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La scomparsa prematura e improvvisa di padre Giorgio Pecorari a 67 anni (1° maggio 1941 – 10 ottobre 2008), mentre era parroco di Ibiporà, la miglior parrocchia fondata dal Pime nel Brasile del Sud (stato del Paranà), è una perdita grave per il Pime e per la Chiesa del Brasile. Nato a Loro Ciuffenna (Arezzo) nel 1941, la sua famiglia era di Sipicciano (Viterbo), dove frequenta le scuole elementari. Entra nel seminario di Viterbo nel 1951 e prosegue nel seminario regionale della Quercia a Viterbo fino alla prima teologia. Nel 1962 è accolto nel Pime ed ordinato sacerdote nel 1966. Parte nel settembre dello stesso anno per il Brasile. I superiori lo mandano all’Università cattolica di San Paolo dove nel novembre 1972 si laurea in psicologia nella sede di Campinas. Negli ultimi tre anni di studio (1969-1972) è viceparroco in una parrocchia fondata dal Pime ad Assis (stato di San Paolo), Vila Xavier, dedicandosi all’apostolato giovanile e fra gli studenti universitari di Campinas, dove manifesta le sue ottime qualità di pastore e di organizzatore.

Anche in Brasile il “Sessantotto” ha avuto un forte impatto, specie nell’Università cattolica di San Paolo. Erano gli anni infuocati della dittatura militare (1964-1984) che, “per salvare il Brasile dal comunismo” violava pesantemente i diritti dell’uomo, abolendo praticamente lo stato di diritto, la libertà di stampa e di dissenso, arrestando e torturando ogni persona sospetta di minacciare l’ordine. Ecco come Giorgio stesso, allora studente universitario, ha raccontato nel 1995 quel periodo della sua vita:

“Ero molto idealista e sono stato preso nei gruppi studenteschi che preparavano la “rivoluzione” contro i militari al potere. La nostra ideologia era quella del Partito comunista brasiliano, molto ben organizzato fra gli studenti con la sua Une (Unione nazionale degli studenti). Adesso mi accorgo di quanto eravamo alienati: l’ideale era la conquista del potere, naturalmente per aiutare i poveri. Ricordo che ero giunto a disprezzare vescovi e preti perché, pur avendo il pulpito e un grande influsso morale, non facevano nulla per cambiare il paese: almeno a me così sembrava. Ad Assis (stato di San Paolo), dov’ero stato mandato, ho formato un gruppo di preti che seguivano le mie stesse idee. Ero strettamente legato ai padri Vicini e Battaglia, che a San Paolo facevano lo stesso mio lavoro. Tempi di vita intensa, appassionata, anche generosa: tutto era finalizzato alla “lotta per la liberazione dei poveri”. L’idea stessa di Dio, non negata ma data per scontata, sfumava sempre più lontano….

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“Noi, influenzati dall’ideologia di sinistra, eravamo animati da uno “spirito contro”, sempre arrabbiati contro il sistema, contro i ricchi, contro i militari, contro la Chiesa, contro i borghesi. Non c’era amore all’uomo concreto, c’era passione ideologica e politica, che ci rendeva anche capaci di sacrifici: non per Gesù Cristo, ma per la rivoluzione, per il partito, per la conquista del potere. Io pensavo che per aiutare i poveri bisognava far trionfare, con qualsiasi mezzo, la parte politica che si dichiarava rivoluzionaria, socialista. Parecchi anni dopo, negli anni ottanta, sono stato a Cuba e nella Nicaragua dei Sandinisti e ho visto che anche il socialismo schiaccia i poveri….

“In quegli anni di studio, volevo andare a vedere dom Helder Camara a Recife nel nord-est brasiliano. Due padri del Pime focolarini mi hanno aiutato… Non ho trovato dom Helder e sono finito alla Mariapoli (raduno dei “Focolarini”, n.d.r.) che c’era da quelle parti, partecipando ad un incontro con la gente. Una grande sala della Mariapoli era piena di gente comune del nord-est, quindi poveri. E vedo che sono tutti contenti, cantano, si abbracciano, ringraziano il Signore per quello che hanno ricevuto. Incomincio a riflettere: ma come, io sono intelligente, studente universitario, ricco (in confronto a loro avevo tutto) e sono sempre lì a lottare, ad arrabbiarmi, a protestare! Loro invece sono poveri e vivono contenti. Avranno anche i loro problemi, ma intanto sono sereni, io invece sono scontento e arrabbiato! Poi vedo altre persone che hanno testimoniato di essere di famiglie ricche o benestanti e sono andati a vivere con i poveri per aiutarli…..

