamento è di avere fiducia perché Cristo ha vinto il mondo e “lo Spirito Santo è il protagonista di tutta la missione ecclesiale” (n. 21 della “Redemptoris Missio”).

E poi, avere fiducia nella Chiesa e nel nostro grande Papa Benedetto XVI, che ha una profonda lucidità di giudizio sulle situazioni attuali del mondo, senza chiudersi in uno spiritualismo che rifiuta il confronto con chi la pensa diversamente. Il Papa è poi convinto che la fede può davvero dare un contributo essenziale alla soluzione dei problemi dell’umanità, come ha dimostrato con l’ultima enciclica “Caritas in Veritate”.

Ecco, cari amici di Radio Maria, cosa è richiesto a noi, a tutti voi che mi ascoltate: di metterci in questa lunghezza d’onda della preparazione al Sinodo e collaborare alla sua buona riuscita anzitutto con la preghiera e con l’ottimismo che viene dalla fede. Noi cristiani non possiamo essere pessimisti, perché crediamo che Gesù è il Figlio di Dio, che vuol bene a tutti gli uomini, che vuol bene a ciascuno di noi.

Avere fiducia vuol dire non lasciarci impressionare, intristire, scoraggiare dal male che vediamo attorno a noi e anche, a volte in noi (perché siamo tutti peccatori!); quindi essere sereni e pieni di gioia per poter evangelizzare. Ricordate il famoso grido che Giovanni Paolo II lanciò al mondo con la sua possente voce baritonale, appena salito al trono pontificio: “Non abbiate paura! Non abbiate paura! Gesù Cristo sa cosa c’è nell’uomo, lui solo lo sa”.

Che bello, fratelli e sorelle, richiamare qualche volta alla memoria quel grido che ci aveva dato tanta gioia e tanta forza e fiducia nella fede. Qualche volta, quando sono tentato di scoraggiarmi, io dico a me stesso: “Piero, tu sei un prete, un missionario. Se non ci credi tu, se anche tu ti lasci prendere dal pessimismo generale, come fai a testimoniare la gioia della fede e la vittoria del bene sul male che Cristo ci ha meritato dando la sua vita per tutti noi?”.

Il cristianesimo è l’incontro e l’amore a Cristo

Il tema del Sinodo dei Vescovi che si terrà a Roma nell’ottobre prossimo è questo: come ritrasmettere la fede cristiana in modo credibile ai cristiani che oggi non credono più o nei quali la fede è giunta al lumicino.

Per partecipare e collaborare col Sinodo, non si tratta quindi di condannare i molti aspetti negativi della società attuale, di ripetere cose che tutti conosciamo e condividiamo e delle quali parliamo fin troppo. Ma di rispondere ai problemi e alle difficoltà dell’uomo d’oggi in modo credibile e adeguato alle sfide del mondo. Insomma, non lamentarci del mondo in cui viviamo, ma cercare di cambiarlo in meglio con la preghiera e la testimonianza della fede in Cristo.

Il testo di base del Sinodo (“Instrumentum Laboris”) precisa le proposte ai vescovi per il dibattito e le conclusioni da trarre. Il primo punto è intitolato: “Gesù Cristo, Vangelo di Dio per l’uomo” e spiega che la fede non è un insieme di regole morali e di riti religiosi, ma l‘incontro con la persona di Gesù Cristo, l’esperienza dell’amore a Cristo. Gesù è stato il primo e il maggior evangelizzatore, si è proposto lui stesso come Figlio di Dio e mediatore tra Dio e l’uomo. La Chiesa deve annunziare Cristo cercando in ogni modo di far incontrare le persone con Gesù Cristo, perché il cristianesimo è conoscere e credere in lui, amare lui, imitare lui, che è l’unica ricchezza che abbiamo.