“Poi è venuta la grazia e la misericordia di Dio. I Focolarini erano sereni e si davano da fare per toccare il cuore dei ricchi e dei poveri, per creare solidarietà, amicizia, carità, fraternità. Ho capito che l’ideologia rivoluzionaria sostituiva la fede in Cristo: la salvezza e la liberazione non vengono da Gesù Cristo, ma dalla rivoluzione. E’ un processo che ti porta a non pregare più, a criticare la Chiesa, il Papa e i vescovi, a sentirti distaccato dalla tradizione ecclesiale. Tanti preti diocesani e missionari se ne sono andati in questo modo. Poi si sono sposati, ma il problema non era la donna: era la fede. Io sono stato salvato dai Focolarini”.

Questa testimonianza (l’edizione integrale nel volume: Piero Gheddo “Missione -Brasile – I cinquant’anni del Pime nella Terra di Santa Croce”, Emi 1996, pagg. 382, Pecorari alle pagg. 166 – 171) rivela bene l’animo di padre Giorgio, un uomo appassionato, sincero, che ha saputo ritrovare la sua strada. Nel 1972, schedato dalla polizia e minacciato di arresto, viene in Italia per qualche mese di vacanza. I superiori lo fermano e lo mandano alla stampa del Centro missionario Pime di Milano, come redattore di “Mondo e Missione”, di cui ero direttore. Negli anni 1972-1981, padre Giorgio ha fatto numerosi viaggi in America Latina, Messico, Guatemala, Nicaragua, San Salvador, Cuba, Venezuela, Brasile, Colombia, Bolivia, Perù, Argentina e ha prodotto buoni servizi giornalistici e fotografici (era anche un ottimo fotografo!), venduti a giornali e riviste anche di grande tiratura (ad esempio “Gente”). Poi ha pubblicato un libro di attualità e buona diffusione: “Salvador, Guatemala, Nicaragua: quale liberazione” (Emi 1982, pagg. 208).

Nell’estate 1980 Pecorari era in Salvador, nel periodo più tragico e sanguinoso di quella guerra civile. Scriveva (“Mondo e Missione”, novembre 1980): “Avendo un po’ di conoscenza dei paesi latino-americani, credo di poter dire che questa del Salvador è oggi la situazione più drammatica, più disumana in America Latina. Una guerra civile condotta senza esclusione di colpi, con una media di 30-50 uccisi al giorno. E’ come se in Italia, fatte le debite proporzioni, avessimo una media di 350-500 morti ammazzati al giorno”. Più avanti aggiunge: “Il Salvador è un paese piccolo e credo di averlo visitato tutto…”. Invece di chiudersi in casa, visitò il paese per vedere le varie situazioni e parlare con molti salvadoregni! Nella capitale El Salvador, Giorgio è “ospite di un vecchio seminario, dove ha sede anche l’arcivescovado, povero, manca di comodità elementari, con poca acqua, pochi servizi igienici, ecc. Il mangiare dato ai ragazzi è decisamente insufficiente, ma ci si adatta a tutto: è la guerra. La stanza che mi danno, “quella più bella” come dicono loro, fa invidia a San Francesco: un letto, una sedia e un tavolino, un armadio. Nemmeno il cestino per la carta né qualsiasi attaccapanni. Poi vengo a sapere che quella è la stanza di mons. Romero. Mi passano tutte le velleità di maggiori comodità”. Mons. Romero era stato ucciso il 24 marzo 1980 dai militari che avevano assunto il potere con un colpo di stato, come nel Brasile di quel tempo.