La fede non è un libro, ma una persona, Gesù Cristo. Quindi per rievangelizzare il nostro popolo dobbiamo ripresentargli Cristo, Figlio di Dio e unico Salvatore dell’uomo e dell’umanità. Questo il punto di partenza per la nuova evangelizzazione. Ed è importante perché non tutti gli italiani hanno le idee chiare su cosa è il cristianesimo. Ricordo che all’inizio degli anni ottanta il settimanale “Epoca” aveva fatto un’inchiesta sul cristianesimo fra gli italiani. L’intervistatore poneva all’intervistato una serie di domande. Fra le altre anche questa: Secondo lei, quali sono le tre cose più importanti che deve fare il cristiano? Le risposte più numerose erano queste: “Essere battezzato, osservare i dieci Comandamenti. andare a Messa la domenica”.Sono certamente cose fondamentali, ma la risposta risposta giusta e decisiva è questa: per essere cristiani la cosa più importante è incontrare e amare il Signore Gesù, perché da questo viene tutto il resto.

Noi tutti siamo chiamati, cari ascoltatori, io prete e voi laici, ad innamorarci del Signore Gesù, per poter trasmettere la fede e l’amore in Lui. Non basta una fede intellettuale, ci vuole una fede passionale, l’amore profondo a Cristo, per poter testimoniarlo e annunziarlo agli altri. Il dinamismo della missione nasce dall’entusiasmo della fede, dalla gioia di vivere il Vangelo, dall’esperienza che il missionario fa dell’amore a Gesù. Amando il Signore in modo autentico e sincero, noi sperimentiamo che è proprio nel nostro cuore, ci ama, ci protegge, ci guida, ci illumina, ci riscalda, ci perdona, ci dà il fuoco della missione, che significa: comunicare agli altri il tesoro che abbiamo trovato incontrando Gesù Cristo.

Come innamorarci di Gesù? La fede è un dono di Dio, che Dio dà a chi glie lo chiede. Il grande missionario laico, il servo di Dio Marcello Candia, ripeteva spesso questa giaculatoria: “Signore, aumenta, la mia fede!”. Una volta gli ho detto che di fede ne aveva già tanta e lui mi risponde: “Piero, la fede non basta mai!”.

La radice della fede e dell’amore a Cristo è la preghiera. Dobbiamo pregare bene, pregare tanto, vivere nella “preghiera continua” come ci insegnano le care Sorelle di Clausura in 540 conventi in Italia, alle quali mando tutti i miei libri affinchè preghino per i missionari e i loro popoli; e come dice San Paolo: “Pregate incessantemente e in ogni circostanza ringraziate il Signore (1Tess. 5, 17-18); “Pregate sempre, chiedete a Dio il suo aiuto in ogni occasione e in tutti i modi, guidati dallo Spirito Santo. State svegli e non stancatevi mai di pregare” (Ef, 6, 18).

Nella “Porta della Fede”, Papa Benedetto auspica “la riscoperta dell’adorazione eucaristica come fonte della preghiera personale” (n. 99). L’adorazione è il tempo in cui io mi trovo solo col Signore Gesù, posso parlare con lui, dirgli che lo amo e che aumenti il mio amore per lui; lo ringrazio di tutti i doni che mi ha fatto, gli chiedo perdono per tutte le volte che l’ho offeso, che non sono stato generoso con il mio prossimo. Insomma, è un colloquio intimo che deve creare a poco e poco nel mio cuore, quella cella segreta nella qual incontro il mio Signore, lo amo e lo ascolto e lui mi parla, mi incoraggia, mi consola.

Per essere missionario mi basta il battesimo”

L’amore a Cristo non può essere rinchiuso nello spazio ristretto della mia persona. Mi porta a guardare fuori, a voler bene a tutti i miei fratelli e sorelle del mondo intero. L’amore a Cristo mi impegna a farlo conoscere e amare da tutti. Non posso amare Cristo tenendolo solo per me. La coscienza missionaria del cristiano nasce e si fortifica nell’incontro con Cristo.Una volta hanno chiesto a Madre Teresa “Chi è il missionario?” e lei ha risposto: “E’ quel cristiano talmente innamorato di Gesù Cristo, da non desiderare altro che di farlo conoscere e amare”.