Pecorari è stato un buon redattore della stampa del Pime, volevo trattenerlo con me in Italia, ma lui continuamente chiedeva ai superiori di lasciarlo tornare nel suo Brasile. Nel 1976 riesce a fare una visita nel Brasile del Sud e con lettera del 16 luglio 1976, in seguito all’assemblea regionale del Pime tenuta a Itaicì in cui si è verificato che “la stragrande maggioranza dei membri del Pime è favorevole all’iniziativa”, propone alla direzione generale che si inizi l’edizione brasiliana di “Mondo e Missione”. Ma la proposta non è accettata e Giorgio ritorna in Italia. In seguito ad un’altra assemblea regionale nel luglio 1981 a San Paolo, dove ero presente anch’io perché invitato dal regionale del Brasile padre Giuseppe Contini, si conferma che la regione brasiliana dell’istituto è pronta per varare la nuova rivista, nel settembre 1981 padre Pecorari ritorna nella sua patria adottiva, proprio per dare inizio alla pubblicazione. Ma, come capita spesso quando gli impegni dell’istituto sono molti e il personale scarso, viene subito inviato alle Pontificie opere missionarie in Brasile, che mons. Marcondes e il missionario del Pime padre Gaetano Maiello stavano riorganizzando a Brasilia.

Diventa difficile seguire Pecorari nei diversi spostamenti fra i vari impegni del Brasile. Prima dirige la stampa delle Pontificie opere e i corsi di formazione e introduzione al Brasile per i missionari provenienti dall’estero. Nel 1986 è nella équipe direttiva del seminario filosofico del Pime a Brusque (stato di Santa Caterina) allora in crisi. Ma ci sta un anno solo perché nel 1987 è inviato come parroco nella parrocchia di Frutal, con due giovani collaboratori, padre Giuseppe Negri (oggi vescovo ausiliare di Florianopolis, capitale dello stato di Santa Caterina) e padre Graziano Rota, oggi missionario fra gli indios del Messico. Frutal, nello stato di Minas Gerais, aveva allora 70.000 abitanti e due parrocchie, con altri 20.000 dispersi nelle campagne anche a grandi distanze. I religiosi che tenevano la parrocchia centrale, di buona tradizione cristiana, si ritiravano e la riconsegnavano al vescovo di Uberaba, che invita il Pime a “rimettere in piedi, con spirito e metodi missionari, la vita cristiana gravemente decaduta”.

Giorgio è mandato dai superiori per questo compito con due giovani sacerdoti che stavano ancora studiando il brasiliano. Nel 1995 mi diceva: “Abbiamo preso la parrocchia in una situazione difficile, ma è meglio non parlare di quel che è successo prima. Ti basti dire che negli ultimi sette od otto anni tre sacerdoti della parrocchia avevano lasciato. Uno di loro, padre Mello, era l’idolo dei giovani e ha dato uno scandalo enorme. In pochi anni è stato distrutto il lavoro fatto per cinquant’anni dai Cappuccini italiani. La casa parrocchiale era letteralmente svuotata di tutto. C’erano i muri e qualche rottame di mobile. Non una sedia su cui non potercisi sedere, non una lampadina, non un piatto! I primi giorni facevamo anche la fame, avevamo poco denaro ed eravamo in difficoltà con la gente”. I missionari non sono accolti bene perché visti come intrusi e usurpatori e la parrocchia era in estrema difficoltà finanziaria. “Non è stato facile, ma con pazienza e dialogo, e con l’aiuto di Dio, siamo riusciti a conquistare la fiducia del popolo. Siamo partiti da zero, ma quando hanno visto la nostra dedizione, ci hanno aiutati. La parrocchia però l’abbiamo ricostruita con l’aiuto di benefattori italiani e americani. Solo nei primi due anni abbiamo speso 200.000 dollari”. La parrocchia è stata poi riconsegnata al vescovo nel dicembre 1997.