Il servo di Dio Marcello Candia 1916-1983), industriale milanese che ha venduto tutte le sue proprietà ed è venuto con noi del Pime in Amazzonia per spendere la sua vita e suoi averi nella missione della Chiesa, rifiutava ogni ipotesi di aggregarsi ad un istituto, associazione o movimento, perché diceva: “Per essere missionario mi basta il battesimo”. Se e quando Marcello Candia diventerà Beato, sarà l’icona del vero laico missionario. Come lui sono anche tutti i battezzati, appunto perché Cristo è l’unica vera ricchezza che abbiamo e non possiamo tenerla solo per noi, dobbiamo testimoniarla, condividerla con gli altri.

Cari amici di Radio Maria, dobbiamo tutti riflettere su questo dato di fatto. La nuova evangelizzazione del popolo italiano, che il Papa e i vescovi rilanciano con forza nel 50° anniversario dell’inizio del Concilio Vaticano II (1962), è un impegno che riguarda tutti i credenti in Cristo. Il dono della fede, gratuitamente ricevuto da Dio, dev’essere comunicato agli altri. Tutta la Chiesa deve convertirsi alla missione universale: “Nessun credente in Cristo, nessuna istituzione della Chiesa può sottrarsi a questo dovere supremo: annunziare Cristo a tutti i popoli” (Redemptoris Missio”, n. 3).

Vedete, se noi conosciamo un uomo benestante, ricco, che non fa mai beneficenza e rifiuta di aiutare gli altri, diciamo che è un avaro. Cosa dobbiamo dire di un cristiano che è cosciente di aver ricevuto da Dio il grande dono della fede in Cristo e che non si impegna in azioni di evangelizzazione, non aiuta la parrocchia, non partecipa ad associazioni e movimenti di Vangelo?

La nostra fede è spesso concepita come un qualcosa di personale da custodire, non da trasmettere ad altri. Ma questa è una mentalità del passato, quando gli italiani erano praticamente tutti battezzati e anche chi non veniva in chiesa conosceva Cristo come Salvatore dell’uomo. Forse qualcuno ricorda il Catechismo di San Pio X che è dell’inizio del Novecento. Alla domanda: “Perchè Dio mi ha creato?” seguiva la risposta: “Per conoscerlo, amarlo e servirlo in questa vita e poi goderlo nell’altra in Paradiso”. Oggi quella risposta, anche se data da un santo Pontefefice, non basta più, non è adeguata al nostro tempo, perchè manca la missione di ogni battezzato!

Gesù è nato per tutti i popoli e tutti gli uomini, quindi tutti, anche se non lo sanno, hanno bisogno di lui. Quindi, ogni persona ha diritto di conoscere il Vangelo, di incontrare Gesù Cristo e di questo siamo responsabili tutti. Quando san Paolo scriveva: “Guai a me se non evangelizzo!” (1Cor. 9,16) esprimeva un concetto che riguarda ancor oggi tutti i cristiani. Quando noi vediamo il male attorno a noi e magari ci lamentiamo e condanniamo le persone che sbagliano, dobbiamo chiederci: “Io cosa posso fare per combattere questo male, oltre che pregare?”.

La deriva del relativismo: guai a dirsi cristiani!

L’Instrumentum Laboris del Sinodo scrive (n. 35): “Spesso si ritiene che ogni tentativo di convincere altri in questioni religiose sia un limite posto alla libertà”.

Il 4 agosto 1912 “Avvenire” ha pubblicato un’inchiesta intitolata: “Relativismo all’inglese: guai a dirsi cristiani”, nella quale si legge:”La Gran Bretagna mostra di essere scesa in guerra contro il Vangelo. Il governo…continua a promuovere l’agenda dei “nuovi diritti civili”, finendo per criminalizzare l’espressione pubblica della fede cristiana. Negli ultimi anni i casi di discriminazione sul posto di lavoro sono cresciuti a vista d’occhio, con episodi di licenziamento o sospensione tra medici, infermieri e impiegati solo perché indossavano una catenina con la croce o perché avevano osato pregare in pubblico”. L’avvocato Paul Diamond afferma: “Sono più di dieci anni ormai, che ai cristiani viene chiesto di non menzionare Dio sul posto di lavoro perché questo potrebbe offendere non solo i musulmani, ma anche gli atei e persino i gay. L’islam ha acquisito una sorta di status di “religione protetta”, mentre quella che da sempre era la religione di stato, cioè il cristianesimo, oggi è sostanzialmente perseguitata”.

Questa la deriva a cui portano la secolarizzazione e il relativismo. In Italia non siamo certamente a questo punto, ma la via che porta lontano da Cristo e dalla Chiesa è in discesa e non pochi italiani sono incamminati per quella direzione. Ecco perché, cari amici di Radio Maria, siamo tutti chiamati a testimoniare pubblicamente la nostra fede in Cristo e ad essere nella Chiesa cattolici attivi e non passivi.

Il punto che caratterizza il Pontificato di Benedetto XVI è la lotta contro il relativismo e la “dittatura del relativismo”, espressione usata dal cardinale Ratzinger il 18 aprile 2005, alla Messa “pro eligendo romano pontifice”, che è passata alla storia come il “programma” per il quale fu scelto come nuovo Papa.

Interessante rileggere quella pagina che rappresenta bene il suo pensiero e orientamento: “Quanti venti di dottrina abbiamo conosciuto in questi ultimi decenni, quante correnti ideologiche, quante mode del pensiero… La piccola barca del pensiero di molti cristiani è stata non di rado agitata da queste onde, sbattuta da un estremo all’altro: dal marxismo al liberalismo, fino al libertinismo; dal collettivismo all’individualismo radicale; dall’ateismo ad un vago misticismo religioso; dall’agnosticismo al sincretismo e così via”. 

E Ratzinger aggiungeva: “Avere una fede chiara, secondo il Credo della Chiesa, viene spesso etichettato come fondamentalismo. Mentre il relativismo, cioè il lasciarsi portare ‘qua e là da qualsiasi vento di dottrina’, appare come l’unico atteggiamento all’altezza dei tempi odierni. Si va costituendo una dittatura del relativismo che non riconosce nulla come definitivo e che lascia come ultima misura solo il proprio io e le sue voglie. Noi, invece, abbiamo un’altra misura: il Figlio di Dio, il vero uomo. É lui la misura del vero umanesimo. ‘Adulta’ non è una fede che segue le onde della moda e l’ultima novità; adulta e matura è una fede profondamente radicata nell’amicizia con Cristo”.

III) Tutta la Chiesa deve convertirsi alla missione

Nel documento col quale indice l’Anno della Fede (“Porta Fidei”, la porta della fede), Benedetto XVI scrive (n. 2): “La Chiesa nel suo assieme, ed i Pastori in essa, come Cristo devono mettersi in cammino, per condurre gli uomini fuori dal deserto, verso il luogo della vita, verso l’amicizia con il Figlio di Dio, verso Colui che ci dona la vita in pienezza”. E poi aggiunge (n. 6): “Il rinnovamento della Chiesa passa anche attraverso la testimonianza offerta dalla vita dei credenti”.

Capite cari amici? Per annunziare Cristo al mondo d’oggi, così diverso da quello del passato, la Chiesa deve mettersi in cammino, deve rinnovarsi e si rinnova naturalmente con la grazia di Dio (ecco l’impegno della preghiera), ma poi, dice il Papa “attraverso la testimonianza offerta dalla vita dei credenti”. Ecco perché siamo tutti coinvolti nella Nuova Evangelizzazione del popolo italiano.