Spiritualmente i tre primi sacerdoti, Focolarini, hanno ricostruito la parrocchia predicando l’amore a Cristo, la devozione a Maria e la fedeltà al Papa. Ma il racconto è troppo lungo e rimando al volume “Missione Brasile – I primi 50 anni del Pime nella Terra di Santa Croce” (Emi 1996, pagg. 291-295). Nel novembre 1992 Giorgio è nominato dal superiore generale padre Franco Cagnasso vice superiore regionale del Brasile. Con il superiore regionale padre Vincenzo Pavan, costruiscono la casa regionale a San Paolo, ancor oggi centro delle attività del Pime nel Brasile del sud, e danno finalmente inizio alla rivista “Mundo e Missào”, che si è affermata come “la” rivista missionaria di attualità del Brasile.

Scaduto dal mandato di vice-superiore regionale, parte per Porto Murtinho sul grande Rio Paraguay, l’ultima parrocchia del Mato Grosso do Sul ai confini con il Paraguay, a circa 140 km. dalla città più vicina Jardim, senza luce elettrica e isolata nella foresta e steppa: terra di avventurieri, contrabbandieri, indios e meticci, una specie di Far West americano con molte fattorie nella pianura, dove si va a cavallo e armati. In una lettera del 18 gennaio 1999 Giorgio scriveva: “Porto Murtinho è un po’ il simbolo della nostra presenza missionaria in Mato Grosso. Non solo per le difficoltà classiche o romantiche della missione: viaggi lunghi e difficili in foresta, fiumi pericolosi da attraversare, ecc. Ma soprattutto per la popolazione che per il 70% è paraguayana, parla il guarany con una cultura diversa dalla brasiliana. Un popolo che si dichiara cattolico ma solo perché è devoto della Madonna e tiene l’altarino dei santi e degli antenati indios in una stanza. La Chiesa cattolica è conosciuta e stimata, ma di fatto la gente non è cattolica. Sto preparando alcuni libretti per l’educazione religiosa del mio popolo”. Sono stato a Porto Murtinho nel 1976, il posto giusto per Giorgio Pecorari, che s‘adattava a tutte le situazioni e amava quelle di frontiera.

Nel 2000 è richiamato in Italia come direttore di “Mondo e Missione” e poco dopo avverte la presenza di una forma tumorale maligna al mediastino. Ricoverato in ospedale in autunno, gli esami rivelano un cancro grave, i medici dicono a Giorgio che ha ancora due mesi di vita. Nel Pime si prega il suo amico servo di Dio Marcello Candia e in Brasile stampano un’immagine dello stesso diffusa nelle parrocchie in cui Giorgio ha lavorato, con la preghiera per chiedere la grazia della sua guarigione. Il calvario dura alcuni mesi, ma il 31 gennaio 2001 egli scrive una lettera al superiore regionale di Milano, padre Giannantonio Baio, dando le dimissioni da direttore della rivista “per gravi motivi di salute”. L’anno seguente 2002 ritorna in Brasile ed è parroco prima a Vila Xavier ad Assis, dov’era già stato come viceparroco, e poi a Ibiporà nel Paranà (città oggi con 47.000 abitanti), dove muore il 10 ottobre 2008.

Ricordo con affetto e commozione Giorgio Pecorari un grande amico e collaboratore. Carattere forte e cordiale con tutti, un’intelligenza superiore alla norma, innamorato della missione e gran lavoratore. La segretaria dell’ufficio stampa degli anni settanta, suor Franca Nava, mi ricorda che la campagna per “Mondo e Missione” che superò le 45.000 copie di tiratura mensile (23-25.000 delle quali erano per la Pontificia unione missionaria del clero), l’ha fatta in buona parte padre Pecorari. Dice: “Padre Giorgio era sacrificato nel suo impegno, visitava parrocchie, scuole, centri missionari diocesani, portando a tutti le riviste e ottenendo nuovi abbonati. I “servizi speciali” che facevamo ogni mese erano richiesti e i loro estratti li abbiamo venduti a migliaia di copie, alcuni anche 30.000 copie. Ricordo che partiva al mattino o al pomeriggio con l’auto carica di materiale e tornava a sera con l’auto vuota e la borsa piena. Era un venditore nato che sapeva convincere. Ad esempio, aveva fatto un accordo con i Paolini, che vendevano Famiglia Cristiana con Mondo e Missione. Tutto questo veniva dal suo spirito missionario e dall’amore alla missione e al Pime”.

Padre Gheddo su Il Vincolo (2008)

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