Abbiamo molto da imparare alla scuola della missione”

In questo cammino della Chiesa per la nuova evangelizzazione, che coinvolge tutti i credenti in Cristo, ci sono tre atteggiamenti di fondo da condividere e da vivere:

  1. In Italia noi cattolici credenti e, diciamo, praticanti, siamo oggi una minoranza. E’ un dato di fatto di cui prendere coscienza per non nutrire illusioni. Vorrei poter dire il contrario, cari amici di Radio Maria, ma questa è la realtà. Minoranza consistente, ma in un secolo, il Novecento, siamo passati da un paese sostanzialmente cristiano a un paese non dico di pagani (perchè il paganesimo vero è tutt’altra cosa), ma di fratelli e sorelle italiani certamente battezzati, ma che non credono più oppure conservano qualche lumicino di fede e di devozioni, che però conta poco o nulla nella loro vita.
  2. Questa convinzione di essere una minoranza deve portarci ad un atteggiamento umile di fronte all’impegno di rievangelizzare il nostro popolo. Riportare la fede in Cristo al centro della vita degli italiani è un’impresa che va molto al di là delle nostre deboli e piccole forze. Quindi, massimo impegno, ma anche massima fiducia nello Spirito Santo. La missione è sua, non nostra, noi siamo solo poveri e piccoli strumenti della Grazia divina. Questo ci deve dare tanto entusiasmo, tanta speranza e tanta gioia nel vivere la missione. Mai perderci di coraggio, mai essere pessimisti.
  3. E finalmente un terzo atteggiamento di fondo nella nuova evangelizzazione è la disponibilità a cambiare, la flessibilità nei nostri impegni ecclesiali, l’obbedienza alla voce della Chiesa che ci indica la strada da percorrere. In altre parole, anche noi dobbiamo concorrere a mantenere e rafforzare l’unità della Chiesa attorno al Papa e ai vescovi. Una Chiesa unita evangelizza, una Chiesa disunita scandalizza e allontana da Cristo. Anche oggi, pur in una situazione spiritualmente davvero drammatica della nostra Italia, ci sono troppe divisioni nella nostra Chiesa, nelle parrocchie, negli istituti religiosi e missionari.

Quali cambiamenti si prospettano nella Chiesa per la Nuova evangelizzazione?Il cardinale Anastasio Ballestrero, arcivescovo di Torino e presidente della CEI, nell’Assemblea della Chiesa italiana a Loreto (1985) sintetizzava così il problema: “Il popolo italiano va di nuovo evangelizzato con spirito e metodi missionari”.

In una “Nota pastorale” della Cei del marzo 2007, dopo il Convegno ecclesialedi Verona, si legge:“Desideriamo che l’attività missionaria italiana si caratterizzi come comunione-scambio tra Chiese, attraverso la quale, mentre offriamo la ricchezza di una tradizione millenaria di vita cristiana, riceviamo l’entusiasmo con cui la fede è vissuta in altri continenti. Non solo quelle Chiese hanno bisogno della nostra cooperazione, ma noi abbiamo bisogno di loro per crescere nell’universalità e nella cattolicità…. Abbiamo molto da imparare alla scuola della missione. Chiediamo pertanto ai Centri missionari diocesani a far sì che la missionarietà pervada tutti gli ambiti della pastorale e della vita cristiana”.

La missione vuol dire andare ai lontani, portare il Vangelo a tutti. Le nostre Chiese antiche sono troppo rivolte verso l’interno delle comunità cristiane, perché sono troppo centrate sull’attività del sacerdote, che non può arrivare a tutto.

Nel mondo moderno, non si tratta più solo di annunziare Cristo alle singole persone e famiglie. Oggi la società è dinamica, dispersa, multiforme, sorgono problemi nuovi e strumenti nuovi tutti i giorni! La sfida è di evangelizzare la cultura e i soggetti educativi che formano le persone: scuola, mass media, politica, sindacati, leggi, economia, tecnologia, scienze, mode culturali, divertimento, l’Onu e suoi organismi, il rapporto con gli emigrati islamici, ecc.

Nell’Assemblea generale della CEI del maggio 2007 si è discusso sul come rendere missionaria la Chesa italiana, finora senza giungere a decisioni. Senza dubbio nascono nuove esperienze e realizzazioni in campo pastorale e di evangelizzazione, ma poi sacerdoti e operatori pastorali seguono normalmente le vie tradizionali, travolti da troppe urgenze quotidiane per poter fare qualcosa di diverso.

Un buon parroco di Milano, più giovane di me, al quale ho chiesto cosa pensa della “Nuova evangelizzazione” del popolo italiano, mi risponde: “Belle parole, ma noi preti di parrocchia facciamo già più di quel che potremmo fare. Cosa possiamo fare di più?”. La N. E. non vuol dire moltiplicare le preghiere, le funzioni, le predicazioni, corsi di preparazione ai sacramenti, cioè incrementare l’offerta di servizi religiosi che già ci sono. Ma vuol dire annunziare Cristo in modo nuovo e credibile ai molti battezzati per i quali la fede conta poco o nulla.

La grande domanda che tutti ci facciamo è questa: Come rendere missionaria la Chiesa italiana?

Tento di dare qualche risposta a questo interrogativo, secondo la mia esperienza di missionario. Giovanni Paolo II nella “Redemptoris Missio” (n. 21) scrive: “Lo Spirito Santo è il protagonista di tutta la missione ecclesiale: la sua opera rifulge eminentemente nella missione ad gentes”.

1) Le giovani Chiese presentano Gesù Cristo

Sono stato con Giovanni Paolo II nel suo primo viaggio internazionale come Papa: nel gennaio 1979 al III convegno del Celam a Puebla in Messico.Il Papa trova una situazione difficile. Le Chiese latino-americane erano divise sulle soluzioni da prendere per l’azione ecclesiale a favore dei loro popoli. Il documento di lavoro della Conferenza, lungamente preparato attraverso dibattiti e congressi, era sintetizzato nello slogan: “Vedere, Giudicare, Agire”. Questo lo schema della “Teologia della liberazione”: vedere le situazioni di oppressione dei popoli, giudicare le ingiustizie e agire per modificare queste situazioni disumane.

Giovanni Paolo II spiazza tutti, perché mette da parte il lungo testo preparato e fa il suo discorso programmatico intitolato: “Ripartiamo da Cristo!”. Cioè, di fronte ai molti problemi umani, politici e sociali del continente, il Papa dice: torniamo a Cristo e ripartiamo da Cristo, che è la risposta a tutti i problemi dell’uomo.

Nelle giovani Chiese, specie quelle fra i non cristiani, prevale un insegnamento essenziale. Quando diciamo “il primo annunzio di Cristo”, non vuol dire che quella è la prima volta che sentono il nome di Gesù, ma che si insegnano i contenuti essenziali del Vangelo, il nucleo essenziale della fede: la salvezza in Cristo e l’amore a Cristo morto e risorto per salvarci dal peccato, la vita dopo la morte, i sacramenti, la preghiera, il sacrificio e la sofferenza per accettare la nostra croce.

Nell’Occidente cristiano dopo duemila anni di cristianesimo, siamo ammalati di intellettualismo. La ricerca e il dibattito teologico ci vogliono, l’esegesi della Sacra Scrittura è indispensabile per la Chiesa, ma sono cose di specialisti. Il cristianesimo è tutto nelle parole di Pietro: “Convertitevi e credete al Vangelo!” (Atti III, 19). All’uomo sofferente, che cerca la guarigione ripetiamo quanto diceva San Pietro allo storpio presso la porta del Tempio: “Non possiedo né oro nè argento, ma quanto ho te lo dò: nel nome di Gesù Cristo, il Nazareno, alzati e cammina” (Atti III, 6). Dobbiamo credere, fratelli, che per chi crede i miracoli avvengono anche oggi!

Il superiore dei frati conventuali in Giappone, padre Pietro Sonoda, che parla e capisce bene l’italiano, mi dice:“Quando vengo in Italia e sento le prediche che fanno i preti penso che in Giappone non li ascolterebbe nessuno. Troppo astratti, troppo teorici, troppo filosofico-teologici, troppo problematici: hanno in mente la dottrina da insegnare e dimenticano la vita.In Giappone raccontiamo la nostra esperienza di fede nella vita quotidiana e interessiamo di più”. Ricordo Montanelli quando mi diceva: “Per attirare l’attenzione dei lettori non serve esprimere idee generali e teorie fumose,bisogna raccontare fatti perché all’uomo interessa l’uomo”.

Ecco una delle tante cose che le giovani Chiese ci insegnano. Ogni domenica la Chiesa italiana parla a circa 13-15 milioni di italiani! Qual è l’efficacia di questo messaggio? Tutti i sondaggi dicono che è molto scarso! Molti preti finiscono per ripetere la dottrina, fanno loro commenti ai brani domenicali del Vangelo che chi viene in chiesa già conosce. Ma prima di questo bisogna pensare a come agganciare l’attenzione di chi ascolta, perché se sono distratti o quel che si dice non interessa, è quasi inutile parlare! Bisogna raccontare la vita, riferire i fatti della vita dell’uomo a Cristo, perché “all’uomo interessa l’uomo”.

La missione alle genti ci insegna ad essere essenziali e ad usare un linguaggio che tocchi il cuore, che provochi nella vita personale per innamorare di Cristo, convertire a Cristo. La vita cristiana è questo.

Il prete protagonista della missione non tiene più

In Italia, l’evangelizzazione appare ancor oggi opera delle persone consacrate, vescovi, preti, suore. Cinquant’anni fa, l’Italia era ritenuta “un paese cattolico” e la missione riguardava i missionari in paesi lontani. L’Azione cattolica di quel tempo era definita “associazione che collabora con il parroco aiutandolo a realizzare la pastorale parrocchiale”. Non era protagonista della missione, come invece è indispensabile oggi per i laici battezzati, se vogliamo che la Chiesa italiana rievangelizzi davvero il popolo italiano.

Questa la sfida nuova per la Chiesa in Italia: il prete protagonista della missione oggi non tiene più. Il vescovo e il sacerdote sono indispensabili perché la Chiesa nasce attorno all’Eucarestia e si fonda su comunità riconosciute dal vescovo e obbedienti al vescovo unito col Papa. Ma non possono pensare e programmare tutto nel campo immenso della “nuova evangelizzazione”, che comprende molti “aeropaghi” della società moderna, scuola, mass media, economia, politica,ecc.

Secondo un‘inchiesta dell’Istituto di sociologia religiosa dell’Università di Pisa (degli anni novanta), circa l’80-85% di tutto il lavoro pastorale delle parrocchie è rivolto alla conservazione dei cristiani “praticanti”, che in media sono sul 25-30% dei battezzati. Gli altri non sono raggiunti se non in casi eccezionali (Natale, benedizioni delle case, battesimi, funerali, matrimoni). E’ inevitabile che sia così. I pochi sacerdoti non riescono nemmeno ad assistere adeguatamente quelli che già vengono in chiesa!

Non abbiamo ancora realizzato il principio richiamato da Giovanni Paolo II nella “Redemptoris Missio” (n. 71):“La missione è di tutto il popolo di Dio. Anche se la fondazione della Chiesa richiede l’Eucarestia e quindi il ministero sacerdotale, tuttavia la missione, che si esplica in svariate forme, è di tutto il popolo di Dio”.

La “Christifideles laici” sviluppa questo pensiero, cioè l’impegno dei battezzati nella missione. In Italia manca ancora la coscienza nei laici e manca nei preti la convinzione di dover formare e animare i laici ad essere missionari, dando loro libertà di agire nei loro campi propri d’azione.

Quando gli Apostoli si sono trovati di fronte all’emergenza caritativa di distribuire i viveri alle vedove povere e non riuscivano a cavarsela da soli, hanno affidato questo compito ai laici e hanno detto: “Noi Apostoli impegnamo tutto il nostro tempo a pregare e ad annunziare la Parola di Dio” (Atti, 6, 4).Molti dicono che oggi non è possibile fare altrettanto, perché i laici validi sono sempre superoccupati.

Invece le giovani Chiese dimostrano che è possibile e anche nella nostra Italia i movimenti ecclesiali, nati nell’ultimo mezzo secolo, formano ed organizzano i laici per la testimonianza, l’annunzio, l’evangelizzazione.

Nella Chiesa italiana è necessario un cambio radicale di mentalità, che in sintesi suona così: il prete faccia il prete, il laico faccia il laico:

ll prete faccia il prete: uomo del sacro, uomo di Dio che celebra l’Eucarestia, perdona i peccati, presiede ed è responsabile della comunità, direttore spirituale delle coscienze, studioso della Parola di Dio: un “altro Cristo” che celebra i sacri misteri della fede e porta nella sua vita l’immagine di Gesù Salvatore. Non pretenda di sapere tutto, di decidere tutto; si fidi dei suoi laici, dia loro spazio, li consideri non solo collaboratori, ma protagonisti della missione anche se con idee o metodi diversi dai suoi. Il prete deve essere soprattutto l’animatore spirituale dei laici credenti, in modo da renderli cristiani attivi nella Chiesa, missionari.

Il laico faccia il laico: impegnato nel testimoniare il Vangelo nel mondo: famiglia, lavoro, politica, economia, cultura, scuola, lavoro, sanità, mass media, divertimento, ecc. Il battezzato deve sapere che oggi non basta più essere, come si dice, “praticante”. Occorre diventare un “militante”, un missionario della fede.

Ecco dove le giovani Chiese possono insegnare molto alla Chiesa italiana. Specialmente in Asia le minoranze cattoliche vivono in paesi a grandissima maggioranza non cristiana. Ho gà parlato (maggio 2012) della Chiesa nella Corea del Sud, i cui laici sono attivissimi. Altra Chiesa è quella del Borneo malese, visitato nel 2004, con tante conversioni e battezzati formati allo spirito missionario:

Chiedo a mons. William Sebang, vicario generale dell’arcidiocesi di Kuching, cosa i cristiani del Borneo possono insegnare alle Chiese d’Europa. Risponde: “Ogni parrocchia ha centinaia di battesimi di adulti, per iniziative dei credenti non del prete. I nostri battezzati si organizzano e compiono azioni missionarie: portano la parola di Dio ovunque, parlano di Gesù Cristo e del Vangelo, invitano a venire alla Chiesa, ecc. Poi aiutano la parrocchia: riunioni di preghiera, catechesi, catecumenato, amministrazione, carità, costruzioni e riparazioni, liturgia,assistenza ai malati e agli anziani, animazione di bambini e giovani, attività culturali e missionarie, tutto è fatto da laici:

“Quando studiavo in Italia – continua mons. Sebang – mi stupivo di come i sacerdoti di parrocchia fanno molto, anche dove i laici farebbero anche più e meglio di loro; i fedeli si lamentano della Chiesa ma fanno poco per evangelizzare, non prendono iniziative, aspettano tutto dal parroco e dal vescovo. I cristiani del Borneo sono attivi e fervorosi perchè di recente conversione; non sono istruiti come i vostri, non hanno corsi, ritiri, studi, libri, ecc. Però sentono la diversità fra vivere con Cristo e vivere senza Cristo. Questo li rende entusiasti e pronti a fare grandi sacrifici per servire la Chiesa, tenendo conto che un popolo povero come il nostro ha il problema di provvedere non al superfluo, ma ai bisogni primari della famiglia”.

Padre Gheddo su Radio Maria (2012)

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